Zitti, “parlano” i Bronzi
- Gioacchino Criaco
E smettetela di inalberarvi, siamo sempre così soli che ci ha fatto piacere la visita di Gerald Bruneau, abbiamo posato per il suo obiettivo e ci siamo lasciati agghindare di nostra spontanea volontà. E non gridate contro Sgarbi, un giretto in Lombardia ce lo faremmo volentieri, ci siamo già stati più di duemila anni fa, quando era una palude putrida; ci piacerebbe scoprire come è oggi e sarebbe bello vedere quel piccoletto di Maroni incassare la sua testa senza collo fra le spalle e guardarlo dall’alto in basso mentre ci allieta col suo sax, con gli occhi che gli arrivano all’altezza del nostro inguine. Che ne sapete voi della nostra pena?
Ne sa più Francesco Merlo, di voi. Quando sulle pagine di Repubblica ci descriveva: “Coricati ed esibiti, dietro una vetrata, su due lettini ortopedici, i Bronzi di Riace sono due caduti in battaglia, le magnifiche vittime dell’inadeguatezza italiana”. Voi vi siete arrabbiati ma aveva ragione lui; siamo ormai due cadaveri, ricoverati ora in un eterno ospedale del restauro, ora in un silenzioso ospizio. Disarmati da tempo da ignobili mani che ci hanno levato via ogni segno del nostro antico mestiere. Noi, guerrieri senza armi, siamo scesi da soli dai nostri piedistalli e ci siamo volontariamente inabissatisi nelle acque dello Ionio per non vedere la fine misera verso cui andava incontro la nostra terra. Ci avete tirato fuori per portarci in giro come fenomeni da baraccone. E il mondo ha visto come eravamo noi e cosa siete diventati oggi. Ci avete fatto diventare come i Sioux arresisi alle giubbe blu. Dei tristi Buffalo Bill pagati per fare centro al circo. Ci avete costretto, noi guerrieri indomiti, a vedere i nostri figli degeneri piangersi addosso e spargersi per il mondo a elemosinare un pezzo di pane. Si, dovevate lasciarci al sonno eterno al quale ci eravamo votati, sommersi da sabbie d’oro e acque di smeraldo. Potevate risparmiarcele le umiliazioni di questi anni, il conoscere l’inutilità delle nostre mille battaglie. E potevate risparmiarvela l’onta di un confronto improponibile fra come eravamo e cosa siete diventati.
Un popolo lo si giudica dal rispetto che ha per i propri morti, e voi siete gente che i padri li lascia insepolti alla mercé di corvi e sciacalli. Vi fossero almeno utili a riempirvi lo stomaco, le nostre vestigia e le esibizioni a cui siamo costretti. Ma nemmeno un buon palco siete riusciti a costruirci e manco il biglietto per vederci siete in grado di farvi pagare. No, voi della nostra pena non sapete nulla. Gonfiate il petto quando la maggior parte di voi non è neanche venuta a ossequiarci, sapete di noi per sentito dire, in virtù delle polemiche che di tanto in tanto montano. E sapete poco di Schillacium, della villa di Casignana, dei draghi di Kaulon.. Sgarbi ha ragione, noi siamo prigionieri. Ma non è la mafia a tenerci segregati. Siamo ostaggio del vostro stupido orgoglio. Vi serviamo per dire che voi venite dalla nostra prestanza fisica e dalla nostra forza morale.
Fate un favore a voi stessi, abbiate un moto d’orgoglio sano: riseppelliteci, così in un futuro lontano quando di voi si sarà perso il ricordo, qualcuno ritrovando noi magari immaginerà grandi anche voi.