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Boschi di more, fragole e lamponi

  •   Leo Criaco
Boschi di more, fragole e lamponi

Quando le campagne e le montagne dell’Aspromonte erano ancora popolate, le nostre popolazioni aspettavano con gioia e speranza la maturazione e la raccolta della frutta (mele, pere, fichi, noci, uva, castagne ecc.) che per molte famiglie era una fonte indispensabile di sostentamento. Gli strati più poveri della popolazione si alimentavano principalmente con erbaggi, in gran parte spontanei (cicoria, zzinurri, crapelliti, crescione, finocchio selvatico, asfodelo giallo ecc.), e con i frutti delle varie specie coltivate e spontanee che iniziavano a maturare da fine maggio (ciliegie, susine, pere) fino a novembre inoltrato (sorbe, perastre, corbezzole ecc.). La frutta una volta raccolta veniva consumata fresca o trasformata in marmellata o essiccata.

Le castagne

Per i montanari aspromontani il frutto principe era sicuramente la castagna, che oltre a deliziare il palato è un alimento molto nutriente in quanto è ricco di carboidrati (90%) e sali minerali (soprattutto potassio e fosforo), inoltre contiene discrete quantità di proteine (5-6%) e grassi (3-4%). A livello nutrizionale è simile ai cereali, pertanto nella dieta sostituiva ottimamente il pane e la pasta, considerati all’epoca beni di lusso, quasi introvabili sul mercato. Le castagne venivano consumate sia fresche che cotte (arrostite, bollite, e infornate) o trasformate in farina, utilizzata per preparare pane, dolci, polenta, frittelle dolci ecc. Le castagne infornate, i fichi secchi, e i gustosi “cortei” (pere tagliate a metà, essiccate, sbollentate e riessiccate), nei lunghi inverni di carestia erano gli unici alimenti disponibili.

I frutti dei boschi

Nel periodo estivo, dai primi di luglio fino a tutto settembre, la nostra gente arricchiva la misera dieta con i piccoli e deliziosi frutti spontanei dei boschi, presenti in grande quantità, nei nostri territori: fragole, lamponi, e more di rovo. Questi squisiti doni della natura, da molto tempo, non arrivano più sulle nostre tavole. Oggi questi antichi e dimenticati frutti deliziano il palato soltanto a pochi escursionisti e ai pastori che, ancora, tenacemente resistono in montagna. Prima di passare a una breve descrizione di questi pregiati prodotti del sottobosco, ricordiamo che appartengono alla stessa famiglia botanica (rosacee), e che una volta raccolti è opportuno consumarli entro 2-3 giorni in quanto sono molto deperibili, oltre al fatto che con il passare delle ore diventano meno saporiti e poco profumati. Ricordiamo anche che la loro raccolta è assolutamente vietata nella zona “A” riserva integrale del Parco nazionale dell’Aspromonte. La fragola o fragolina di bosco è una pianta erbacea perenne provvista di rizoma dal quale si sviluppano la rosetta delle foglie, i fusti fioriferi alti fino a 25-30 centimetri e gli stoloni (in dialetto cordi). L’infiorescenza presenta pochi fiori di colore bianco e i frutti sono piccoli e profumati. La fragola (nome locale: fragulara) cresce spontanea nelle radure, ai margini e nel sottobosco di diverse essenze forestali (soprattutto pino laricio e faggio), predilige i terreni sciolti, freschi, ben drenati e leggermente acidi. La troviamo su tutto il nostro massiccio montano dai 700 fino ai 1500 metri. La fragola è ampiamente coltivata con varietà (a frutto più grosso) ottenute per selezione o incroci. Il lampone (rubus idaeus) è un piccolo arbusto cespuglioso con fusti spinosi lunghi circa 100-120 centimetri. I frutti (nome locale:lampuni, mureglia russi, frambuassi) sono piccoli, carnosi e morbidi di colore rosato, con sapore (piacevole) acidulo, e durante la raccolta si possono facilmente danneggiare andando incontro a pericolose marcescenze. Vegeta nelle radure, nei cespuglieti e nei boschi localizzati tra i 900 e i 1500 metri. Lo troviamo spesso nella parte bassa dei pendii alberati dei torrenti di montagna consociato con il rovo. Come la fragola è comunemente coltivato con varietà selezionate. Da molti anni, nelle vallate del Careri e del Bonamico (Platì, Careri, San Luca) più di 10 ettari di serre vengono coltivati a lamponi.

Le more

Il rovo comune (rubus ulmifolius) è un arbusto provvisto di fusti spinosi lunghi fino a 7-8 metri. Normalmente i fiori sono riuniti a grappolo e sono di colore bianco-roseo o rosa. I frutti, dette more, sono dapprima verdi, poi rossi, neri e lucenti a maturità. Il rovo comune (nome locale: rivettaru, rivettu, sipaluni, muregliaru) cresce dappertutto: è frequente nei boschi non molto fitti, negli incolti, nella macchia Mediterranea e nelle siepi. Lo troviamo dalla fascia costiera fino a 1000 metri. Sopra tale quota fino a 1500 metri di altitudine, vegeta un’altra specie di rovo: il rovo ghiandaloso (rubus hirtus), che si differenzia dal comune per la taglia più piccola, per i fiori di colore bianco e per le esili spine. Le more (nome locale: mureglia, mura) hanno proprietà astringenti e regolano l’intestino. Le fragole, i lamponi e le more coltivati pur essendo prodotti di buona qualità non hanno i sapori e i profumi di quelli spontanei.


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