Il Carrubo, un albero sempre giovane
- Leo Criaco
Dopo lo spopolamento delle campagne e l’abbandono dei territori dell’entroterra, lentamente ma inesorabilmente stiamo smarrendo la nostra identità e le nostre radici. In questi luoghi, dove il nostro popolo ha vissuto per millenni, con dignità e fierezza, abbiamo lasciato le masserie, gli antichi abitati e anche i cimiteri alla mercé del tempo, dei rovi, degli animali e dei vandali.
Abbiamo buttato al mare la nostra lingua e le nostre usanze e tradizioni. Abbiamo perduto, per sempre, decine di varietà autoctone di cereali, legumi, ortaggi e frutti, selezionate nei secoli, con tanta cura e amore, dai nostri antenati.
Abbiamo abbandonato svariate colture (fico, gelsomino, liquirizia, carrubo) che oggi, in alcune aree della nostra regione, dell’Italia e del mondo sono delle eccellenze, e occupano migliaia e migliaia di addetti.
Tra le suddette specie vegetali, l’ultima ad ammainare bandiera è stata il carrubo: infatti fino agli anni ‘70 del secolo passato i vajani i carruba (nome locale dei frutti di questa pianta) erano utilizzati sia nell’alimentazione umana, sia in quella del bestiame (circa l’80% della produzione), soprattutto degli equini.
Con l’arrivo della modernità, e il conseguente venir meno di questi stupendi quadrupedi, inizia il declino di questa antica e longeva pianta che in quel tempo era diffusa principalmente nella fascia costiera (da 0 a 400 metri di altitudine) del versante orientale aspromontano.
Mentre da noi la sua coltivazione veniva frettolosamente abbandonata, in Sicilia, precisamente nella provincia di Ragusa (Scicli, Modica) e in quella di Siracusa (Avola, Rosolini), è rimasta molto fiorente, tant’è che in queste località si produce circa l’80% dell’intera produzione nazionale. La maggior parte di questo raccolto viene usato per preparare un mangime, costituito da una miscela di orzo e mais fioccato, da favino lamellato (schiacciato) e da carruba spezzettata, utilizzato per l’alimentazione degli equini, bovini, ovini, caprini e conigli.
Anticamente i frutti del carrubo(carrube) venivano consumati con gusto dalle nostre popolazioni sia freschi sia ridotti in farina. Per ottenere questa scura e dolce polvere (contiene il 40-60% di zuccheri, a seconda delle varietà), le carrube subito dopo la raccolta venivano disposte nelle ferrazze ed esposte al sole per 5-6 giorni, ad essiccazione completata venivano infornate nei caratteristici forni alimentati con legna e rami, e una volta tostate (normalmente dopo 10-15 minuti) erano pronte per essere molite nei numerosi mulini ad acqua presenti nel territorio. Il prodotto così ottenuto veniva utilizzato per produrre dolci (è un ottimo sostituto del cacao) o miscelato con la farina di grano per preparare pasta fresca e un pane speciale al gusto di carruba.
Delle migliaia di piante di carrubo che in passato vegetavano nei nostri territori solo poche centinaia di esemplari sono scampati alla estirpazione e agli incendi (per evitare che questa antica e dimenticata pianta venga sempre meno, alcune nostre regioni hanno incluso il carrubo tra le specie botaniche protette). La maggior parte degli esemplari sopravvissuti (alcuni secolari) sono localizzati nelle campagne di Bovalino, Benestare, Ardore e Sant’Ilario dello Jonio.
In questi ultimi anni per fortuna, la carrubara (nome locale del carrubo) si sta diffondendo come pianta ornamentale, tant’è che già abbellisce ville, vie, viali e piazze di alcuni paesi della Locride (Africo, Locri). Il carrubo (Ceratonia siliqua) è un albero molto rustico, sempreverde, spontaneo nella macchia mediterranea delle regioni con clima temperato-caldo, è coltivato da tempi lontani nell’Italia meridionale, soprattutto in Sicilia.
È una pianta alta 8-10 metri, ha chioma alta e fitta con tronco robusto e contorto, foglie lunghe 20-30 centimetri costituite da 4-5 paia di foglioline coriacee e lucide (pagina superiore). Il frutto è un legume simile a un baccello di fagiolo lungo 10-20 centimetri, dapprima verde, marrone scuro a maturità, contenente nell’interno, oltre ai semi duri, una polpa zuccherina, squisita, molto nutritiva (è ricca di zuccheri, proteine, potassio, ferro, e vitamine). Appartiene alla importante famiglia delle leguminose.
A carrubara grazie alla sua densa e grande chioma, e alla sua frequente e diffusa presenza nelle campagne (era quasi consociata con ulivo, il fico d’India, il mandorlo), rappresentava per i nostri contadini il posto per riposare al fresco nelle ore più calde delle giornate estive, e per tenere al fresco le bevande e il cibo. In erboristeria le “carrube” vengono utilizzate, tra l’altro, come astringente (la farina) e come lassativi (la polpa).