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Palazzi. Caulonia. Ma dov’è la villa dell’area Grecanica?

  •   Ruggero Calvano
Palazzi. Caulonia. Ma dov’è la villa dell’area Grecanica?

DALLA CHANSON AL VINO. L’ASPROMONTE PER UNA STORIA DIVERSA.

Storia, dovrebbe significare certezza del passato, in realtà spesso essa è solo un’ipotesi, più o meno suffragata da elementi archeologici interpretati dagli studiosi.

Tante volte ne abbiamo visto la riscrittura con l’emergere di elementi nuovi, o con la diversa valutazione di dati già noti, anche in relazione alle evoluzioni tecnologiche che sempre più aiutano gli storici. A parlar di Calabria si è finito spesso per raccontarla come regione abitata da barbari e civilizzata da greci, prima, e da romani poi. Cosa che può essere, ma anche no. Mettiamo che i bronzi di Riace siano nati dalle mani di artisti nostrani, così la Persefone allocata a Berlino, il filosofo di Porticello, i dioscuri di Locri. Mettiamo che i mosaici di Casignana e quelli di Caulonia siano frutto di una progenie tutta calabra anche se in connessione con greci e romani. Ipotizziamo cioè che in Calabria ci fosse una civiltà già evoluta prima dell’arrivo dei greci. Se provassimo ciò la storia andrebbe riscritta. A dire il vero non esiste la prova contraria. Potrebbe essere addirittura che la colonizzazione greca fosse solo un’immigrazione di ritorno. Esistono necropoli in Calabria, di cultura ellenica, di cui si azzarda la datazione nel lontanissimo XIV sec A.C. E’ possibile smentirle? Se no, chi ci vieta di costruire una successione storica diversa? Comunque tutto è discutibile. Però, ultimamente emergono elementi diversi, o diversamente valutati. La Chanson d’Aspremont, grazie alla Sicari e ora a Gangemi, fa tornare l’epopea dei paladini nella sua sede d’origine, l’Aspromonte, e ridà centralità a Risa, punto fondamentale dell’impero di Carlo Magno e bastione difensivo essenziale per la nascita dell’Occidente e l’arresto dell’islamizzazione dell’Europa. I ritrovamenti di Bova (villaggio fortificato greco) e di Africo (fornaci e anfore vinarie romane) se confermati, dimostrerebbero per la prima volta insediamenti greci e romani in piena montagna. ma i palmenti scavati nella roccia proverebbero la preesistenza di una civiltà in grado di vinificare in altura in tempi remotissimi quando Roma o Atene non esistevano. Quando la Calabria era già Vitellia, terra di carne, latte, miele, olio e vino. Chi può dire che non sia nato da noi uno spirito che si sia poi espanso nel Mediterraneo? Lo dice una storia scritta da altri, nella quale noi siamo solo comparse. Ma nata o no, la storia da noi c’è stata, e comunque va ricostruita, l’Aspromonte è la sua sede e il vino è una delle chiavi per ricostruirla. Il mite e negletto Orlando Sculli, da Ferruzzano, ha catalogato, in una zona limitata ben 750 palmenti protostorici, e ha individuato decine di vitigni autoctoni. Quando l’isola del Giglio vantava il record mondiale dei palmenti, 450. Dal mare ai monti, l’Aspromonte orientale era un susseguirsi di vigneti, sfruttato dai greci, ma messo in rete, mirabilmente dai romani che in età imperiale vi producevano il vino preferito, il caicino, che attraverso le strade del vino convogliavano nelle ville costruite sulla costa, per poi imbarcarlo sui mercantile che avrebbero percorso le rotte dell’impero. Se ciò fosse vero, accanto alle ville con complesso termale e mosaici meravigliosi, che altro non erano se non centri di raccolta e smistamento, di Casignana e Caulonia, dovrebbe essercene almeno un’altra, destinata al vino dell’area grecanica. Una villa dai mosaici maestosi e dalle terme vivificatrici, che potrebbe giacere fra l’Ammendolea e San Pasquale. E fra il Kaikinos e l’Alex (Ammendolea e Allaro) si riversava l’oro che sgorgava dalle viscere dell’Aspromonte e andava a rallegrare lo spirito antico delle civiltà che si abbeveravano al monte Splendente, e non aspro.


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