Platì. Barbaro Giuseppe, discriminato nella vita e nella morte
- Redazione
Reggio Calabria, 21 ottobre 2016
Si chiamava Barbaro Giuseppe, 54 anni. Sarebbe dovuto uscire tra un anno circa. Stava scontando una pena temporanea per un reato ostativo. E’ uscito prima. Senza alcun beneficio, però, perché la sua pena non lo consentiva. E’ uscito da morto! Lo hanno trovato ieri sera in cella ed adesso sarà disposta l’autopsia per accertarne le cause. Come se per acquietare le nostre coscienze macchiate bastasse sapere che sia morto per cause naturali e non piuttosto se fosse stato adeguatamente curato.
Aveva serie patologie.
Più volte mi scriveva e sempre, come quando andavo a trovarlo, mi confessava che aveva paura di non poter vedere i suoi 4 figli, sua moglie, i suoi genitori anziani, i suoi familiari. Lamentava di essere scarsamente seguito. Ho ritrovato, tra le tante, una sua lettera del 5 maggio 2015: tra le tante parole di sofferenza, nel suo italiano claudicante, come la
stampella a cui si appoggiava, così scriveva “…oggi sto male e credo che continuando così da un momento all’altro posso Morire e non accetto questo fatto… qua non funziona proprio niente fanno Morire le persone….”. Purtroppo ha avuto ragione, ma nessuno ci ha creduto. Si è attesa la prova irreversibile.
Diverse volte ho sollecitato le diverse carceri ed il DAP sulla necessità che venisse seguito e curato. Palmi, Melfi, Rossano, Catanzaro ed infine Vibo. Aveva anche subito dei ricoveri temporanei in ospedale, dal carcere stesso. Avevo presentato un’istanza all’inizio della primavera scorsa chiedendo il differimento della pena nella forma della detenzione domiciliare. L’unico strumento possibile per chi sta scontando una pena ostativa. Mi è stato risposto alla fine di luglio 2016 in questi termini “considerato che dalla relazione sanitaria aggiornata al 12.7.2016, inviata dalla Casa Circondariale di Vibo Valentia (le cui conclusioni sono integralmente da condividere, in quanto basate sull’esame di numerose e accurate visite ed esami strumentali, dettagliatamente elencate), risulta che il detenuto, affetto da cardiopatia ischemica cronica, ectasia dell’aorta ascendente, displidemia mista, ipertensione arteriosa, emisindrome somato-sensitiva a sx da pregresso ictus cerebrale, lieve ispessimento delle carotidi bilaterale, ernia inguinale sx e lieve varicocele bilaterale, neoformazione mediastino antero-superiore retrosternale (verosimile timo-lipoma), sindrome ansiosa è in trattamento farmacologico secondo le indicazioni specialistiche, con discreto controllo del quadro clinico generale, per la deambulazione utilizza un bastone canadese ed è autonomo negli spostamenti all’interno della cella e dell’istituto, con la conseguenza che non è in condizioni di salute gravi e tali da essere incompatibili con il regime carcerario, sentito il parere del PG; P.Q.M. Rigetta le istanze”.
Lo avevo visto per l’ultima volta a Vibo, il 6 agosto di quest’anno, durante la visita con Rita Bernardini. Stipato assieme agli altri detenuti, ai passeggi. Non ci è stato consentito, come avviene ovunque, di entrarci ed incontrarli. Solo accalcati dalle sbarre. Come le belve feroci destinate ad aumentare la loro belluinità. Anche lì mi manifestava la sua lamentela ribadendomi che non sarebbe uscito vivo da lì. Così è stato.
Ho saputo che a fine settembre era stato tradotto a Torino per partecipare ad un processo e lì aveva trovato, a suo dire, adeguate cure. Al figlio maggiore, al telefono, comunicava la sua paura per il lungo viaggio da affrontare per tornare in Calabria. Non se la sentiva di affrontarlo. Sapeva che se lo avessero riportato giù avrebbe potuto non sopravvivere. Così è stato. Dopo nemmeno 48 ore dall’arrivo lo hanno trovato stecchito.
Adesso, per lo Stato italiano, sarà un numero da statistiche, alla voce, “morti in carcere”. Per me, era un uomo che avrebbe meritato di andare a casa per essere curato e seguito anche dall’affetto dei suoi cari. Un uomo che ha avuto la sventura di essere nato a Platì, comune della Calabria, in una nazione “serva, di dolore ostello, nave sanza nocchier in gran tempesta, non donna di provincie ma bordello!”.
Siamo nel Bel Paese, lanciato a folle corse verso il cambiamento, verso un Si’ che intende sburocratizzare la nazione ma che non è in grado di decidere senza alcun dubbio che un uomo debba essere curato a casa piuttosto che aspettarne il decesso in una cella lontano dai suoi affetti.
Sono sicuro che alla VI Marcia del 6 novembre la sua anima, senza stampella, sarà con noi. Con noi che dobbiamo lottare perché l’umanità nelle carceri passa anche attraverso la tutela e la salvaguardia del diritto fondamentale alla salute.
Reggio Calabria, 23 ottobre 2016
A Barbaro Giuseppe sono stati imposti funerali privati per motivi di ordine pubblico. Il parroco di Platì ha fatto ricorso perché l'ordinanza del questore avrebbe imposto il divieto di celebrazione in chiesa....
Orbene, posso comprendere, sforzandomi, che i funerali vengano celebrati in forma privata per ragioni di ordine pubblico (per la commozione che il fatto ha destato in una comunità piccola come Platì), ma che addirittura si debba impedire il funerale in forma privata all'interno della chiesa non riesco a comprenderla... A meno che la Casa di Dio non sia infiltrata dalla 'ndrangheta... Dallo scioglimento dei comuni a quello delle chiese... evoluzione tutta italica.
Povero Barbaro, non ha potuto curare il suo corpo come riteneva di dover fare, adesso nemmeno la libertà per la cura della sua anima.
Gianpaolo Catanzariti
IL RICORSO PRESENTATO AL MINISTERO DELL'INTERNO DAL PARROCCO DI PLATÍ, PADRE GIUSEPPE SVANERA:
Oggetto: ricorso avverso ad Ordinanza del Questore di Reggio Calabria del 22 ottobre 2016, “Identificazione del luogo dove svolgere i funerali del defunto Barbaro Giuseppe nato a Platì il 30/09/1962 e deceduto presso il carcere di Vibo Valentia in data 20 ottobre 2016”.
Il sottoscritto Svanera Giuseppe […], in qualità di Parroco della Parrocchia Maria SS di Loreto di Platì, in riferimento all’oggetto, presenta ricorso gerarchico avverso all’ordinanza del Questore, […]
Per i seguenti motivi:
- L’Ordinanza ha infranto il principio di non ingerenza fra Stato e Chiesa nell’ambito delle rispettive sfere di autonomia, di cui art. 7 della Costituzione e di libertà religiosa anche nel contesto sociale, di cui agli artt. 17 e 19 della Carta costituzionale.
- I Giudici, della Quinta Sezione del TAR della Campania con sentenza n. 28168/2010, hanno evidenziato che “le funzioni e cerimonie religiose” possono essere vietate dal Questore per motivi di ordine pubblico, ai sensi dell’art. 26 R.D. n. 773/1931, solo se si tratta di “quelle praticate fuori dei luoghi destinati al culto”, i Giudici vanno oltre, e sottolineando che il Legislatore del TULPS ha ritenuto sufficientemente tutelato l’ordine e la sicurezza pubblica dalla previsione della possibilità per il Questore di vietare il “trasporto funebre in forma solenne” e di stabilire “speciali cautele” riguardanti lo stesso trasporto funebre per le vie cittadine, mentre, al di là di tale potere, lo stesso Legislatore non ha ritenuto che il Questore possa spingersi, adottando ordini e comminando divieti su dove, come e quando celebrare la funzione religiosa in Chiesa; per cui il provvedimento di divieto questorile integra un illegittimo impedimento e limitazione allo svolgimento dell’ordinario rito funebre in forma pubblica previsto dal Rito cattolico, consistente nella celebrazione in Parrocchia, all’interno di un edificio adibito esclusivamente al culto cattolico e sottoposto alla giurisdizione della Santa Sede, di una messa esequiale alla presenza di tutti i parenti e gli amici del defunto e della comunità dei fedeli
Il Ricorrente per i motivi chiede la modifica del provvedimento impugnaTo per la parte “identificazione luogo ove svolgere i funerali” al fine di garantire la libera scelta dei familiari del defunto di poter scegliere il luogo dove svolgere il rito funebre […].