L’editoriale. Per padre ho un Cristo Redentore
- Antonella Italiano
«Vuoi vedere Campusa?» «No, non mi interessa». Così, delusa, camminai avanti, per farle strada tra la polvere e le erbacce. Terra e rovi hanno un sapore amaro, a venirci in compagnia, perché essi ti attendono, ti sfiorano, ti riconoscono, e accendere i riflettori ti dà sempre la sensazione di aver sbagliato, di averne violato il silenzio. Di essersi interposti tra equilibri che hanno il loro ritmo e la loro dignità. Fui presa da malinconia.
«Vedi il genio civile? Il municipio? L’asilo? La caserma? Quelle sono le scuole intitolate a Zanotti Bianco» le mie mani si agitavano e andavano a vuoto, mentre genio civile, municipio, caserma, asilo, scuole, Zanotti Bianco, erano parole che mi rimbombavano nella testa. Mi accecavano di rabbia. Fermati! Fermati e ascolta i suoni delle zampogna e le serenate di cui è intrisa l’aria. In questi vicoli si nasconde ancora l’ansia dei tradimenti, lo stupore improvviso dei morti. C’è puzza di povertà e di capre. La senti?
Ascolta, sono passi sulle mulattiere, chi arriva? I mastri o u signurino? Ma erano due mondi, i nostri, profondamente distanti. E nessuna domanda, fece, a cui valesse la pena rispondere. Nessuna che non ledesse l’oblio, a cui tutti hanno diritto; un popolo, così come un individuo. Perché esso è un manto pietoso sul passato e, proprio per questo, esso è un punto di partenza.
Il diritto all’oblio è il diritto che fatti, o stili di vita, che non corrispondono più all’immagine attuale dell’individuo, vengano dimenticati. Un riconoscimento, a cui fa cenno la Costituzione, per fermare le strumentalizzazioni che il mezzo d’informazione concede ai giornalisti. Troppo facile, per loro, sostituirsi a Dio. Non più il Cristo di Montalto, per gli aspromontani, ma un Dio con telecamera e microfono. Poco tempo. Ancor meno pazienza. E un malloppo di ordinanze (ordinanze, non sentenze) nascoste in valige da hotel cinque stelle. E così bardato, il Dio della comunicazione decide, a seconda delle esigenze di redazione, chi vive e chi muore.
Il diritto all’oblio è il diritto di ricominciare, anche se si ha sbagliato. Duro da spiegare a chi, per far reggere lo scoop, trova più comodo cambiare gli ausiliari, e passare dall’avere all’essere con un colpo di gomma. Ma “essere sbagliato” è una condanna che pesa più degli anni di carcere, quando suona da un giornale o da un programma a tiratura nazionale. Palcoscenici da cui non si giudica l’uomo (che già sarebbe grave) lo si pregiudica (che è peggio).
Il diritto all’oblio è il diritto a costruirsi una famiglia, a inventarsi un lavoro, a farsi prete o astronauta. Il diritto a pentirsi, a redimersi, a ricevere un atto di pietà, a fuggire. Ma soprattutto a non darne conto, a non doverlo spiegare. A non doverlo più spiegare. Dio l’ha insegnato.
Il popolo aspromontano è un mondo pieno di colori e di sfumature che cerca, disperatamente, di allontanare lo stereotipo che lo vuole per forza o ‘ndranghetista o pentito. O buono o cattivo. O di Bagaladi, Delianuova, Santa Cristina o di Oppido, Polsi, Africo, Platì. Ma tutte queste realtà sono piene di sfumature, hanno lati positivi e lati negativi. Hanno ombre e luci. «Io non so cosa devi raccontare nel tuo servizio, ma tieni presente che ogni cosa ha ombre e luci. Noi, ad esempio, col giornale raccontiamo le ombre, certo, ma evidenziamo le luci» «Si, è giusto. lo capisco». Ma non c’era calore, non c’era curiosità o passione in quella risposta. Un modo approssimativo, piuttosto, di rapportarsi alle cose, domande che tendevano a creare un alter ego “buono” degli aspromontani, su fatti cattivi. A farne una sorta di “ragazzi di Locri” della montagna. «Sono osservazioni sbagliate. Piene di pregiudizio le tue» «E se io volessi parlare in modo negativo della vostra realtà per poi affermare l’esatto contrario?» «Sarebbe un errore gravissimo. Noi non siamo “il contrario” della ‘ndrangheta, noi siamo la risposta all’assenza di infrastrutture, di lavoro. Siamo associazioni di volontari che ripuliscono i borghi e le strade dell’Aspromonte, siamo accademie e università che raccolgono fondi per interventi strutturali, siamo un giornale che recupera cultura e memoria, siamo libri e scrittori. La ‘ndrangheta è altra cosa. Non è il nostro contrario. Non abbiamo bisogno di essa per darci un senso».
Il diritto all’oblio è un Cristo, lassù, a quasi duemila metri, con il volto sereno e i lineamenti perfetti. La sua voce rimbomba tra i due mari, sostenuta dal vento. Il suo sguardo è severo su Reggio, patria di potere e podestà. Ed è un Cristo Redentore. Perché il diritto all’oblio è diritto alla redenzione, innanzitutto.
Del singolo uomo, come del popolo.
Di una terra. Della sua cultura.