"Accoglienza" profughi? Benvenuti al circo!
- Antonella Italiano
Com’è possibile dirsi contro o a favore? Quando ci si reca in un centro di accoglienza l’umanità non lascia spazio al giudizio personale. Basta solo entrarci per restare inorriditi dalle sofferenze che, nella migliore delle ipotesi, sono solo attenuate dal lavoro di associazioni e volontari.
Il libero arbitrio non ha colore di pelle, e poco importano le attitudini degli “ospitati”, su cui spetta al Governo, e in breve tempo dallo sbarco, fare chiarezza. Perché le attitudini, se così possono definirsi la tendenza alla prostituzione o allo spaccio, sono proprie degli uomini, e non vanno di pari passo con i paesi di provenienza. Forse i bianchi si reputano indenni, per il solo fatto di essere italiani e di vivere su suolo italiano, dal commettere malefatte? Oggi se ne leggono tante di sentenze buttate giù sui social; pareri di giudici improvvisati, che a furia di fissare gli smartphone non ricordano che faccia abbiano gli uomini. Neanche quelli bianchi.
Quando a Bianco i profughi divisero con noi gli spazi a loro “riservati”, trascinandoci a forza per tutto il centro Com, compreso nei bagni e nelle camerate, ci misero davanti le loro aspettative, le loro speranze; così poco ambiziose in realtà che ci sentimmo disarmati. L’uomo nero non ci stava mangiando. Non ancora.
Con pazienza in francese e inglese, cercarono di spiegarci come e cosa stessero vivendo, di chi si fidassero e di chi no, facendo il verso agli amministratori, e ribadirono che pur avendo tutti lo stesso colore provenivano da realtà troppo diverse per poter vivere, così a lungo, ammassati come bestie di un circo. E, per combattere la noia, in qualche modo si schernivano di noi, delle nostre idee, del nostro pensare gli africani con la gonnella di paglia e l’osso al naso. Dinnanzi a tanta essenza, che non davamo per nulla scontata, ciò che risultava chiara era l’impotenza. La loro e la nostra.
Dei 35 euro alla ribalta su tutti i banchi di discussione, guardati con disprezzo dai puristi, con ipocrisia dai buonisti, con rabbia dai nazionalisti, i profughi ricavano una vita da sfollati. No, non è benessere. Perché dunque continuano ad essere smistati nelle nostre cittadine? Il giro è più grande della possibilità di comprendere, ma pur senza conoscere gli attori (quelli veri), gli obiettivi (quelli veri), il messaggio resta chiaro, matematico. E se è complesso trarre delle conclusioni, valutare gli effetti è altresì molto semplice. Intere comunità costrette a vivere, volenti o nolenti, a diretto contatto con popoli stranieri.
Una multirazzialità imposta a suon di sbarchi e di opere di solidarietà; mentre i calabresi sono costretti a scappare già in tenera età, e coloro che restano crescono con l’emigrazione nel sangue, sognando l’El Dorado lontana. Qui non manca solo il lavoro, quello siamo così caparbi che potremmo anche inventarcelo, qui manca la cultura, la parità, la libertà. E si fa largo, nuovamente, il bigottismo, che uccide i popoli, e il clientelismo, che ingrassa una nuova figura di podestà: il sindaco. Podestà molto “accoglienti” in questi ultimi mesi, che “accolgono” le richieste degli amici ma non pensano né ai cittadini né ai disgraziati rinchiusi nelle gabbie del circo, nell’attesa di un documento per iniziare a vivere, ma la cui identità – dopo lo sbarco - è destinata a restare incognita per mesi prima che la prefettura faccia chiarezza.
Bestie senza nome, recintate ma “libere”, che vorrebbero fuggire - quelli buoni - dopo la prima settimana, e che fuggono – quelli cattivi – perché tanto la strada la conoscono già. Uno spasso per gli anziani vedovi (e non solo per loro) quelle carni nere come l’ebano che hanno poco più vent’anni (ma non tutte), sono uomini bianchi ingordi e insaziabili che scambiano il dolore con la goduria e il bisogno con la propensione. Tanto tutto si vende e tutto si compra al circo.
Ma perché gli stessi sindaci che oggi si strappano i capelli dal prefetto, ambendo ad essere sede di prima accoglienza o centro sprar, non hanno mai guardato alle risorse vere della Calabria? La Forestale avrebbe potuto essere cosa viva; e non un bancomat riservato a zittire gli ultimi che hanno avuto la fortuna di accedere ad un posto statale. Sindaci, perché non avete lottato per quella? Perché non avete tentato di ripulirla dalle carcasse che la stavano avvelenando, compreso il comodato d’uso dei politicanti, e il silenzio assenso degli ignoranti, per renderla una speranza per i figli? Il fenomeno Riace ha inebriato le vostre menti, ora tutti sognate un posto in classifica, e una fonte con cui dissetare l’elettorato. Ma è quando penso che Fortune avesse questo caos per obiettivo che la mia comprensione finisce…
Nel frattempo l’accoglienza riempie le gabbie del nostro grande circo, e qualcuno farnetica che ci sia molto spazio disponibile nei paesi abbandonati, e che le case potrebbero essere ricostruite secondo i dettami che il buon Lucano darà, e che l’Aspromonte tornerà vivo. Peccato solo che Africo stia aspettando la ricostruzione e la strada di collegamento col paese nuovo da quasi settant’anni, la proloco di Brancaleone il suo antico borgo se lo ripulisca da sola ogni settimana, e i roghudesi siano scappati da molti anni ormai dalla nuova Roghudi, la periferia di Melito. A pensarci prima, l’Aspromonte non sarebbe neanche morto. Ma diversamente, se gli aspromontani si fossero tolti l’anello al naso, sarebbero rimasti senza lavoro i professionisti dell’antimafia. Un vero danno per l’economia. Un giro senza fine, roba da politici. Per noi presto inizierà lo spettacolo. Benvenuti al circo!