Alpinismo. Per Tom Ballard e Daniele Nardi
- Redazione
L’ultimo contatto con Daniele Nardi e Tom Ballard risale a domenica 24 febbraio.
"Daniele ci ha appena comunicato che sono arrivati a circa 6300 metri, forse anche qualcosa in più!" riportava quel giorno il Team di Nardi su FB, e precisava: "Sono saliti lungo un camino diverso da quello salito con Elisabeth (Revol ndr). Sono andati su leggeri, ora stanno scendendo a C4. Il meteo non è buono, c'è stata nebbia, nevischio e raffiche di vento." Poi, più nulla. Passano sia lunedì, sia martedì senza che nulla trapeli dalla montagna. Tace il satellitare. Nessun segnale dal GPS.
Mercoledì 27 sul Nanga "il tempo è buono", ma l’esplorazione a vista delle possibili vie di discesa non dà esiti. Tutto è deserto ed immobile. A questo punto inizia l’allarme vero. Anche se ancora sono in molti quelli che sperano che Daniele e Tom possano riapparire all’improvviso. Su quelle immense montagne, e tanto più sul Nanga, non sarebbe la prima volta… Ma poi, giorno dopo giorno, la soluzione e il "miracolo" si sono inesorabilmente, allontanati sempre più.
Nulla è cambiato. Nonostante l’impegno dell’ambasciatore italiano, Stefano Pontecorvo, ad Islamabad e la piena collaborazione dell’Aviazione Pakistana, uniti nel superare i divieti di volo imposti dalla recente crisi - ci mancava solo quella - tra India e Pakistan. Nonostante il generoso aiuto di Ali Sadpara che insieme ad altri due alpinisti pakistani ha subito raggiunto, via terra, il CB sul versante Diamir del Nanga Parbat. Nonostante la dedizione di Alex Txikon che, appena il meteo l’ha consentito, è stato trasportato dal K2 al Nanga, insieme al suo team e alle sue attrezzature compresi dei droni per la ricognizione aerea. Tutto è rimasto com’era, senza soluzione. Ma anche se nulla è cambiato, il loro impegno - come quello di tutti quelli che si sono adoperati per attivare i soccorsi - non è stato per nulla inutile. Ciò che importa, infatti, è che Ali Sadpara e Alex Txikon non si sono risparmiati. Non hanno esitato. Era quello che bisognava fare. E vengono i brividi a pensare che proprio loro erano i compagni di Daniele proprio qui al Nanga Parbat nell’inverno 2016. E un po’ vengono i brividi anche per quanto questa montagna incida, sia nel “bene” ma anche nel “male”, nei nostri ricordi e nella storia dell’alpinismo. Ma nulla conta ora se non che Daniele e Tom resteranno lassù per sempre.
Daniele Nardi volitivo alpinista di Sezze (Latina), Ambasciatore per i Diritti Umani nel mondo, aveva al suo attivo 5 Ottomila tra cui spicca l’accoppiata di gran classe K2 ed Everest, seguita dal Broad Peak (8.047 metri), dal Nanga Parbat (8.125 metri) e dalla cima Middle dello Shisha Pangma (8027 metri). A questi si aggiungono l’Aconcagua massima vetta del Sud America, e la nuova via aperta tra il Bhagirathi III e IV (nel Garhwal indiano in Himalaya) con Roberto Delle Monache. Ma non c’è dubbio la montagna che più ha riempito i suoi pensieri e le sue fantasie è stata sicuramente il Nanga Parbat. O meglio la salita invernale del Nanga Parbat. Basti dire che quello di quest’anno era il suo 5° tentativo di salirla nella stagione più fredda. Chi ha seguito le vicende e le storie delle salite invernali agli Ottomila sa che sono sempre imprese che vanno oltre il limite della resistenza umana. Per le temperature assolutamente glaciali. Per il meteo impossibile. Per il vento in quota. Per l’isolamento totale, anche.
Trovare la forza e la costanza per ripartire ogni anno - come Daniele Nardi ha fatto per 5 volte - sapendo esattamente ciò che ti aspetta, non è cosa normale. E’ segno sicuramente di una passione incredibile che va forse oltre anche ai parametri "normali" dell’alpinismo. Il Nanga d’inverno ma anche il mitico Sperone Mummery era qualcosa di cui Nardi non poteva, evidentemente, fare a meno. Forse ormai era diventata la sua irrinunciabile avventura. Quasi un viaggio del destino che, in quest’ultima corsa, aveva affrontato insieme a Tom Ballard, talentuoso alpinista britannico 30enne che aveva conosciuto nel 2017 partecipando alla TransLimes, una spedizione internazionale - di cui facevano parte anche Marcello Sanguineti, Kate Ballard, Gian Luca Cavalli, Cuan Coetzee, Michele Focchi e Pier Luigi Martini - che ha esplorato le valli Kondus e Kaberi nel Karakoram Pakistano.
Tom Ballard, appunto, l’altro navigante che domenica 24 febbraio si è perso per sempre sullo Sperone Mummery. Silenzioso. Fortissimo. Pieno di un’energia inesauribile. Tom era un alpinista a cui sarebbe fin troppo facile attribuire l’aggettivo di "predestinato". La mamma, Alison Hargreaves, alpinista immensa, lo portava in grembo quando nel 1988 salì in solitaria la parete Nord dell’Eiger. Poi Alison perse la vita scendendo dopo aver raggiunto la cima dell’altro mitico colosso pachistano, il K2. Era il 1995 e Tom aveva 7 anni. Da allora molte cose sono cambiate e i più avevano assolutamente scordato quel ragazzino e forse anche la madre. Finché un giorno in Val di Fassa apparve un giovane alpinista che si divertiva a salire le pareti delle Dolomiti con uno spirito del tutto libero, così come gli suggeriva l’istinto.
Quel ragazzo era Tom che, con il padre, aveva preso "fissa dimora" al Camping di Canazei. Presto in molti capirono che era speciale in tutti i sensi. E presto, nel 2015, arrivò anche quel tour sulle sei grandi pareti nord delle Alpi (Eiger, Cervino, Grandes Jorasses, Petit Dru, Pizzo Badile, Cima Grande di Lavaredo) in un unico inverno. Un progetto che lui chiamò Starlight and Storm e che lo fece conoscere a tutto il mondo dell'alpinismo. Lui però non cambiò per nulla. Continuò ad andare dove lo portava il cuore. Nella sua grotta in Marmolada, a sperimentare impossibili linee in dry tooling di cui divenne un indiscutibile riferimento. Oppure a scalare in giro per le Alpi da solo o in cordata. Come per le due nuove vie aperte con Marcin Tomaszewski: Dirty Harrysulla NO del Civetta nelle Dolomiti e Titanic sulla Nord dell’Eiger. Libero e indipendente com’era solito fare.
Daniele e Tom non sono più tornati da quello Sperone del Nanga Parbat. Erano due uomini che cercavano qualcosa. Inseguivano una meta, un loro immenso sogno. E lo stavano facendo assieme. Resterà il loro ricordo. Resteranno gli immensi sforzi spesi in quei loro lunghi giorni sulla montagna. Ricorderemo quella loro volontà incrollabile, tutta da rispettare. E quei sorrisi che spuntano dalle foto che ci sono arrivate dal Nanga.
Articolo di Vinicio Stefanello - Planet Mountain.com