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Approfondimento. La ruota e i figli di nessuno

  •   Bruno Palamara
Approfondimento. La ruota e i figli di nessuno

Non è raro in questi anni di relativo benessere imbattersi in fatti che richiamano alla memoria fenomeni che pensavamo aver messo alle spalle, nel dimenticatoio. Ci riferiamo a quel triste fenomeno dei bambini abbandonati e ci si domanda ripetutamente come sia possibile che fatti così scabrosi possano ancora accadere nel terzo millennio, e non in un paese del terzo mondo, ma in una nazione evoluta, ricca e moderna come quella italiana: madri che abbandonano figli, che hanno il solo torto di essere venuti al mondo pur senza averlo chiesto.

A pensarci bene, però, quello dell’infanzia abbandonata è stato un rilevante fenomeno che, anche se oggi può apparire assurdo, ha profonde radici nella storia dell’uomo, essendo l’abbandono di neonati un uso praticato normalmente nell’antichità. Il più noto dei bambini abbandonati è stato proprio un personaggio biblico, Mosè, che, a tre mesi, fu dalla madre posto in una cesta e affidato alle correnti del fiume Nilo. Non dimentichiamo Edipo, “uomo dai piedi gonfi”, abbandonato ed esposto sul monte Citerone, perché le profezie sentenziavano che avrebbe ucciso il proprio padre, Laio, re di Tebe, e sposato la propria madre, Giocasta; Paride, principe troiano, esposto ancora neonato sul monte Ida a causa delle funeste profezie che lo accompagnarono sin dalla nascita; i più celebri Romolo e Remo, fondatori di Roma, abbandonati dalla madre Rea Silva e allattati da una provvidenziale lupa. Superando questi eventi che sono frutto di miti e leggende, dobbiamo subito sottolineare che presso i Greci e i Romani era molto diffusa la pratica dell’esposizione dei figli (“ius exsponendi”): i figli indesiderati venivano esposti in una cesta in luoghi pubblici e potevano essere presi da chi avesse desiderio di allevarli (o sfruttarli).

In genere, i poveri si liberavano dei figli, indotti dalla miseria o per sfuggire a profezie di sventure; le classi più elevate al fine di nascondere il frutto di un tradimento o per non dover spartire un ricco patrimonio. Si evidenzia che nell’antica Grecia si usava lasciare i bambini dentro le pentole per sollevarli almeno un poco dal nudo terreno. Questi piccoli sfortunati erano per lo più raccolti da mercanti di schiavi i quali, dopo averli affidati ad una balia, li vendevano appena essi erano in grado di lavorare.

Nel Medioevo il fenomeno si restrinse per effetto della morale cristiana, ma riprese vigore a partire dal XVI secolo, per esplodere in maniera virulenta nell’Ottocento, quando raggiunse proporzioni enormi, tanto che, secondo alcune stime, intorno al 1850 nell’Europa occidentale sarebbero stati abbandonati più di 100 mila bambini all’anno. In Italia il fenomeno fino all’Unità fu preminente al Nord, mentre sul finire del XIX secolo diventò una piaga nel Mezzogiorno, investendo molto anche il nostro territorio. Nel XX secolo il fenomeno si è ridotto, rimanendo, comunque, di proporzioni rilevanti.

Ma chi erano questi poveri trovatelli? Non erano, certo, solo i “figli della colpa” a ingrossare le file degli esposti, i figli, cioè, delle ragazze-madri, che, bollate ormai a vita, erano praticamente nella impossibilità di garantire la sopravvivenza del proprio figlio, ma erano anche i figli legittimi di coppie regolarmente sposate, che, in concomitanza di gravi congiunture economiche e sociali, come carestie, guerre, epidemie, malattie, venivano sacrificati in quanto rappresentavano bocche in più da sfamare in una società composta nella sua quasi totalità da famiglie numerose.

Naturalmente, la mortalità infantile tra gli esposti era spaventosa, arrivando anche all’80% del totale. I computi statistici dimostrano un dato curioso: il 60% dei bambini abbandonati nasceva nei mesi di febbraio, maggio e giugno per cui è da presumere che venivano concepiti nei mesi di giugno, settembre e ottobre, quando le attività agricole richiedevano una massiccia partecipazione di manodopera femminile per la mietitura del grano e del fieno, per la vendemmia o per la raccolta delle castagne, che presupponeva una condizione di promiscuità che favoriva le unioni clandestine. Questi poveri neonati venivano abbandonati, preferibilmente durante le ore notturne, nei posti più disparati, lungo le strade, sui gradini delle case di famiglie benestanti o sulla soglia delle chiese, lasciati al freddo e, spesso, in balia delle bestie randagie.

Si fece un passo avanti quando, davanti agli ospizi o agli ospedali, venne collocata un’acquasantiera, chiamata “pila”, per accogliere il bambino esposto. Ma già alla fine del XII secolo papa Innocenzo III introdusse a Roma il sistema della “ruota” o “torno”, commosso dal fatto che questi miseri trovatelli venivano spesso deposti tra i letami o erano gettati nel Tevere.

L’uso della “ruota” si diffuse rapidamente, assumendo nomi diversi a seconda della località o della modalità di esposizione: buca, curlo, pila, scafetta, presepio. Conventi e ospedali se ne dotarono stabilmente: il neonato veniva posato su questa specie di armadietto rotante, che, spinto verso l’interno, inseriva il piccolo dentro la struttura, abbandonandolo per sempre nell’anonimato. Una sorvegliante di turno, detta anche la “rotara”, prestava i primi soccorsi. Il piccolo, a volte, era accompagnato da una varietà di oggetti particolari, quali un pezzo di osso o di argento, la metà di una medaglia o di una moneta, un pezzetto di carta tagliato a metà con un breve testo scritto, di cui si conservava per sé l’altra metà, nastri di seta o pezzi di stoffa, tutti segni destinati a consentire, perché no, una futura, anche se improbabile, identificazione da parte di genitori pentiti. Era in uso il sistema della “mercatura”, cioè quello di legare al collo del bambino un cordoncino con una medaglietta raffigurante da un lato l’immagine della Madonna, dall’altro il “merco”, la matricola d’ingresso del bambino nella struttura. Un addetto all’accettazione degli esposti procedeva ad annotare su un libro con precisione certosina il giorno, l’ora e gli oggetti rinvenuti, premurandosi di assegnare al piccolo un nome e un cognome, qualora non ne avesse uno proprio segnalato tra gli effetti personali.

Si davano, generalmente, cognomi convenzionali, assegnando sempre cognomi che avessero un significato religioso, quasi a volergli trasmettere protezione (Diotisalvi, Diotaiuti, Servadio, Diolaiuti, Laudadio, Sperindio, Teodoro), con varianti da città a città. A Napoli divenne tipico il cognome Esposito (“esposto”), a Firenze quello più comune fu Innocenti o Degl’Innocenti, a Roma s’impose il cognome Proietti, dal fatto che durante il papato i trovatelli venivano comunemente chiamati projetti, mentre a Milano prese il largo il cognome Colombo.

La “ruota”, se pur aspramente criticata, rimase in vita fino alla fine dell’Ottocento, andando anche oltre. Con la sua abolizione la media dei bambini illegittimi si abbassò notevolmente, ma, come si legge in un Bollettino delle Opere Pie e dei Comuni nel 1899, “Nessuna legge al mondo impedirà mai la procreazione di figli illegittimi e naturali”, le cui cause sono legate a molteplici condizioni individuali e sociali non facilmente rimovibili.

Per alleviare il fenomeno sorse col tempo una delle istituzioni più apprezzabili, dal punto di vista umano, dei tempi moderni, l’orfanotrofio: i primi ricoveri pubblici o caritatevoli per bambini risalgono al ‘700, ma esplodono nell’800 con l’industrializzazione e l’inurbamento di vaste masse contadine, quando i trovatelli entrano nel cuore della letteratura occidentale, e dell’immaginario collettivo, attraverso i romanzi di Dickens. É doveroso, però, rilevare che il primo vero orfanotrofio d’Europa fu lo “Spedale degli Innocenti” di Firenze, costruito nel 1419 su progetto di Brunelleschi.

Purtroppo, la mortalità infantile dei trovatelli all’interno degli orfanotrofi era elevatissima a causa del mancato allattamento con il latte materno e delle precarie condizioni igienico-sanitarie di questi luoghi. Attraverso questo istituto molti di questi bambini venivano affidati a famiglie che ne chiedevano l’affiliazione, ma quest’ultima non sempre era mossa da spirito caritatevole, bensì generata da interesse di tipo economico. L’orfanotrofio, comunque, ha dato sollievo al problema e ha preparato il terreno per l’altro istituto fondamentale nella storia moderna, l’adozione, con il quale viene posto al centro l’interesse del bambino in stato di abbandono, privilegiando il suo diritto ad avere una famiglia idonea e stabile. Ma questa è un’altra storia.


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