Diocesi di Oppido-Palmi, tra "inchini" e bastonate dello Stato
- Freedom Pentimalli

Quanto successo un anno fa a luglio, ossia l’inchino della Madonna delle Grazie ad Oppido Mamertina di fronte all’abitazione di un boss della ‘ndrangheta, ha avuto come risposta, come è noto, l’interruzione delle processioni religiose in tutta la Diocesi di Oppido-Palmi, la quale comprende anche Sant’Eufemia d’Aspromonte.
Non erano poche le processioni che ogni anno venivano celebrate nel paese ai piedi dell’Aspromonte, da quella dei santi San Cosma e Damiano nel vecchio abitato a quella della Madonna del Carmine nel nuovo. Ma la più importante e toccante era senz’altro quella della santa protettrice, Sant’Eufemia di Calcedonia, festeggiata il 16 settembre: la leggenda parla di questa giovane cristiana originaria dell’antica regione della Bitinia, nell’attuale Turchia nord occidentale, vissuta sul finire del III secolo d. C. e vittima dell’attività repressiva dell’imperatore Diocleziano nei confronti di un Cristianesimo ancora in fasce.
Come riporta la tradizione, all’età di soli quattordici anni la giovane venne arrestata per non aver praticato un rito purificatore pagano e, in seguito a varie torture, venne gettata nell’arena di Calcedonia in pasto ai leoni, i quali la uccisero, ma non ne mangiarono il corpo intuendone la santità.
Ebbene, si ritiene sia il caso, a un anno dall’interruzione delle processioni, di fare una riflessione a freddo sulla situazione, in modo da preparare il campo ad eventuali, e auspicabili, nuove iniziative da parte della Diocesi stessa. Se si analizza alla base il fenomeno della “processione religiosa” si possono individuare le seguenti fasi costituenti: raccolta fondi, organizzazione religiosa, organizzazione civile e ribalta.
Ciò denota, che lo si voglia comprendere o meno, che si è di fronte ad un evento sociale che amalgama la comunità e che incentiva la socializzazione, all’insegna di tradizioni relativamente antiche che costituiscono l’ossatura delle radici di un paese e ne definiscono, in ultima analisi, l’identità.
Non si è, paradossalmente, di fronte a un evento soltanto religioso, anzi! La religione è quasi un elemento secondario, basti pensare che mezzo paese chiama “Madonna” la santa o bestemmia se, durante la processione, gli cade l’accendino!
Quello di cui parliamo è storia, è tradizione. E non è forse questa la ricchezza dell’Aspromonte?
Il fatto, cioè, di passare da un paesino all’altro nel giro di dieci minuti e scoprirvi caratteriste e tradizioni sempre diverse? Sempre in relazione alla processione di Sant’Eufemia vergine e martire, viene da pensare ai momenti rituali a cui si era abituati, dalle “rotelle” pirotecniche in determinati punti del paese fino all’entrata, una corsa in un tunnel di fuochi d’artificio che lasciava sempre tutti stupefatti, tanto chi vi assisteva per la sessantesima volta quanto i nuovi arrivati.
E che dire delle lenzuola bianche appese ai balconi con lo stendardo del Comune che ha come simbolo la santa stessa?
O dei petali di rosa fatti cadere dai balconi al passaggio della Protettrice?
Ma se c’è un momento che è davvero ingiusto cancellare, quello è il Piave.
La Santa, nei pressi dell’ex stazione ferroviaria che collegava il paese con Gioia Tauro, faceva una sosta in ricordo anche di quanti lasciarono il paese su quei binari, a volte per combattere una guerra, altre per emigrare al nord o all’estero.
In quella “stazione” o sosta (altro che inchino), mentre la banda suonava il Piave ho sempre visto piangere gli anziani del mio paese: se le radici non si trovano in certe esperienze, cioè nel momento più toccante del giorno più importante per un paese intero, dove si potranno mai scovare allora?
Senza tali esperienze, quali legami potranno mai creare le generazioni future con la nostra terra? E, soprattutto, ne potranno creare di così forti, senza l’apporto delle tradizioni, da permettere loro di non desiderare altro che abbandonare questo sventurato quanto meraviglioso lembo di terra?
Sono queste le domande che ora, dopo più di un anno, tocca porsi. Perché la situazione in cui versa al momento la Diocesi, con questo blocco delle processioni, sembra una sorta di limbo, di apatia. Era comprensibile e dovuto, in seguito a quanto successo a Oppido Mamertina, mettere in campo un’iniziativa dura, senz’altro!
Ma dopo un anno si è in grado di rilevare la sterilità dell’approccio?
Non è forse il caso di ripensare l’atteggiamento nei confronti del problema?
A ben vedere, la soluzione potrebbe essere già servita: papa Francesco ha detto la sua sul metodo più efficace per combattere le mafie: la scomunica!
L’esatto contrario, cioè, di quanto è avvenuto a Roma con il funerale del boss Casamonica. Le mafie avrebbero, infatti, molto più timore di un’autorità religiosa che le emarginasse davvero, rispetto a iniziative che tagliano fuori dalle tradizioni religiose le comunità nel loro complesso: la decisione di bloccare le processioni non penalizza la ‘ndrangheta, penalizza tutti indistintamente e, quel che è peggio, non intacca neanche lontanamente il potere mafioso.
Non sembra, infatti, che con l’interruzione delle processioni la ‘ndrangheta abbia avuto cali di bilancio o di prestigio. Anzi, al massimo le si è tolto il rituale impiccio di doversi sobbarcare una parte delle spese delle celebrazioni civili, il che, considerando le aspettative della Diocesi, sembra davvero ben poca cosa.
La Diocesi di Oppido-Palmi, per il bene di questa terra, riattivi le processioni e segua le direttive papali (finalmente!), perché è il modo migliore per poter collaborare con le autorità statali e le comunità nella lotta alla parte marcia della nostra terra. Ma, soprattutto, perché darà un motivo in più per restare a quella parte buona dell’Aspromonte che ha già un piede su un treno diretto, ancora una volta, a Nord.