Duisburg. 15 agosto 2007
- Cosimo Sframeli
«La struttura della ‘ndrangheta non è sovrapponibile a quella della mafia siciliana e della camorra campana: non c’è un’organizzazione unitaria ma è articolata orizzontalmente in gruppi, detti “famiglie” o “‘ndrine”»
Una strage feroce, in Germania. Sei italiani vennero uccisi a colpi di fucile davanti a un ristorante, nei dintorni della stazione della città tedesca di Duisburg. Secondo la stampa internazionale, i sei giovani furono vittime della c.d. faida di San Luca. Avevano appena festeggiato il diciottesimo compleanno di uno di loro nel ristorante Da Bruno, proprietà della famiglia Strangio. Dieci giorni dopo avrebbe compiuto 18 anni un’altra delle vittime, un ragazzo della famiglia Giorgi. Gli altri uccisi avevano rispettivamente 20, 22, 25 e 39 anni.
UNA CARNEFICINA: avevano colpito fuori dai confini nazionali ed aveva sparato nel mucchio con il dichiarato intento di marchiare a sangue un giorno di festa davanti ad una platea internazionale. L’Italia, l’Europa rimanevano di sasso di fronte a tanta ferocia. La ‘ndrangheta, che già era uscita dai cunicoli sotterranei nei quali operava, si manifestava fenomeno internazionale da studiare, da capire, da contrastare. La Calabria, dal canto suo, non si meravigliava più di tanto, come se fosse nell’ordine naturale delle cose. C’era urgente bisogno di misure straordinarie, volte alla massima accelerazione per far funzionare in maniera regolare lo Stato perché, unicamente al ripristino della Giustizia, e non certo solo della Legalità, queste terre avrebbero potuto sperare in un futuro diverso.
GLI INTERVENTI, ove effettivamente adottati, da soli, potrebbero non avere avuto la forza per invertire un trend negativo. Certo, l’attuazione di una strategia di contrasto e prevenzione restava il passaggio obbligato per avviare un processo reale volto a stravolgere la tendenza negativa attraverso il consenso tra la società e le istituzioni, quindi a sradicare le organizzazioni criminali e il malcostume che si alimentava nelle aree di collusione, di fiancheggiamento e di scarsa percezione del rischio criminalità. Di conseguenza, fu necessario studiare e conoscere la ‘ndrangheta partendo dalle sue origini fino a comprendere le conseguenti evoluzioni.
IL TERMINE ‘ndrangheta (dal greco andragathía, “virilità“, “coraggio”) oltre ad indicare il fenomeno criminale della mafia calabrese, indica anche l’insieme dei gruppi (detti “cosche”) che la costituiscono. La struttura della ‘ndrangheta non è sovrapponibile a quella della mafia siciliana e della camorra campana: non c’è un’organizzazione unitaria ma è articolata orizzontalmente in gruppi – detti anche “famiglie” o “‘ndrine”, prevalentemente organizzate su base familistica.
Per lo storico Lucio Villari essa nacque come organizzazione contro lo Stato e la Legge, per politicizzarsi in un secondo tempo e usare lo Stato e la Legge ai propri fini.
Il compianto Gaetano Cingari, storico calabrese di grande spessore che ha studiato a fondo il fenomeno, affermava che prima dell’Unità d’Italia la ‘ndrangheta non si contrappose direttamente allo Stato borbonico, ma si fondò piuttosto sul banditismo e fu garante della giustizia popolare nelle zone rurali.
Secondo Eric Hobsbawm, invece, la ‘ndrangheta nacque come associazione populista di ribelli e venne alimentata dall’intreccio tra la parte dei movimenti massonici e carbonari di epoca risorgimentale e il banditismo locale, che ebbero modo di incontrarsi e allearsi nelle carceri borboniche.
Per l’antropologo Luigi Lombardi Satriani, infine, il fenomeno mafioso affonda le sue radici in un’economia caratterizzata dalla scarsezza di risorse e nella cultura contadina, individualistica e familistica.
DOPO L’UNITÁ D’ITALIA, la Prima Guerra Mondiale e la Seconda, in continua evoluzione, la ‘ndrangheta assunse una nuova e più moderna configurazione, ancora attuale: quella di un’organizzazione criminale che da una parte si scontra con lo Stato e dall’altra se ne avvale. Infatti, in quegli anni l’organizzazione mafiosa calabrese iniziò a sfruttare la collusione tra funzionari statali e fattori (coloro cioè che amministravano le proprietà agricole per conto dei nobili latifondisti) nelle procedure di assegnazione dei primi piccoli appalti per la costruzione di opere pubbliche sovvenzionate dal Governo centrale.
Cresciuta lentamente, ma inesorabilmente, la ‘ndrangheta fu sottovalutata da tutti e se all’origine fu un fenomeno prevalentemente rurale e i reati commessi furono di tipo tradizionale (furti, estorsioni, abigeato, sequestri di persona), a partire dagli anni Settanta ebbe un forte sviluppo e, diffondendosi nel Nord dell’Italia e in altri paesi europei, passò alla gestione di attività criminali complesse come il controllo del traffico internazionale di armi e stupefacenti, il racket della prostituzione e quello delle scommesse, nell’attività dell’economica pubblica attraverso la gestione degli appalti, nell’attività finanziaria e di riciclaggio, nella stessa vita politica e amministrativa, nonché, più recentemente, nel business dell’immigrazione clandestina. Lo scontro tra cosche rivali per il controllo del territorio, negli ultimi 35 anni, cioè dal 1980 ad oggi, ha causato, nella sola Calabria, oltre 3000 vittime.
NONOSTANTE questi numeri, la ‘ndrangheta non suscitò grande interesse tra gli studiosi e gli addetti ai lavori. Ancora oggi, salvo eccezioni, c’è un’incomprensibile resistenza a rileggere i fatti di ‘ndrangheta con approcci e canoni moderni. Impera la visione agro-pastorale, nonostante i traffici miliardari dall’Australia al Canada, dalla Colombia al Brasile, dall’Europa all’Asia.
Per rimanere in Italia, si stenta a credere che tra le criminalità operanti in Lombardia, in Piemonte, in Liguria, in Valle d’Aosta, nel Lazio, in Emilia-Romagna, la ‘ndrangheta sia l’organizzazione prevalente e dominante; o che sia riuscita a soppiantare la mafia siciliana nei traffici di droga, già negli anni Ottanta; o che le maggiori città dell’Europa siano in mano ad organizzazioni aventi radici in Calabria. Si aggiunga la capacità di adattamento ai rigori della Legge e il forte radicamento territoriale che fa apparire la ‘ndrangheta un’organizzazione granitica ed invincibile e la “sua” Calabria come il territorio sottratto al controllo dello Stato.
PER AMOR del vero, la Calabria è solo lo specchio – estremo e violento quanto si vuole, ma sempre un riflesso – di problemi nazionali antichi ed evidenti che si sono aggravati nel tempo. La perdita di competitività e la crisi di fiducia, che serpeggiano nel Paese, si sono trasformati, nella sua parte più debole, in tragedia. Nel quadro del disastro regionale ci sono pochi chiaroscuri. Nell’arco dell’anno 2014, oltre 30 mila giovani calabresi hanno abbandonato la loro terra. L’emigrazione è in netta ripresa per numero di persone che lasciano la Calabria. Il numero dei delitti sono da tre a cinque volte maggiori della percentuale nazionale dei suoi abitanti e superano, in proporzione, le altre due regioni disastrate del Paese: la Campania e la Sicilia.
Ma la violenza del “sistema mafioso” è l’aspetto più clamoroso di una catastrofe più ampia. In quasi ogni settore, la Calabria occupa l’ultimo posto tra le regioni. Il reddito pro capite e l’indigenza sono giunti a voragini inedite. La popolazione calabrese vive al di sotto della soglia di povertà e gli occupati regolari sono solo un terzo dei cittadini in età attiva. La sanità è a pezzi, nonostante assorba una quota sproporzionata del bilancio regionale. Dal rimboschimento, alla raccolta dei rifiuti, dalla sicurezza personale, ai servizi delle amministrazioni pubbliche, il quadro è quello di un sistema che va in malora. In Calabria ci sono molti modi di uccidere.
LA VIOLENZA delle armi e della sottomissione alla società mafiosa penetra ovunque, ed è in grado di condizionarne il modo di vivere. I giovani calabresi hanno un destino segnato. Hanno tre possibilità: restare ed assoggettarsi, abituarsi all’impero della mafia con quella perenne ipoteca sul capo, magari mettendosi al servizio delle cosche; oppure fuggire, vivere altrove la propria esistenza liberata; infine, restare e ribellarsi, essere diversi, agire per tentare di aprire le coscienze, renderle consapevoli, usare tutte le energie per cambiare il costume, far sì che si possa vivere normalmente. Noi, madri e padri di famiglia, cosa possiamo fare per infondere speranza ai nostri figli, per restituire dignità all’Aspromonte e a questo comprensorio, considerato ultimo in Europa per lavoro e per sviluppo?
LA CRONACA
La strage di Ferragosto è avvenuta a Duisburg, in Germania, il 15 agosto 2007. Il fatto è avvenuto davanti a un ristorante italiano recante l’insegna Da Bruno, ed è stato messo in atto da esponenti della ‘ndrangheta. L’atto criminale sarebbe stato compiuto da affiliati alle ‘ndrine dei Nirta e degli Strangio, contro la ‘ndrina dei Pelle-Vottari, quale ultimo atto della faida di San Luca che imperversava tra i clan dal 1991. Cinque delle persone uccise erano originarie della provincia di Reggio Calabria. Uno di loro era originario di Corigliano.
Secondo le analisi degli investigatori il crimine doveva essersi consumato intorno alle 2:24 di notte, una stima basata su quanto riferito da un testimone oculare che aveva visto due persone allontanarsi dal luogo del delitto.Nel locale si stava cenando e festeggiando il diciottesimo compleanno di una delle vittime, Tommaso Venturi. Usciti dal ristorante, i sei erano saliti su un’auto, quando i killer sono entrati in azione.
Sono stati esplosi almeno 70 colpi e, al termine della sparatoria, i killer hanno sparato un colpo in testa a ciascuna vittima, per assicurarsi della loro morte.