Il drago e le lucciole non si sono estinti
- Ruggero Calvano
Da nord a sud, l’Italia somiglia sempre più a uno di quei bar sgangherati di periferia. Quei locali che conservano ancora l’arredo degli anni settanta e tengono sugli scaffali le bottiglie dell’Oropilla e del Rosso Antico. Un posto in cui una volta ogni sette giorni ci si concede un aperitivo, prima del pranzo domenicale, e si tirano le somme della settimana lavorativa. E, puntualmente, si celano le sconfitte, raccontandosi i successi, veri o solo immaginati. Il luogo delle balle, insomma. In cui tutti ci cimentiamo a spararla grossa. E per quanto ci affanniamo in mirabolanti iperbole, finiamo sempre per mordere la polvere, ché proprio quando l’abbiamo detta così grossa da avere la vittoria in tasca arriva lui. Arriva il drago al bar del Giambellino, periferia sud di Milano, quello con la balla più grande di una mongolfiera, e ci stende al tappeto, facendoci rientrare a casa con in mano il vassoio delle pasterelle e in cuore la voglia di vendetta che rinvieremo alla domenica successiva. Ma tutto sarà inutile fino a quando non ce ne faremo una ragione. Perché il drago è drago di professione, inventarsi le favole è il suo mestiere, mentre per chi lavora l’invenzione delle favole è relegata ai ritagli di tempo. E da un ventennio non c’è lotta, da quando il drago al Giambellino ci è arrivato da Arcore. Inutile stargli dietro e rincorrere i suoi fuochi di artificio. Al bar dovremmo raccontarci per quello che siamo, con le nostre quotidianità e i bisogni reali. Invece, la politica si è ridotta a chiacchere da bar che sono stati sostituiti dai salotti televisivi. La lotta è a chi la spara più grossa. Così l’analisi più lucida ce la danno i comici. Per farsi un’idea dei dibattiti bisogna ascoltarsi i resoconti di Maurizio Crozza. E per sentire un’idea, buona o cattiva che sia, si deve andare in piazza ad ascoltare Grillo. Da destra a sinistra la lotta è a chi ci darà di più o ci toglierà di meno. Nessuno si ricorda che la politica è idee, passioni, ideali, visione di vita, costruzione di progetti. Che un mondo giusto non lo si costruisce solo col metro dei mercati, con gli umori dello spread e i diktat delle banche centrali. Che persone e tasche diverse possono stare insieme solo attraverso uomini che siano in grado di unire sentimenti comuni, quelli che trasformano masse informi in comunità solidali. Ed è inutile che ce la prendiamo col drago, anzi, lo stato delle cose lo abbiamo compreso bene solo da poco e buona parte del merito va dato a Silvio Berlusconi. Per noi che siamo venuti da sinistre sezioni di paese, lui non poteva farci sognare. Ma a noi e a quelli che hanno sognato, ha dimostrato che sognavamo. Sognavamo di avere grandi politici. Solide Istituzioni. Super giornalisti. Esimi intellettuali. Formidabili imprenditori. Genitori integerrimi. Mogli e mariti fedeli. Figli affettuosi.. Il drago ci ha portati davanti allo specchio. Ci siamo visti nudi. Il sogno è diventato un incubo. Abbiamo scoperto di essere un popolo di cubiste e tronisti, calciatori e veline, scrittorucoli e scribacchini. Politicanti rionali. Rivoluzionari da salotto, o al massimo guerriglieri da facebook. Berlusconi ha tolto il lenzuolo al fantasma, e sotto abbiamo scoperto di esserci noi. Una piccola, egoista, mediocre società. Ed è questo che non riusciamo a perdonargli. Ci ha dimostrato quanto le porte della nostra moralità siano sfondabili. La maggior parte di noi si è attaccata addosso un cartellino col proprio prezzo. Noi siamo il mostro, lui, al limite, lo è quanto noi stessi. E tutto questo lo ha dimostrato anche a noi di sinistra, Berlinguer non ha lasciato semi e un grande popolo si è disperso dietro a piccoli fantasmi che sotto il lenzuolo non avevano nulla e di maschera in maschera ci hanno portati al carnevale finale. Dopo averci affidati per anni a un professore, adesso ci hanno consegnati, mani e piedi legati, a un’intera schiera di docenti la cui lezione la ricorderemo per sempre. E anche Pasolini si era sbagliato nel 75. Le lucciole non erano sparite, erano andate, in anticipo sui tempi, da qualche pioniere della chirurgia estetica. Sono tornate oggi. Le lucciole siamo noi, e i nostri volti pallidi e tirati cercano inutilmente di nascondere un vuoto d’anima. Eccolo il mostro da abbattere. E scusatemi se il titolo del pezzo vi ha tratti in inganno, volevo parlare di politica non di animali.. e la differenza è grande.