Il male non abita solo in Calabria
- Cosimo Sframeli
Il film Anime Nere di Francesco Munzi, tratto dal romanzo di Gioacchino Criaco, è un vero capolavoro. Narra, finalmente dal di dentro, di ‘ndrangheta, di omicidi, di guerre, di droga, di emigrazione, di lavoro che non c’é. Un’opera d’arte che, con merito e fascino, parla della nostra società, muovendo oltre l’Aspromonte.
Ed è convinzione comune che il Male non abita solo ad Africo o in Calabria, così come la violenza, il destino, la morte. Le Anime Nere di Munzi e Criaco discutono col mondo intero e del mondo intero, in perfetta autonomia (non dalla storia), che è proprio dell’arte, dalle mode di una Calabria violenta, complicata e bella, disperata e appassionata, sfruttata e vera, generosa e sorda. Anime Nere ha di fronte una Locride infetta in cui prevale la testa criminosa e criminale saldata ad un corpo economico, politico, istituzionale connivente e ubbidiente. Il primo ed unico film organico sulla ‘ndrangheta che Venezia, già mutilata di questo tema, abbia conosciuto. Uno spaccato di vita dei paesi dell’Aspromonte dove, secondo la cultura popolare e contadina, s’impone la doverosità della vendetta proporzionata all’offesa subita.
Sangue chiama sangue e chi è colpito deve, a sua volta, colpire. Vita e morte, nascita e battesimo, fidanzamento e matrimonio, cresima e amicizia, sono misurati dall’invisibile tribunale dell’Onorata società che si muove quasi totalmente nel circuito dei rapporti interpersonali e fa capo tra i monti dell’Aspromonte. In Calabria, nella provincia di Reggio, in una società che somiglia alla vecchiaia piuttosto che alla giovinezza, col tempo è cambiato poco. Hanno divorato ogni bellezza, sventrando, deturpando e distruggendo questo pezzo di Sud al punto che spesso ci si vergogna di parlare il dialetto, o solo di esibire un’inflessione che è diventata, in tutto il mondo, la colonna sonora della violenza, del sottosviluppo, della rozzezza. Ed è Anime Nere ad essere il pensiero alto che tende a vedere la gente di Africo (da dove si vede e si comprende meglio l’Italia), quindi della Calabria, come a una identità mai persa, la cui cultura resiste e si aggiorna. Non mai da affrontare come una questione criminale, con la cura del ferro e del fuoco, con tribunali speciali, con leggi eccezionali: non è il “Regno della più oscura barbarie”, ma la conseguenza logica, naturale, necessaria di un certo stato sociale, senza modificare il quale è inutile sperare di poter distruggere il Male. Gli uomini e le donne, in Anime Nere, sono in cammino e, senza condannare, si sforzano di comprendere le ragioni storiche ed antropologiche della scelta di campo dei malavitosi, rinnovando la speranza illuministica attraverso il sapere di un altro presente e di un altro avvenire. Quando è stato pubblicato il romanzo di Gioacchino Criaco, edito da Rubettino, sono stati molti a leggerlo e pochi a sostenerlo.
Gran parte dei c.d. intellettuali calabresi hanno preso le distanze. Proprio coloro che avrebbero dovuto ribellarsi alla crescente uniformità del nostro mondo. Di chi sa che “non è la verità che arma l’intolleranza ma la pretesa del suo monopolio, la presunzione di esserne i portatori esclusivi”. Il film Anime Nere di Munzi, senza il Leone d’oro di Venezia sotto braccio, andrà in giro per il mondo senza disturbare nessuno a contrastare, con la forza dei fatti, le insidiose bugie e mitologie pronunciate sull’Aspromonte, per diradare l’oscurità che avvolge la sua gente, mettendo in luce storie di battaglie disperate contro il vento della storia. Fatti culturali, storici e sociali, che si fondono in un dialogo collettivo dal quale emerge la passione di Criaco e Munzi, fra i massimi conoscitori del fenomeno, e di quanti sono e continueranno ad essere, da diverse trincee, protagonisti di una lotta combattuta in prima linea contro la ‘ndrangheta.