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L’analisi. Emergenza Calabria: Malagiustizia e malasanità

  •   Mimmo Musolino
L’analisi. Emergenza Calabria: Malagiustizia e malasanità

Su tutti i giornali, quotidiani ed online, la solita immancabile notizia: indagini della procura sulle morti sospette in ospedale. Transitavo per corso Umberto I di Savoia, re d’Italia e delle colonie libiche, abissine e di Eritrea, dopo una giornata passata a lottare contro la brutta e famelica bestia della Burocrazia, e a penijari e a fare logoranti file in uffici nei quali la gente è ammassata come bestie, senza aria condizionata perché l’impianto è sempre guasto. Tutto ciò per pagare le tasse, come (quasi) ogni santo giorno; ed in questo caso l’Imu-Tasi, la tassa per poter vivere nella mia casa senza correre il brutto e avvilente rischio che questa venga pignorata e poi svenduta, all’asta, ai cinesi. Stavo per immettermi sulla disgraziata “superstrada 106”, una specie di mulattiera catramata, la cosiddetta strada della morte, quando incrociai lo sguardo di una persona anziana, quasi la stessa mia età, che mi sembrava di conoscere, e siccome mi colpiva la sua condizione afflitta e di abbondano, d’istinto mi fermai. Mentre mi avvicinavo ebbi sempre di più la certezza che si trattasse i cuginima‘Ntoni, figghiu du zì Peppinu e frati i cuginama Micu. Erano quasi trent’anni che non ci vedevamo, eravamo tutte e due emigrati da Careri: lui a Torino e poi a Milano, ed io prima a Palermo, Palmi, Reggio Calabria e poi a Melito Porto Salvo. Gli domandai come mai si trovasse in quello stato pietoso. Ed iniziò a raccontare. «Partimmo, cu cuginata Micu, da Bovalino di prima mattina, era da poco spuntato il sole, per andare in tribunale, avevamo appuntamento con l’avvocato, in quanto si doveva tenere la centesima udienza di una causa chi fratima Micu aveva intrapreso contro un trafficante di legnami che gli aveva venduto delle finestre fasulle e “fottuto” pure, a quel tempo, trecentomila lire di caparra. Erano sfilati, negli anni passati, testimoni, tecnici, avvocati ed ingegneri ed almeno una decina di giudici erano cambiati. Neanche si fosse trattato di uno di quei famosi processi delle tante stragi di mafia e non, che hanno insanguinato l’Italia democratica e repubblicana nell’ultimo mezzo secolo. Bisognava solo che il signor Giudice, la signora Giustizia, emettessero la loro sentenza. Ad inizio di udienza la signora Giustizia dichiarò solennemente che aveva avuto ordini superiori di rispettare l’anzianità delle pratiche, e che vi erano cause civili vecchie e arretrate di almeno venti anni, e che quella di Micu la muffa non l’aveva accumulata abbastanza e ancora non puzzava di putrido e di marcio. Con fare imperioso rinviò detta causa a più di un anno e mezzo di distanza, quasi nel 2017. A quel punto fratima Micu impallidì, cercò di protestare fortemente con il giudice e anche con l’avvocato, ma ad un tratto cadde violentemente per terra, aveva la pressione arteriosa quasi a 340 e diventò tutto giallo come un limone e pareva gli fosse scoppiata la cistifelica che si era colmata i feli avvelenato. Fu allertato il 118 del vicino ospedale e dopo circa tre ore giunse l’unica ambulanza disponibile, che nel frattempo si era liberata, avendo depositato al pronto soccorso dell’ospedale un altro ammalato grave, crollato presso l’ufficio tasse del Comune. Naturalmente, nell’attesa spasmodica, le condizioni di salute di Micu si erano ulteriormente aggravate. Arrivati nel vicino ospedale non c’erano posti per farlo ricoverare, ed avere le prime cure, ed egli fu lasciato sofferente, quasi agonizzante, sopra la stessa barella nel corridoio, appoggiata ad un muro umido e sgretolato di una stanza quasi vuota». Ed ora u cuginu Micu aund’è? chiesi preoccupato. «É morto sopra quella barella, sempre la stessa» mi rispose cuginu ‘Ntoni, scoppiando in un pianto tragico e dirompente. Poi continuò: «Allarmati dalle mie grida disperate e dalle mie imprecazioni, per aver assistito impotente alla morte del povero e disgraziato fratima Micu, arrivarono di corsa affannati e ansimanti, tutti insieme, il portinaio, i medici, i paramedici, gli infermieri, gli anestesisti, la polizia, la guardia di finanza, le guardie forestali, le guardie giurate, i militari dell’esercito e i riservisti, i carabinieri, i secondini… e pure i pretori, i giudici di pace e i magistrati, ed alla fine arrivò anche una gioconda e florida signora, con un sorriso da sfinge, che somigliava tanto ad una ministro della Salute, in quanto mi sembrava un viso conosciuto. Doveva essere la stessa persona che in periodo elettorale aveva dispensato, a piene mani e tutta accondiscendente, apertura di nuovi ospedali, interi padiglioni, nuovi reparti, tutti moderni e all’avanguardia, ed una infinità di posti letto e scienziati e luminari della medicina e che non ci sarebbero più state tante tristissime morti sospette in ospedale. Ma il tutto poi era scomparso nel nulla, passate le elezioni, come le navi nel triangolo delle Bermuda. Comunque la gentile signora Sanità si impegnò a fondo e praticò a Micu pure una lunga e appassionata respirazione bocca a bocca nel solerte, infimo ed inutile tentativo di resuscitarlo; ma il miracolo non riuscì, ella non era santa e nemmeno beata. E poi arrivò, anche, ancora un più alto magistrato che per colmo di sventura ordinò l’autopsia sul corpo già martoriato i cuginata Micu per accertare le cause della morte. Dopo un lungo consulto, tutta quella gente, ministro in testa, mi chiamò in coro, non per farmi le condoglianze o per scusarsi, ma per notificarmi solennemente che dovevano passare almeno trenta giorni per poter avere il corpo dello sventurato Micu du zì Peppinu per dare dignitosa sepoltura, in quanto all’obitorio mancava personale. E mi raccomandarono di provvedere alla custodia legale del corpo perché la camera mortuaria dell’ospedale era, da tanti anni, in ristrutturazione».


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