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L'onestà che fu di Giolitti e l'uso e abuso delle auto di Stato

  •   Redazione
L'onestà che fu di Giolitti e l'uso e abuso delle auto di Stato

Si è parlato delle macchine blu, con targa “servizio di stato”, a disposizione di politici e alti funzionari, che Renzi ha ritenuto di ridurre di numero, di uso e di abuso. Il parco macchine doveva essere ridotto notevolmente all’essenziale e un certo numero doveva essere messo in vendita. Sono state vendute poche macchine e tutto è rimasto come prima e credo con il solito uso e abuso, tanto paga pantalone. 

Sono privilegi che si ripetono negli anni e sotto gli occhi di tutti e sono messi in evidenza con articoli e foto varie nei giornali e telegiornali. 

Nel 1974 le auto in servizio erano 40mila e ne sarebbero bastate mille, e secondo la legge ne avrebbero diritto soltanto un centinaio di persone. Oggi non sappiamo il numero in servizio e non sappiamo quanto ci costano. Li vediamo belle lucide sfrecciare con autista, e con la scorta, in dotazione e a disposizione di chi occupa una poltrona dirigenziale nei vari ministeri e in altri settori e spesso usati dai figli per farsi accompagnare a scuola o dalle signore per andare dal parrucchiere e per fare la spesa. Qualche volta viene tolto il dischetto “servizio di stato” per dare meno all’occhio. 

E sono rimasti inascoltati gli appelli, rivolti in passato, dalla Corte dei conti, per una limitazione delle spese relative ai parchi automobilistici dello stato. 

Nel 1978, la giornalista Camilla Cederna, in un libro-inquisitoria Giovanni Leone, carriera di un presidente, ha calcato la mano e anche la penna contro il Presidente della Repubblica, contro la moglie, donna Vittoria, e i tre figli che avevano trasformato e usato il Quirinale come la loro residenza privata con feste e un corteo di parenti e amici di parenti. Macchine e aerei erano a loro disposizione. 

Lo scandalo Lockeed, la potente industria di armamenti, è stata la causa, fra le altre accuse, che ha costretto Leone a dimettersi da Presidente della Repubblica. 

In seguito, per i suoi novantanni, venne festeggiato da molti parlamentari, per essere stato un galantuomo, che le tresche politiche avevano elevato a un posto che non era suo. Papa Francesco potrebbe essere di esempio per tutti, per la sua visione della società, per il suo giusto uso dei beni della chiesa e per quanto riguarda, nel nostro caso, l’utilizzo delle macchine lussuose di rappresentanza. 

Papa Francesco, ispirandosi al poverello di Assisi, che camminava scalzo dopo aver venduto, in una piazza di Foligno, il suo asinello, donando il ricavato ai poveri (asinello che gli consentiva di spostarsi da un paese all’altro per le sue prediche), preferisce spostarsi con una modesta berlina e tra sé e sé vorrebbe consigliare i vari cardinali di imitarlo nei loro spostamenti in città e nelle visite pastorali, e le spese superflue utilizzarle per i poveri, per gli immigrati che fuggono dalle guerre e dalla fame e per dare più dignità ai barboni che vivono lungo le strade. 

Ancora più significativo, per esempio, il re di Svezia che girava in bicicletta per Stoccolma: immaginarsi i nostri politici arrancare per i colli di Roma. Bisogna andare ai tempi di Giovanni Giolitti, lo statista che, quando non pioveva, si faceva circa tre chilometri a piedi, per andare dalla sua abitazione a palazzo Braschi, ministero dell’Interno allora, e qualche volta era seguito discretamente da un agente di polizia in borghese. 

Arrivava puntualissimo al suo ufficio di ministro e passando per via Nazionale, i negozianti, conoscendo le sue precise abitudini, lo aspettavano per ossequiarlo, e lui rispondeva togliendosi il cappello. 

Quando pioveva andava e tornava da palazzo Braschi con una piccola vettura nera ad un cavallo, di quelle che allora si chiamavano “coupè”, seguito in bicicletta da un agente di polizia con un berretto di panno blu a visiera. Qualche volta tornava a casa con una carrozza non di stato, e la domestica, la Tata piemontese, rivolgendosi alla moglie di Giolitti: «Donna Rosa è caduto il governo!». E Donna Rosa Sobrero (nipote dello scienziato Ascanio Sobrero inventore della nitroglicerina e del sobrerolo): «Sai tutto tu!». La domestica, affacciata alla finestra: «Donna Rosa, sua eccellenza è tornato con una vettura privata». Era vero. 

Giolitti prendeva un’altra carrozza, non ritenendo più di potersi servire di quella dello stato, che l’attendeva a piazza Montecitorio, neanche per tornare a casa. Caduto il governo all’uscita di Montecitorio, Giolitti, rivolgendosi al vetturino che lo attendeva per riportarlo a casa: «Voi cocchiere, tornate indietro. Io mi servirò di una carrozza a nolo». Il vetturino capiva che era caduto il governo, che l’avevano rovesciato o che Giolitti si era dimesso. 

Il vetturino della presidenza e la domestica di casa Giolitti erano i primi cittadini a saperlo. 

E questo avvenne con la caduta dei cinque governi, presieduti da Giolitti, nelle crisi ministeriali del 15 dicembre 1893, 12 marzo 1903, 11 dicembre 1909, 21 marzo 1914, e 4 luglio 1921. 

Questo era Giovanni Giolitti, lo statista che trasformò l’Italia da agricola a industriale, lo statista della “Bella epoque”, della parità aurea, del suffragio universale del 1912, della legislazione sul lavoro e sul diritto di sciopero. 

Giolitti, fra le altre riforme, statizzò le ferrovie e le fece funzionare al meglio: significativo il modo con cui concepiva il servizio ferroviario. Quando venne fatta su un vagone letto una prenotazione di favore per la figlia Enrichetta, disse deciso, a chi se ne era occupato, che non esisteva la carica di figlia del presidente del Consiglio. E la figlia Enrichetta prese il treno come tutti gli altri viaggiatori. 

Altri tempi e altra dignità e statura di uomini di stato: Giolitti aveva alto il senso e il rispetto dello stato, di cui si sentiva doverosamente un primo servitore. Giolitti, ultimo dei grandi notabili, cadde perché non voleva un’altra guerra, “la grande guerra” del 15/18, che ci costò tanti dolorosi lutti e milioni di morti, e che nel fango delle trincee muterà radicalmente l’Italia e gli italiani.

Dott. Carmelo Azzarà


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