L'opinione. Due righe sul “caso Savona”
- Franco Borrello
di Francesco Borrello - La ventilata (e avventata) minaccia di ricorso all’impeachment, cioè alla messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica, ha fatto sorgere una serie di discussioni sul potere o meno di questi di non procedere alla nomina di un ministro proposto dal Presidente del Consiglio incaricato.
Vero è che il procedimento di formazione del Governo è scarnamente regolato dalla Costituzione e che le norme che ad esso presiedono sono per lo più convenzioni costituzionali ma il fatto che queste (a differenza delle consuetudini) non siano fonti di diritto non può farci accettare che i Mercati e gli Eurocrati abbiano un peso nella formazione del Governo italiano. Certo, una interpretazione letterale del II comma dell’art. 92 della Costituzione dove si parla di “nomina” su “proposta” ci porterebbe a ritenere che il Presidente della Repubblica possa rifiutarsi di nominare un ministro ma uno sguardo più ampio, volto all’intero impianto costituzionale, ci conduce a conclusioni opposte. Infatti nel nostro ordinamento il Presidente della Repubblica non è organo di indirizzo politico e la nomina del Presidente del Consiglio (sulla cui scelta ha un limitato margine di discrezionalità) è un atto complesso che per essere valido deve essere controfirmato dal Presidente del Consiglio incaricato, pur non ancora nell’esercizio delle sue funzioni, non avendo prestato giuramento.
Alla luce di quanto detto, pare si possa concludere che il Presidente della Repubblica non abbia alcuna discrezionalità nella scelta e nella nomina dei ministri (men che mai basandosi su valutazioni politiche) e saranno le Camere e soltanto loro, accordando o negando la fiducia al nascente Governo, a giudicare della bontà delle scelte e dei programmi.