L’opinione.«Ha ragione Dalla Chiesa»
- Vincenzo Carrozza
Ha ragione Nando Dalla Chiesa, quando denuncia i pericoli d’infiltrazione della ‘ndrangheta nei lavori per l’Expò di Milano. Se non lo facesse, verrebbe meno al suo ufficio. Ha ragione da vendere: padroncini di piccole imprese di movimento terra o di lavori edili in genere, provenienti/originari da territori con storia di ‘ndrangheta non possono non essere attenzionati dagli organi preposti. Non stiamo parlando di territori immuni da fenomeni mafiosi. Si sta parlando di Platì, San Luca, Taurianova ecc… tutti territori conosciuti per sequestri di persona, faide, omicidi, traffico di droga, ultimamente femminicidi. Luoghi dove la ‘ndrangheta ha fatto scuola e fa scuola. Chi, tra i Kalabresi che fanno opinione, scrivendo o parlando, afferma il contrario non fa un buon servizio alla Kalabria. Non fa un buon servizio alla Kalabria il dr. Filippo Nucera, coordinatore di Confindustria Kalabria per l’Expò, quando, nei suoi interventi pubblici, non riesce e pronunciare una sola volta la parola ‘ndrangheta. Evidentemente un Moloc per l’uomo.
Non fa un buon servizio alle imprese che dovrebbe rappresentare, quando difende la dignità del lavoro della gente di Kalabria con stantii luoghi comuni: i Kalabresi sono uomini e donne laboriose e oneste, abbiamo contribuito alla ricchezza del nord ecc..
Di questo individuo, si dovrebbe chiedere, e ottenere, sostituzione immediata. Conosco la mia gente: testarda, orgogliosa, omertosa, amante della mitologia ‘ndranghetistica, disposta a inchinarsi al potere. Vorrei poter difendere la mia gente, come tanti di cui ho letto articoli accorati, dire che tutto è desiderio di buttarci fango addosso, ma non posso farlo. Non posso negare che Nando Dalla Chiesa svolga correttamente il suo compito invitando alla cautela al controllo. Non posso negare che abbia ragione. Parlo come uno che conosce il fenomeno sociale ‘ndrangheta, che conosce il fascino che il mito ‘ndrangheta esercita su tutti i kalabresi, di qualunque estrazione siano, ormai.
Persino la classe borghese, la classe dirigente, ha aperto, da tempo, e palesemente, le porte al suo fascino perverso e ambiguo. Pecunia non olet, e piuttosto che morire strozzata dalle banche, o piegata dalla stessa ‘ndrangheta, preferisce scendere a patti. Utilizza i profitti della ‘ndrangheta per la propria impresa, fa lavorare le persone, gli automezzi che vengono indicati dagli ‘ndranghetisti. Fa persino matrimoni d’interesse. Ogni Kalabrese ha dentro di se questa consapevolezza: di vivere in una regione in cui il fascino delle mafie è superiore a ogni altro tipo di fascino. Di vivere in una regione in cui ti sembra la cosa più normale del mondo fare un favore ad uno ‘ndranghetista. Votare il candidato politico appoggiato dalla ‘ndrangheta. Perché lo ‘ndranghetista è il tuo vicino di casa, è l’amico che ti offre il caffè, quello con cui sei andato a scuola insieme, quello che ti “soccorre” nel momento del bisogno.
L’assenza dello Stato nei servizi, nei bisogni della mia gente ha contribuito a rafforzare presenza e infiltrazione della ‘ndrangheta. Si rimane tuttavia perplessi riflettendo la logica di lotta alle mafie. Non possono esserci molti modi combattere questo male. Viene naturale domandarsi perché un governo, avendo l’opportunità di nominare ministro della giustizia uno dei più strenui avversari di questo male, in Kalabria e non solo, non l’abbia fatto. Parlo, come è intuibile, della mancata nomina a ministro della Giustizia del dottor Gratteri. Esercitando il suo ufficio, ricordi il dottor Nando Dalla Chiesa anche queste cose. Ricordi che i morti di mafie sono, nella gran maggioranza, kalabresi, siciliani, napoletani. Non voglio snocciolare il solito rosario di nomi e cognomi. Ricordi che l’onestà e il lavoro sono esigenze fortemente sentite e cercate da ogni Kalabrese, dentro e fuori la regione. Milioni di emigranti sono la migliore testimonianza di questi bisogni. Ma come una comunità colpita da una malattia infettiva, potenzialmente mortale, non possiamo esimerci dagli esami del sangue e dalla quarantena.
Senza sentirci perseguitati, offesi, maltrattati, con la dignità e la forza che ci contraddistinguono bisogna accettare il peso “dell’attenzione dello Stato”. È il prezzo da pagare al male che ci affligge, da noi conosciuto e accettato, per indolenza, per convenienza, per quieto vivere.