La Calabria si affida alla sorte
- Gioacchino Criaco
Il dramma nostro è Alvaro, oltre che grande in scrittura era un profeta straordinario. Partendo dalle nostre pecche, che conosceva alla perfezione, ci ha anticipato il nostro futuro parecchio tempo fa; fra diari e scritti dispersi ci ha detto praticamente tutto di noi, e senza bisogno di un leghista qualsiasi, da terrone, ci ha rammentato il vizio e il pregio che più di altro abbiamo ereditato dal padre magnogreco: la mitomania.
Bugiardi impenitenti che arredano del meglio una casa realmente disadorna. Siamo moralmente fermi al dubbio alvariano sull’utilità di una vita retta; e siamo materialmente bloccati fra i pastori dentro le capanne di frasche e fango in attesa che il destino decida per noi.
E cos’è la scelta del presidente dell’assemblea regionale, di sorteggiare le nomine degli organi di vigilanza e controllo calabresi, se non un’opzione alvariana? So bene che la mia rischia di essere una narrazione ingenua e i sofismi di una politica professionale possano trasformarla senza troppi sforzi in racconto comico. Lo rischio il ridicolo, ma al presidente, che annuncia l’inizio di una rivoluzione che dilagherà in tutti i settori della pubblica amministrazione, chiedo di spiegare, non conoscendo io i regolamenti: fra chi si tirerà a sorte? Perché non si finisca in uno di quei giochi che si facevano da bambini, nei quali nella scelta del più bello si infilavano tutti i propri amici per cui comunque avrebbe vinto uno dei nostri.
Ovviamente leggi e regolamenti limiteranno le scelte entro certe categorie; in questo caso, non sarebbe opportuno modificarle le leggi e i regolamenti per allargare il bacino di scelta? E, in generale, una volta rotto il ghiaccio con continue cabale, non si potrebbe passare a un metodo di scelta che guardasse alle capacità, all’intelligenza e non alle amicizie e alle appartenenze?
Ovvio che io sia convinto della sua buona fede presidente, altrimenti non starei a sprecare inchiostro virtuale. Ma una volta avviata la rivoluzione fra gli organi di controllo e vigilanza della Regione, non la si potrebbe allargare a tutte le posizioni di lavoro, di collaborazione, di consulenza, a ogni tipo di attività remunerata con soldi pubblici?
Non si potrebbe proseguire sostituendo al fato politico un criterio obiettivo che spalancasse le opportunità pubbliche anche a quei figli di nessuno che il destino vanno a costruirselo con sacrificio in giro per il mondo?
Lo so contro quali e quanti forze dovrà scontrarsi. Per paradosso l’ostacolo più grande sarà la fame dei poveri, ormai assuefatti alla questua per un posto al sole, alla frega compagni. Ma lei ha la gioventù per provarci, e arrivare a un’età matura in cui vedere dipendenti, collaboratori, consulenti, funzionari e dirigenti che non debbano tirar giù dalla testa il cappello per ringraziare un padrino politico.