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Là, dove si combatte per la nostra idea

  •   Cosimo Sframeli
Là, dove si combatte per la nostra idea

Gli scontri fra rossi e neri erano sempre più frequenti. Nelle scuole, gli studenti che la pensavano in maniera diversa venivano schedati dagli avversari politici, per individuarli, identificarli, isolarli e colpirli. Si agiva e si rispondeva colpo su colpo. Talvolta in maniera gratuita. Campi scuola per temprare i ragazzi ed addestrarli alla resistenza fisica, al corpo a corpo, alla sopravvivenza in situazioni estreme. All’autodifesa ma anche all’offesa. Si diveniva in fretta appassionati di tattica militare e di guerriglia urbana. Furono gli anni del terrorismo diffuso, dell’innalzamento del livello di scontro, del passaggio dai bastoni alle armi da fuoco. Si attraversarono tanti mondi. 

GLI ANNI ‘70 portarono a stagioni buie e a vite bruciate. Era un mondo che rispettava la sincerità e la lealtà. Quegli anni rimasero appiccicati addosso, come quel simbolo che si portava sempre al collo per ricordare, ogni giorno, che il sangue e le idee non furono in vendita. Famiglie intere furono severamente impegnate e provate, per generazioni, nel culto delle stesse idee, abituate a sacrificarsi di persona servendo la storia. E, mentre i rivoluzionari, i socializzatori e i conservatori litigavano sulle scelte e prese di posizioni per la società, un gruppo di giovani spiritualisti accresceva il proprio consenso tra gli adolescenti. Scopriva l’esistenza di un personaggio che avrebbe cambiato radicalmente i connotati alla cultura e all’idea politica. Invero, modificò profondamente determinate convinzioni ed operò una rivoluzione in quel mondo. Aprì le porte della cultura internazionale e mondiale, indicando suggestioni fantastiche e leggendarie, di richiami a miti ed eroi fuori dal tempo. 

LA TRADIZIONE era tutto: fu l’adesione a uno stile di vita c.d. guerriero, rigido, militare, metallico, fatto di autodisciplina, di durezza, di spiritualità, di eroismo, di gerarchia, di sacrificio, di fedeltà, di disinteresse per il proprio particulare, di odio per il materialismo e per il denaro, per il mondo mercantile e per quello borghese. Quel pensiero fu musica per i giovani alla ricerca di idee-forza più convincente di quello che poteva offrire l’armamentario ideologico-culturale della politica in voga troppo provinciale, asfittico e anacronistica con i suoi richiami alla retorica, alle marcette militari, agli slogan nazionalisti e risorgimentali. Si aveva bisogno del mito dell’alternativa globale. 

PARLARE DEL passato, a volte, è brutto come rivoltare la terra sulle tombe. Quegli anni furono raccontati con disprezzo, rimarcando il pesantissimo carico di violenza, odio e morte che portarono appresso e che scaricarono sugli anni a venire. Furono pure ricordati con enfasi, rivendicando le ragioni e minimizzando gli “effetti collaterali”, come li chiamerebbero i generali americani. Di quegli anni si conserva intatta la contrapposizione netta ad una società che aveva sperato di cambiare, ma che oggi appare indegna anche di un’attenzione distratta. 

NON SI VUOLE rincorrere verità o giustizia ma semplicemente rendere onore a un’epoca in cui la quotidianità era fatta di battaglie – per l’affermazione di un ideale, ma più spesso per la semplice sopravvivenza – delle quali si portano ancora nel cuore i segni. Si vorrebbe onorare il ricordo degli amici, dei compagni, con cui si divideva tutto. Mi ricordo, si viveva nella sfida e nel rischio. Si cresceva negli anni cupi del terrorismo e dell’ideologia ed esisteva soltanto il dovere di schierarsi da una parte, il dovere di cambiare il mondo.


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