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La riflessione. Cosimo Papandrea deve tornare libero

  •   Giuseppe Mammoliti
La riflessione. Cosimo Papandrea deve tornare libero

Chi avrà la pazienza di leggere fino in fondo questa mia riflessione, squisitamente autobiografica, potrà apprendere le motivazioni che mi portano a fare l’affermazione di cui sopra che, condivisibile o meno, rappresenta il mio modo di “sentire”, quindi un punto di vista strettamente personale.

Da ragazzo, ovvero in un tempo databile ad oltre mezzo secolo fa, mentre la televisione cominciava ad invadere e distruggere buona parte della cultura dei popoli meridionali, sostituendola con un tipo che oggi possiamo definire di tipo “globale”, la radio viveva il tempo del suo massimo splendore, sia per diffusione che per seguito. Ricordo come alle 19,30 la gente, ovvero quelli abitanti nella stessa “ruga”, si riunivano per ascoltare il “comunicato” (il giornale radio) questa, forse, era una tradizione ereditata dal recente passato fascista della nazione.

Non erano molte le famiglie che possedevano una radio, specialmente di quelle con il “motorino”, un giradischi, ubicato nella parte sommitale dell’apparecchio, capace di riprodurre i suoni dei dischi in vinile, quindi un oggetto di una importanza estrema che, all’occorrenza, poteva assolvere alla funzione di irradiare musica da ballo, canzoni, opere liriche, ecc.

Ricordo che in casa avevamo un apparecchio “Minerva”. Una specie di mobile elegantemente rifinito in radica, con delle manopole con cui si poteva cambiare “stazione”, aumentare o diminuire il volume. Ricordo che guardavo affascinato l’”occhio magico”, un dispositivo ottico da cui rilevare la qualità della sintonizzazione del programma che cambiava la sua forma manovrando la manopola della sintonizzazione. Era proprio quel continuo cambio di forma, unitamente ai colori smeraldini cangianti, che stimolavano la mia fantasia. Stavo vedendo delle animazioni, povere anteprima di ciò che, da lì a qualche lustro, la tv avrebbe offerto a piene mani. Ma quello era un modello ormai obsoleto, non trasmetteva in “modulazione di frequenza” e non aveva il “motorino”. Dopo qualche anno mio padre acquistò un nuovo modello che aveva tutto il necessario e persino anche la regolazione dei toni: una sciccheria. Ricordo che passavo intere ore ad ascoltare canzoni e notizie di vario genere (allora andava forte la canzone napoletana, i cantanti melodici. Ma gli “urlatori” erano già in agguato) e a seguire anche i programmi serali preferiti, come “attenti al ritmo” condotto da un giovanissimo Mike Bongiorno oltre a tante altre rubriche di cui ero un assiduo fan. Quell'apparecchio, per me, rappresentava un orecchio sul vasto mondo esterno.

Ricordo che nel vano porta dischi c’era uno di tarantella. Ricordo che iniziava con queste parole: “Questa è la tarantella delle tarantelle che tutto il mondo balla con bontà perché appartiene all’onorata società”. Un inizio che era tutto un programma. Non avevo nulla contro la tarantella, ma non sopportavo che la musica venisse strumentalizzata a quel modo; non mi piaceva quell’impronta di “onorata società” che sapeva di arretratezza globale, su una danza popolare e per estensione, su un popolo intero. Avrei distrutto quel disco tanto era l’avversione che ormai suscitava in me quel tipo di fare musica; non lo feci per rispetto di chi, quella tarantella, piaceva e perché non erano poi tanti i dischi circolanti a quell’epoca e poteva servire anche per fare qualche scambio con qualcosa di più decente.

Quell’esperienza, per certi aspetti traumatica, mi portò ad azzerare il mio interesse verso la musica popolare calabrese che ormai associavo a roba antica, obsoleta, sinonimo di arretratezza mentale e culturale e a rivolgere i miei interessi verso altri generi musicali a me più congeniali. Ero un musicomane! Ascoltavo di tutto, tranne la musica lirica e le tarantelle! Ma ero ancora molto giovane e dovevo ancora scoprire i miei veri gusti musicali e ciò avvenne molto presto, grazie alla “modulazione di frequenza” di un vecchio apparecchio radiofonico.

Quell’apparecchio era sempre acceso. Se non lo fosse, provvedevo io. Conoscevo a ormai orari e cadenza delle trasmissioni. Seguivo specialmente i programmi in cui la musica aveva un ruolo. Oltre alla trasmissione di Mike Bongiorno seguivo anche la “Corrida” magistralmente condotta da Corrado. Ma questo genere di trasmissioni ben presto cedettero il passo a trasmissioni molto più rispondenti ai miei crescenti interessi verso la musica estera. Erano gli anni sessanta Negli usa era esploso il Rock’n Roll ed Elvis era il suo profeta. Dal Rock ben presto presero forma altri generi musicali. Era un mondo in continua evoluzione. Cominciavano a spuntare artisti e complessi in quantità industriale: Beatles, Rolling Stones, Who, ecc. generi musicali come il Flower Power di cui Scott Mc Kenzie, con la sua “S.Francisco”, era il massimo profeta. E poi il “Detroit Sound”, il “Philadelfia Sound”, la “West Coast Music”. I nomi di centinaia di artisti ormai affollavano la mia mente mentre le canzoni erano ormai migliaia.

Purtroppo non capivo l’inglese, né era possibile ovviare altrimenti, ma superavo facilmente l’ostacolo considerando la voce umana alla stregua di uno strumento musicale e quindi, pur non comprendendo il reale significato dei testi (il che, in molti casi, non era affatto negativo, tanto erano banali), andavo in estasi per gli arrangiamenti, i passaggi della batteria, gli assoli delle chitarre, le voci insomma, gustavo le canzoni a prescindere dai significati letterari. Erano ben altri i contenuti di cui ero alla ricerca ma questa è un'altra storia.

Continuavo, ovviamente, a seguire le trasmissioni radio che più mi piacevano e, casualmente, un giorno, verso le 14.45, su radio 2, venne fuori la voce di Otello Profazio che ancora non conoscevo ma che catturò la mia attenzione già dalle prime note della sigla di quello che era il suo programma di musica folk. La canzone che apriva la trasmissione incominciava con un urlo disperato di un carrettiere che diceva di non voler fare più quel mestiere perché l’asino si rifiutava di salire… una bella canzone che mi portò a rivedere la mia posizione sulla musica popolare. Ma ciò riguardava solo le canzoni e soprattutto quelle di Profazio ma che non scalfiva i miei convincimenti sulla tarantella e i suoi riti e tempi scanditi dal “mastru da ballo” che non capivo e non volevo capire.

A farla breve, durante il corso della mia vita ho ascoltato di tutto, imparando ad apprezzare musica di ogni genere, proveniente da ogni latitudine e cultura, approdando anche alla grande musica, quella lirica, da ragazzo proprio non digerita ma che giunto ad una certa età ed avendo letto parecchio sulle opere e sui contesti in cui erano ambientate, ho cominciato a provare interesse e quindi ho iniziato ad ascoltare le opere dei grandi maestri nostrani, come G. Verdi. La sua “Trilogia” mi ha aperto la porta ad un fantastico mondo fino a quel punto semplicemente evitato con cura e quindi sconosciuto. E da lì, tempo permettendo, ho cominciato a recuperare il tempo perduto. Quindi musica di ogni genere e provenienza ma l’unica che non riuscivo ad apprezzare, era ancora la massima espressione della musica popolare calabrese: la tarantella! Ma anche questa era una mancanza, una lacuna che presto sarebbe stata colmata.

Alcuni anni orsono, un mio caro amico e collega di lavoro, mi riferisce di avere assistito ad uno spettacolo di piazza in cui ballavano anche le pietre! Uno spettacolo a base di tarantella suonata come mai prima, con strumentazione moderna oltre che d’epoca. La cosa mi incuriosì un po’ e così decisi che sarei andato a vedere codesto genere di spettacolo pur non nutrendo grandi aspettative. Nel frattempo le voci su questo gruppo musicale, i Taranproject, si chiamavano così all’epoca, correvano di bocca in bocca sempre più frequentemente e sempre accompagnate da lodi sperticate, ora sulla cantante e ora sugli strumentisti, in particolare su un certo “caddararu” il quale, oltre a cantare benissimo con la sua voce calda, profonda ed espressiva, suonava una infinità di strumenti come chitarra, organetto a mano, lira calabrese, ukulele, ecc. Così, come molti prima di me, ho scaricato alcune canzoni di codesto gruppo dalla rete e cominciai ad ascoltare.

E fu rivelazione! Non più canzoni “drittigne & malandrinesche” ma autentiche poesie. L’amore cantato in tutte le sue forme e problematiche; storie di lavoratori; canzoni su personaggi fiabeschi, il tutto condito da un arrangiamento musicale all’altezza dei tempi in cui viviamo. I taranproject, fondati da Mimmo Cavallaro e dal “Caddararu”, Cosimo Papandrea, suonavano una musica tradizionale si, ma scevra da incrostazioni strane, una musica libera per persone libere, una musica realmente popolare finalmente spogliata da strani e obsoleti contenuti legati ad un certo mondo che è meglio che stia relegato in ben altre dimensioni. L’esame era stato brillantemente superato e a pieni voti. Adesso dovevo vedere gli effetti che quelle canzoni potevano sortire su una pubblica piazza. Insomma, volevo vedere anch’io le “pietre ballare”.

E piazza fu! e pure più di una volta! Ed ogni volta ho visto cose incredibili! Un popolo estremamente assortito: ragazzini, persone di una certa età e persino vecchi bisognosi del bastone per stare in piedi accomunati dalla voglia di esserci in quelle piazze per ballare, gioire e lasciarsi andare al ritmo travolgente della tarantella. Altro che il samba! È la tarantella il ballo che ti prende per la testa, per i piedi, per le mani e ti trascina nel vortice delle danze che ognuno interpreta a modo proprio, l’importante è non perdere il ritmo. Avevo finalmente visto anch’io le pietre ballare! Avevo così, dopo decenni fatto pace con un genere musicale fino a quel punto abborrito ma che adesso amo al punto da non perdermi l’occasione di partecipare a queste manifestazioni popolari di piazza in cui la vera protagonista è la musica popolare calabrese!

Ho cominciato quindi a seguire con un certo interesse l’attività del gruppo la cui fama ha varcato non solo i confini provinciali ma anche quelli regionali, nazionali ed europei! Infatti so di loro tournée fatte in Francia, in Germania e persino in Canada, divenendo di fatto, i porta bandiera di una regione da sempre bistrattata, la Calabria, anche se i nostri governanti non hanno mai conferito onorificenze alcuna per l’impegno dal gruppo profuso nel diffondere, a livello, mondiale, l’immagine di una Calabria vitale, ricca di valori umani, cultura e quant’altro di buono può essere trasmesso attraverso della buona musica.

Qualcuno si è mai chiesto quale impatto ha avuto l’esperienza dei Taranproject sulla società calabrese? Ebbene, io non sono un sociologo e nemmeno uno studioso di codesto genere di fenomeni ma so leggere dai risultati che un fenomeno può produrre, se il fenomeno sia stato positivo o meno. E la risposta non può essere che assolutamente positiva. Basti pensare al risveglio culturale prodotto dal gruppo sulle nuove generazioni. Da ogni dove è tutto un fiorire di gruppi musicali che esportano in ogni dove la musica nostrana e gli antichi valori di questa nostra terra che decenni di tv e la globalizzazione non sono bastati a cancellare.

Credo che in altre parti del mondo, persone come Cosimo Papandrea non sarebbero state trattate nel modo in cui egli è stato trattato. Una persona impegnata anche nel sociale, al punto di cantare anche in qualche carcere o a iniziative di beneficenza.

È questo l’uomo che la “legge” italiana vorrebbe “rieducare”?

credo, e sono convinto di ciò che dico, che L’uomo della Tarantella non abbia bisogno di essere sottoposto a trattamento alcuno. Egli ha vissuto la sua vita giorno per giorno ed è assolutamente consapevole dei suoi errori, come egli stesso ebbe a dire in una intervista di qualche tempo fa, ma è anche da valutare che la sua condotta di vita in questi ultimi anni, testimonia una sostanziale maturazione sia come uomo che come artista, come si può “leggere” nel suo ultimo lavoro nel brano “E’ Natali” “…è Natali, è Natali è ‘nu jornu chi mi piaci ed eu stasira volarria ca tutti quanti fannu paci…” Pace! È ciò che manca su questa terra ed è ciò di cui avrebbe bisogno anche Cosimo.

Uomini di legge, lo vogliamo restituire alla sua vita? Ai suoi impegni nel sociale? Non dovrebbe essere difficile assegnargli un compito confacente con la sua natura di artista poliedrico e impegnato. Perché non utilizzarlo in modo a lui gradito? Ma da uomo libero!

Personalmente ringrazio Cosimo Papandrea e il suo gruppo musicale se, dopo molti decenni, ho fatto pace con la nostra musica popolare. Spero che gli uomini di legge si preoccupino di valutare anche quanto di buono egli ha prodotto lungo quel percorso astruso che si chiama vita e vogliano provvedere nel merito.


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