La riflessione. La Speranza... suona due volte
- Gianfranco Marino
“Pur camminando faticosamente verso Bova, la Città sembrava un vascello fantasma, mai vicina. Ci sono punti di osservazione attorno a questo nido di aquila, da cui guardando si vede la Sicilia che galleggia al limite dell’orizzonte con una grandezza imponente, la dove l’avrebbe messa esattamente un pittore”. I versi di Lear fanno da incipit ad un ricercato affresco che diventa tributo ad un centro, alla sua storia ed alla sua gente e nel contempo occasione di analisi e riflessione sul presente ma soprattutto sul futuro di un borgo che a dispetto delle tendenze globali, di ammainare la bandiera sembra proprio non avere voglia.
L’affresco/tributo è quello dedicato al borgo di Bova da Camilla Baresani, oggi sulle colonne di “Io Donna” prestigioso inserto rosa del Corriere della sera. La cartolina traccia i contorni quotidiani di un preciso angolo di Sud e di Aspromonte e lo fa da una prospettiva assai particolare, raccontandolo attraverso gli occhi di chi lo vive quotidianamente per lavoro anziché da turista piuttosto che da residente. Il titolo scelto, “A Bova la postina non suona due volte” è certo una simpatica parafrasi celebrativa della famosa pellicola dell’81 con Jack Nicholson e Jessica Lange, ma è soprattutto il frutto di un lavoro descrittivo che fa seguito ad un faccia a faccia, quello tra la cronista e le due portalettere del paese. Caterina e Stefania, negli anni hanno imparato a conoscere dopo le vie, le scorciatoie ed i numeri civici anche la gente di Bova e le loro abitudini e per questo sanno cogliere con occhio attento sfumature e dettagli di un Mondo dove l’arcaico abbraccia il moderno in una spirale di cui non riesci' a rintracciare mai l’inizio e la fine.
Mi sono sempre chiesto cosa percepisca il visitatore, ho sempre cercato di immaginare che gusto abbia quella percezione particolare, rapida, a pelle, e quel gusto l’ho ritrovato solo viaggiando, perché in casa propria l’autoanalisi è sempre pratica ardua, falsata com’è da sentimenti e legami affettivi con persone e con luoghi che rappresentano idealmente quel filo mai spezzato col proprio vissuto. Ho osservato più volte ed in modo attento la cartolina di oggi per non farmi sopraffare dalle logiche del campanile e riflettendo ho capito che non c’è preconcetto nelle parole della cronista come nelle sensazioni di Caterina e Stefania. Certo il ventre suggerirebbe l’aggiunta di qualche ingrediente, potremmo dire che Bova non è certo solo un pezzo da museo, con “i quadretti, le foto dei Papi e quelle dei cari defunti, con i fichi e le passate di pomodoro piuttosto che con il basilico ed i peperoncini in bella mostra nei cortili delle case”.
Bova non è solo “l’avvilimento delle badanti che non trovano un corso o una via per lo shopping dove passeggiare” diventando col tempo cartina di tornasole dell’angoscia e della rassegnazione di un paese che come tutti i paesi dell’entroterra corre verso una meta quasi scontata, perché guardando l’altra faccia della medaglia ti accorgi che Bova è diventato anche simbolo di molto altro, di un’inversione di tendenza ad esempio, quella che ha segnato il suo ultimo ventennio e che oggi lo fa riscoprire a migliaia di visitatori e soprattutto alle giovani coppie che per scelta non vanno più via, non più assaliti come un tempo da quell’irrefrenabile e malinteso senso di rivalsa sociale coinciso per anni col miraggio delle marine. Potremmo dire questo e molto altro, ma per onestà intellettuale voglio dare ragione alla Baresani, quando dice che a sentire presentata in certi termini la storia delle badanti, avverti una sensazione di tristezza, così come ha ragione anche quando sottolinea che l’atmosfera che respiri in paese è tutt’altro che dimessa consegnandoci così un parallelismo con i luoghi terremotati dell’Umbria e delle Marche, ha ragione è come, non fosse altro perché l’assonanza che percepisco assai nitida in questa analogia non è certo con le macerie e con la solitudine, ma con l'attaccamento l’ostinazione di quella gente che non vuole lasciare case, cose ed affetti. Ecco perché la mia personale chiave di lettura del pezzo è assai positiva, perché mi piace rintracciare il suo più autentico messaggio di speranza proprio nel finale, quello che va oltre la semplice poesia regalata dai fermo immagine del borgo, con quel neretto volutamente evidenziato che ci sottolinea l’importanza di “Un’Italia da perseverare e soprattutto da riscoprire”.
http://www.iodonna.it/attualita/in-primo-piano/2016/11/26/bova-la-postina-non-suona-due-volte/