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La riflessione. Scomparire in silenzio

  •   Bruno Criaco
La riflessione. Scomparire in silenzio

La prima volta che tentammo di “espugnare” Campusa eravamo in tre. Sembrava una battaglia troppo facile e l’affrontammo con due cesoie ed una roncola; a fine giornata riuscimmo a fare un passaggio, tra i rovi grossi come alberi, di quasi sei metri. Le spine che si conficcarono dappertutto, per settimane, ci ricordarono che non bisogna mai sottovalutare gli ostacoli che ci si trova davanti. Non ci facemmo intimorire dai rovi e tantomeno seguimmo i consigli di “compare Pietro”, uno dei pochi caprai che ancora frequentava quei luoghi, e che tentava di evitarci un lavoro secondo lui inutile.

Ci diceva che le abitazioni, che noi avremmo voluto ripulire e recuperare, non avevano scampo, i rovi e l’edera le avrebbero lentamente stritolate. Nel silenzio. Continuammo a pulire le case insieme alle associazioni di volontari che, riconoscendo la valenza del progetto intrapreso senza interesse e solo per l’affetto verso quei luoghi, si unirono a noi, e simbolicamente riuscimmo a ristrutturare una delle quattordici abitazioni. Ripristinammo la strada in terra battuta e ci portammo, con condutture provvisorie, l’acqua. Gli studenti della facoltà di Architettura dell’università di Reggio, guidati dal professore Maurizio Malaspina, fecero uno studio che dimostrava la fattibilità del progetto di recupero, che fu poi preso in visione dall’Ente parco e tuttora, l’Ente, si sta adoperando per la sua realizzazione.

Nel silenzio, insieme ai volontari pulimmo le vie del vecchio borgo, riaprimmo vecchi sentieri e ripristinammo sorgenti che per secoli avevano dissetato gli aspromontani, anzi i montanari, poiché il termine aspromontano all’epoca ancora non lo usava nessuno. Insomma, nel nostro piccolo abbiamo innescato un’inversione di tendenza: per la prima volta dopo decenni qualcuno vedeva nella montagna una meta da raggiungere.

“Compare Pietro” che a dispetto dei suoi settant’anni girava giorno e notte le falde più selvagge dell’Aspromonte ci seguiva con curiosità, stava appoggiato sul manico di frassino della sua ascia, che usava anche come bastone, e ogni tanto se ne usciva con qualche vecchio detto tramandatogli dagli anziani, e difficilmente si sbagliava. In una delle sue sagge esternazioni ci disse con parole sue, in un africoto strettissimo e quasi incomprensibile pure a noi, che non era il caso di entusiasmarsi più di tanto, poichè la maledizione della nostra terra è che alle prime difficoltà ti giri dietro e non trovi nessuno che ti segue, resti solo.

In tanti comunque vollero venire a vedere quello che si stava facendo, e alcuni solo per mera curiosità. Molte volte ci siamo trovati quasi a dover dimostrare o addirittura a giustificare la nostra buonafede ed il nostro disinteresse in quel progetto. Comunque il confronto con i visitatori, tra i quali vi sono stati insieme agli escursionisti, studiosi, professori, giornalisti e scrittori molto noti, ci fece capire che c’era molto pregiudizio verso la nostra montagna e verso la nostra gente, ed il più delle volte esso era infondato e dovuto alla conoscenza a volte distorta della nostra storia, scritta quasi sempre da “stranieri”.

Capimmo che dovevamo a tutti i costi cercare di uscire dall’isolamento al quale eravamo stati condannati, cercando di dare una visione delle cose dal nostro punto di vista. Dal punto di vista della nostra gente che per secoli è rimasta umilmente in silenzio, convinta che quello che aveva da dire non sarebbe interessato a nessuno. Questo ha messo la nostra storia, le nostre tradizioni nella condizione delle mura di Campusa: ineluttabilmente in attesa di essere “stritolate” dall’oblio. La presa di coscienza di questa necessità è una delle condizioni che porta alla nascita di in Aspromonte. Nascita piena di sacrifici e di rinunce obbligatorie, che però dopo quasi due anni ha dato a noi e ai compagni “d’avventura” parecchi risultati positivi e quindi tante soddisfazioni, e soprattutto ci ha confermato che avevamo ragione. Abbiamo dato un contributo modesto ma significativo alla nascita di un interesse per l’Aspromonte e per tutto quello che da millenni racchiude e che però negli ultimi anni era stato resettato.

Abbiamo fatto “parlare” finalmente la nostra gente, che in questi due anni ci ha regalato storie molto belle, ha condiviso con noi conoscenze che si stavano perdendo per sempre. Ma in termini economici questa scommessa è stata disastrosa, contributi pubblici non ne abbiamo avuti ed i pochi sponsor che ci hanno finora sostenuto hanno coperto solo una parte delle spese di stampa e di distribuzione del giornale. Spese che ormai non sono più alla nostra portata. Anche perché purtroppo tanti amici che all’inizio ci hanno spronato a creare un giornale che “difendesse” finalmente la nostra montagna, come purtroppo “compare Pietro” aveva facilmente previsto, si sono piano piano allontanati.

Cosa dobbiamo fare? Dobbiamo scegliere obbligatoriamente tra due opzioni: smettere di stampare in Aspromonte o provare a metterlo in vendita, con la speranza che si recuperi il necessario per continuare questa avventura. Spero che tutti quelli che finora ci hanno seguito capiscano che questo passaggio è inevitabile, e che quindi ci diano un segnale positivo. L’alternativa era di scomparire come le mura di Campusa o come le tante storie che in Aspromonte ha recuperato. In silenzio. Come le cose aspromontane.

 

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