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  •   Arturo Rocca
La Cascata Campolico La Cascata Campolico

Alessandro Magno divenne imperatore per aver tranciato di netto un nodo inestricabile con cui Gordio aveva legato il timone al giogo del suo carro dedicato a Zeus. L’Aspromonte è un nodo gordiano che nessuno, nativo o macedone che sia, è mai riuscito a sciogliere. La Sierra de Tramuntana, con un nodo di cravatta inventato da un italiano, ha impreziosito un luogo divenuto uno dei posti più apprezzati e frequentati dal turismo internazionale.

L’Aspromonte è un massiccio montuoso che copre l’estremità meridionale della Calabria, è esteso circa 1650 Kmq e culmina a 1956 metri, con il Montalto o Cucuzza da cui partono numerosi contrafforti che scendono al mare. É inciso da forre profonde e selvagge per l’azione erosiva delle acque che, nella parte finale, si allargano con dei letti ampi e abbacinanti per il biancore dei ciottoli trasportati dalle piene alluvionali. Altra caratteristica sono i piani, detti campi, posti a quattro livelli tra i 700 ed i 1300 metri, che rivelano le varie fasi di sollevamento e prodotti dall’abrasione marina. Dal 1989 è area protetta, e con Dpr 14/01/1994 viene istituito il Parco nazionale con una dotazione di circa 67mila ettari da parte di 37 comuni.

La Sierra de Tramuntana è formata da una sequenza di montagne scoscese, è estesa poco più di 1000 Kmq in tre formazioni montuose ed occupa circa un terzo della superficie dell’isola di Maiorca nelle Baleari. La formazione geologica è prevalentemente di rocce calcaree che per la loro permeabilità costituiscono un’immensa riserva idrica per tutta l’isola. L’erosione dei corsi d’acqua ha creato spettacolari canyon che incidono profondamente le rocce fino al mare. Alcune cime superano i 1000 metri: il Puig de Massanella (1367 metri), il Puig Major de Son Torrella (1445 metri). La Sierra si estende su 19 comuni con configurazioni diverse, da creste a tre ondate successive con vallate interrotte e a gradinate collegate da gole, a montagne scoscese con fertili vallate come nel caso di Sòller, Andratx e Pollença. Dal 27 giungo 2011 è stata dichiarata patrimonio mondiale dell’umanità con la seguente descrizione Unesco: “Il paesaggio culturale della Sierra de Tramuntana (Spagna), catena montuosa, si trova su pendii ripidi, da un parallelo alla costa nord-ovest dell’isola di Maiorca. L’antica agricoltura, in un ambiente con scarse risorse idriche, ha trasformato il terreno e ha visualizzato una rete articolata di meccanismi di gestione delle acque tra le diverse trame, ed è di origine feudale. Il paesaggio è costituito da coltivazioni a terrazze e meccanismi di distribuzione di acqua interconnessi, tra cui mulini ad acqua e costruzioni in pietra senza malta e aziende agricole”.

Frequento l’Aspromonte da molti anni e vi pratico normalmente il trekking da solo e con l’associazione Gente in Aspromonte, sporadicamente il canyoning con un gruppo di amici dell’associazione MedAmbiente guidati da valenti torrentisti; in testa Natale Amato ed a seguire Vincent Iodice e lo speleologo Enrico Reale e, per alcuni anni, l’ho percorso anche a cavallo e ne sono letteralmente invaghito. Considero l’Aspromonte una montagna non convenzionale e non scontata per gli innumerevoli aspetti che possono incantare gli appassionati dalla geologia alla flora e fauna ai vari paesaggi, non ultimi i colori. Confesso che ho letto con una punta d’invidia la motivazione per cui l’Unesco ha deciso di promuovere la Sierra a patrimonio mondiale dell’umanità e posso dire senza tema di smentita che ben si adatterebbe alla nostra montagna.

Penso alla conformazione geologica, sicuramente più varia della Sierra, prevalentemente graniti ma sono presenti i calcari e le calcareniti (la calcarenite è una roccia sedimentaria clastica costituita da una matrice carbonatica e da uno scheletro arenaceo. La pietra calcarea, o calcare, è una roccia costituita completamente da carbonati). Non mancano le arenarie (roccia elastica formata da sabbia quarzifera cementata con argilla, marna, calcare ecc.), le ambe tufacee di natura e consistenze diverse. Penso alla nostra agricoltura sapientemente terrazzata e all’utilizzo delle risorse idriche tramite mulini di sollevamento, norie e gurne di raccolta, sicuramente di origine alto medievale così come tutte le costruzioni in pietra senza malta e le masserie dislocate ai confini dell’umano, a volte appese su spuntoni di roccia a dominare vallate incontaminate. Penso alle bellissime serie di terrazze della costa viola su cui per secoli è stata coltivata la vite che ha prodotto pregiati vini schiariti dai tramonti ed aromatizzati dai venti salmastri e che non avevano bisogno di aiutini chimici. Penso alle coltivazioni di patate e fagioli pappaluni sui piani in quota, che non hanno bisogno di rogor ed altre alchimie. Penso all’estrazione del ciocco di erica che ha fatto impazzire generazioni di fumatori di pipa per le sfumature dei fornelli, alle migliaia di palmenti scavati nella viva roccia che gocciolavano lentamente mosti per l’Impero romano. Penso alle migliaia di calcare (fornaci da calce) che fornivano materiale per la malta di tutti gli edifici che, come legante, ha tenuto meglio del cemento armato durante le scosse telluriche che ci hanno ricordato ciclicamente la nostra finitezza.

Penso alle migliaia di mulattiere selciate su cui hanno transitato tonnellate dicarbone d’ilice che mani sapienti ed amorevoli di carbonai hanno assistito insonni nei ricoveri improvvisati. Immagino con quanta maestria ed inventiva si conservavano i prodotti caseari che non potevano essere smerciati quotidianamente e quali e quante prove prima di arrivare alla ricotta affumicata coi ceppi di castagno composte in forme che ancora fanno discutere l’antropologo. Penso alle centinaia di torri costiere che hanno alimentato speranze e salvato vite ed oggi sono lasciate alla discrezione degli agenti atmosferici e del vandalismo sado-masochista. Penso a quante fatiche per montare enormi ruote di granito sapientemente scalpellate per accarezzare le tenere olive ed il tenace iermano a fornire pane e olio, principale nutrimento per generazioni di montanari che ci hanno reso la vita meno dura e carica di aspettative.

Non siamo patrimonio dell’umanità perché abbiamo sperperato ogni cosa, cancellando la memoria a colpi di benna. Se mai un giorno si affaccerà all’orizzonte qualcuno che superi in altezza i nani che hanno avuto – ed hanno in mano – il destino della nostra montagna, e che riesca a sciogliere quel nodo gordiano, avremo ancora qualcosa da presentare agli appassionati della montagna; tesori che ancora non sono stati distrutti perché le automobili non possono trasportare i carichi di grassi saturi e colesterolo là, dove essi si trovano. Penso ai tesori conosciuti solo dagli escursionisti più audaci ed ai canyon frequentati solo dagli appassionati che hanno osato sfidare l’ignoto, precursore Peppe Trovato. Penso alle fiumare selvagge che si originano dal Montalto, prime fra tutte la Butramo, la San Leo-Aposcipo-Ferraina-La Verde, la S. Agata (5 salti con uno di 40 metri), l’Ammendolea bassa e le Maesano. A seguire il vallone Marte-Gigliola (6 salti con uno di 35 metri) ed il Virgolitri (5 salti con uno di 38 metri) di Bova, la Furria (5 salti con uno di 13 metri) e la Mangusa (3 salti con uno di 40 metri) di Roghudi, la Barvi con Jamundo (42 metri) e Galasia di Molochio, la Campolico (11 salti con uno di 20 metri) di Samo, La Ferollà e la Santa Venere di San Luca, la Nessì-Caccamelle (6 salti con uno di 18 metri) di Ciminà, la Salino (3 salti con uno di 45 metri) di Mammola, fino alla breve ma divertentissima Cortaglia di Antonimina.

(Continua)


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