Lei, madre della consolazione
- Cosimo Sframeli
E’ difficile conciliare le nostre vite complesse, soprattutto se si è bisognosi e sofferenti, ammalati in ospedale.Per poi ritrovarsi con sensi di colpa e rimpianti.
Le malattie, anche se non si è in pericolo di vita, sono qualcosa di profondo e più compromettente di una semplice patologia. Toccano l’anima, suscitano interrogativi profondi, producono sensi di angoscia e una dolorosa consapevolezza della fragilità umana. Non c’è pianto né cura se non quella di far penetrare parole di grazia dentro il particolare status spirituale che si vive.
In ospedale, avevo bisogno di una parola affettuosa e Lei mi sussurrava di essere con me: mi pensava e mi stava vicino, sempre, anche quando non poteva esserlo fisicamente. Mi pronunciava queste parole con tenerezza, guardandomi negli occhi.
Una parola e una carezza che avrebbero accompagnato la mia mente e il mio cuore; che avrebbero spezzato quel muro di vetro che pareva isolasse chi soffriva sotto una cappa invisibile e impenetrabile.
Quando si è ammalati, si ritorna bambini. Improvvisamente, ci si sente dipendente dalle cure degli altri. Incapaci nel governare il corso degli eventi, condannati a una passività tanto più pesante quanto meno i medici e gli infermieri coinvolgono nel progetto di cura e di guarigione. E’ proprio vero, durante le malattie si rilegge la propria esistenza. E in ospedale non si agevola questo percorso di “ricomposizione” emotiva e affettiva della propria vita. Accade di peggio negli anziani o nei malati gravi la cui estraneità dagli affetti è estrema.
Ero troppo stanco per parlare e Lei conversava piano: mi raccontava i momenti belli condivisi e i progetti futuri che mi davano gioia. Seduta vicino, mi teneva la mano con dolcezza, trasmettendomi affetto e sicurezza, ascoltandomi con attenzione e tenerezza mentre mi raccontavo. Per stemperare l’inquietudine, rileggevo la mia vita, per ridarle un senso, vicino alle persone amate.
Lei mi portò un piccolo dono, un fiore accompagnato con una lettera affettuosa che assicurava quei sentimenti di cui avrebbe avuto pudore di esprimere a voce. Una lettera che mi diede conforto e compagnia, che lessi e rilessi più volte.