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Ombre e luci. Operazione "Aspromonte"

  •   Cosimo Sframeli
Ombre e luci. Operazione "Aspromonte"

Nel 1955, quando in provincia di Reggio scende il questore Marzano, in sostituzione, inaspettata e improvvisa, del questore Sciabica, per opera di repressione contro la ‘ndrangheta, Corrado Alvaro prende la parola per conto e a nome del brigante Antonello (Gente in Aspromonte) che, per incontrare la Giustizia, ha dovuto farsi ribelle in nome del proprio diritto offeso, e scrive sul Corriere della Sera il racconto-saggio L’Onorata Società

Si rituffa indietro e dice le ragioni morali, sociali e culturali della fibbia. Traversa mezzo secolo di storia calabrese e, riguardandola dal presente al passato, coglie la lenta trasformazione della fibbia, il suo mutarsi in mafia e, di conseguenza, la conquista del “potere ufficiale e finanziario”, i lunghi anni di indisturbata azione, l’indurimento dell’impunità, l’effimero rigore della legge, il comportamento della classe dirigente. Coglie le ragioni antropologiche in forza delle quali un giovane chiede di far parte dell’Onorata Società. Afferma: «Questo vorrei notare nella psicologia della mafia, la rivalsa di una certa condizione, il fascino d’un potere segreto che si ride di ogni altro potere, e che pretende di esercitare una leggendaria giustizia secondo il codice d’una brigantesca cavalleria». Ed ancora: «E da qualche decennio ho sempre ritrovato in certi paesi, dove più dove meno, l’impressione di qualcosa di occulto che è nell’aria, quel parlare sommesso e per accenni, quella cautela, quel voltarsi indietro, quell’atmosfera furtiva per cui anche nelle mura domestiche si parla bisbigliando di certe persone e certi fatti. E l’improvviso silenzio di un paese, certi giorni; le strade deserte, le finestre chiuse».

L’Onorata Società

La società contadina, mutandosi, non ha mutato la civiltà contadina. Ed incrollabili si sono mantenuti i valori della civiltà contadina che massimizza il culto della famiglia, l’onore, il sangue, la fierezza, la disistima totale dei poteri, la vendetta privata dei torti come equivalente di un alto ideale di giustizia deluso. La classe dirigente prende atto nel corso dell’aspro dibattito parlamentare, il 5 e 6 ottobre dello stesso anno, dell’esistenza della malavita, e sminuisce, sdrammatizza, rimane in superficie, si autoassolve. E conclude: «Non è un semplice problema di polizia, né si tratta di mettere sotto accusa e in stato di assedio una intera provincia. La norma per un’azione seria, potrebbe dettarla l’esame di come si è comportata la classe dirigente da cinquant’anni. Questo non è tutto, ma può essere molto utile».

Corrado Alvaro elabora una tesi sull’Onorata Società, dopo cinquant’anni da Gente in Aspromonte, e dedica alla Calabria una attenta analisi politica. Ripercorre gli anni del travagliato e la continuità della ‘ndrangheta, anche durante la guerra. Infatti, il Crimine, subito dopo lo sbarco degli Alleati, in ogni modo, viene bilanciato dal nuovo e rinnovato peso politico. Scrive Arlacchi: “Tra il 1943 e il 1945 i mafiosi furono nominati, dal Governo militare alleato, sindaci di buona parte dei comuni della Sicilia Occidentale e della provincia di Reggio Calabria”. In questo scenario irrompe la famiglia di Antonio Macrì, da tutti ritenuto il capo della ‘ndrangheta di Siderno, detto il “boss dei due mondi”, c.d. “un personaggio di tutto rispetto”.

É Macrì ad assegnare i guardiani ai “signori” possidenti e questi corrispondono i compensi per essere certi di non subire danni alle loro proprietà. Non viene meno, in quel periodo, la funzione della ‘ndrangheta come soggetto politico, sia direttamente impegnata nell’amministrazione pubblica sia interlocutrice privilegiata nell’assegnazione di lavori e servizi. É strumento per risolvere le lotte per il potere che imperversano in diversi partiti politici. Antonio Macrì, nella Calabria sfregiata dall’abbandono, è persona di poche parole ed ha la capacità di intuire l’importanza della contiguità con il potere politico e la necessità di stringere un patto con gli americani. Un boss che si muove alla testa di un’organizzazione potentissima che, negli anni Cinquanta, è riuscita a ramificarsi in Canada, negli Stati Uniti ed in Australia, costituendosi in altrettanti sottogruppi, o “camere di controllo” (con funzioni di tribunale della mafia e di coordinamento delle attività criminali). “Ciò avvenne”, informava un rapporto dei Carabinieri, “per una precisa volontà dei boss calabresi e quelli di Cosa Nostra, Frank Costello ed Albert Anastasia, che intendevano prevenire possibili contrasti tra l’organizzazione siculo-americana e quella calabrese”. Tempi destinati a cambiare.

Il business della droga

I nuovi boss, quelli con le scarpe lucide, all’intermediazione parassitaria, hanno preferito il business della droga. Hanno cominciato ad abbattere a colpi di lupara e di mitra i vertici della vecchia ‘ndrangheta. All’età di 71 anni, Antonio Macrì viene ucciso nel suo regno da due sicari. “Era un mafioso che prendeva, ma che sapeva anche dare”, commentava il giornalista Luigi Malafarina in uno dei suoi libri sulla mafia calabrese, ricordando il boss di Siderno. Un’esecuzione, forse, decisa oltreoceano ma destinata a cancellare regole e a violare giuramenti, a spazzare uomini che hanno pazientemente costruito in Calabria “uno Stato dentro lo Stato”. L’8 settembre 1955, il Prefetto di Reggio Calabria, in un suo rapporto, rappresenta le pressioni che le ‘ndrine operano sulle Amministrazioni comunali, nei paesi “soprattutto prossimi alla fascia aspromontana”, condizionandone l’azione amministrativa “attraverso le acquiescenti tolleranze di amministratori e l’arrendevolezza supina degli esponenti delle categorie sociali più elevate, in affitti, appalti, concessioni di servizi, riscossioni di diritti d’uso civico e via dicendo, dai quali ritraggono, sotto forme di percentuali, illeciti profitti”. Scrive Alvaro: «Con uno spiegamento d’inviati speciali, la stampa italiana si è buttata sull’‘Operazione Aspromonte’ secondo il termine cinematografico adottato per l’occasione. In verità vi si gira un filmetto mediocre che non vale tanta pubblicità. Una normale operazione di polizia, poiché i nomi degli affiliati li conoscono persino i ragazzi della provincia di Reggio Calabria, sarebbe bastata a ripulire l’ambiente, a evitare le reviviscenze e a scongiurare le dicerie dei reggini”. Una pagina di storia che, seppur dimenticata, è rinnovata nella quotidianità.


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