Parole in libertà. Polsi e le menzogne di Roberto Saviano
- Antonio Strangio
A scanso di equivoci diciamo subito che ho sempre cullato l’idea (ma sarebbe più giusto dire il sogno) di raccontare Polsi e tutte le cose polsiane. A maggior ragione dopo che ho portato a termine il progetto di regalare ai pellegrini di Polsi una piccola guida che, a volo d’uccello, potesse dare a tutti la possibilità di conoscere storia e leggende del Santuario più amato dai calabresi, almeno per quanto riguarda la provincia di Reggio.
Scrivere di Polsi, per me che conservo per il sito un amore antico, è anche un modo per rendere giustizia a un luogo che in molti si sono affrettati a definire un “non luogo”, una caverna di negatività, il simbolo del male, amplificando a dismisura fatti che in altre realtà pure si verificano.
Scrivere per raccontare quello che è veramente Polsi; perché altrimenti si rischia di far passare per vero tutto quello che artificiosamente è stato scritto in questi ultimi venti anni. E, perché, diversamente, si rischia di dare ragione a tutti quelli che vogliono che ai pellegrini del Santuario venga chiesto di esibire (come è successo), oltre alla carta d’identità, anche quella relativa alla fedina penale.
Scrivere per evitare di dare ragione e spazio a tutti quelli che sul Santuario hanno parlato per “sentito dire”, e si sono preoccupati di dare “voce” soltanto a ciò che poteva mettere in cattiva luce il luogo e le persone.
Scrivere perché, altrimenti, noi che sappiamo rischiamo di fare il gioco di quelli che invece nulla sanno.
Insomma, scrivere per raccontare il sogno che ho sempre tenuto dentro e che, a questo punto, non posso continuare a nascondere; perché su Polsi è stata davvero superata la misura, se è vero che in questi ultimi anni, a parte poche eccezioni, gli aspetti negativi (luogo di ‘ndrangheta, luogo di riunione, luogo di sequestri, luogo di malaffare) sono stati i soli disvalori reputati interessanti e ospitati dalle pagine dei quotidiani regionali e nazionali. Il solo scopo è di bollare il sito e i simboli come “luogo del male”; un epiteto che, invece, un eremo così carico di storia e di fede non si merita e non gli appartiene.
Quando lo scrittore-ingegnere napoletano, Luciano De Crescenzo, si occupò in un suo libro di Polsi, dedicandogli un intero capitolo, allora compresi che i tempi erano più che maturi per prendere carta e penna - perché io sono uno dei pochi che ha ancora il coraggio di preferire l’inchiostro all’ordine del computer - e raccontare Polsi a modo mio. Capisco che indirettamente sto pubblicizzando il libro di Luciano De Crescenzo, Fosse ‘a Madonna!, e che per tale iniziativa né l’autore e tanto meno la casa editrice penseranno di ringraziarmi, ma se anche un autore del calibro dell’ingegnere napoletano, che ha saputo rendere meno insulsa una materia come la filosofia, scrive di Polsi per sentito dire, regalandogli il capitolo “La Madonna della ‘ndrangheta” che è un po’ la sintesi di tutto quello che in questi ultimi venti-trenta anni è stato detto e scritto, allora è giusto, anzi urgente, raccontare la Madonna della Speranza, la Madonna della Fatica e delle Lacrime, la Madonna della Solidarietà e dell’Amore, la Madonna del Parto. Insomma: la Madonna di Polsi.
La stessa riflessione vale per l’ultima fatica letteraria di Roberto Saviano - Zero, Zero, Zero - i cui proventi dovrebbero essere equamente distribuiti tra tutti i cittadini che pagano le tasse e vivono in sintonia con i principi fondamentali della carta costituzionale. É opinione comune che i guai - ma è giusto dire anche il grande successo di critica e di pubblico dello scrittore napoletano, salito a Polsi per vedere da vicino il famoso albero cavo -, iniziarono all’indomani del suo primo libro inchiesta Gomorra. In quell’occasione, sfuggita anche ai giornali (era il 28 novembre del 2009), Saviano, attratto dalla leggenda dell’albero, si dimenticò della storia del Santuario e delle sue antiche e millenarie tradizioni. E per vedere e scrivere fu accompagnato e scortato da tre macchine della benemerita.
Ne è venuto fuori un racconto per nulla veritiero del luogo e dell’albero, perché molto allusivo e condizionato dalle prefiche che non perdono occasione di denigrare Polsi e la sua festa, tanto che oggi mi sorge il dubbio - e l’ho pure scritto in tempi non molto lontani - che qualcuno o qualcosa non voglia che a Polsi si speri e si preghi! Tutto questo castello di menzogne e di leggende, Saviano lo ha confermato e sottolineato nel corso di un articolo apparso su Repubblica, all’indomani della visita in Calabria di papa Francesco: «A Polsi il 2 settembre al Santuario della Madonna in Aspromonte i capi si riunivano mischiandosi ai fedeli per dare nuove investiture e costruire alleanze, siglare patti. Non a caso “l’albero della scienza” metafora della struttura ndranghetista si trova proprio vicino al santuario». Titolo dell’articolo, pubblicato domenica 22 giugno 2014: “Il boss e il crocifisso. Il papa smaschera la grande menzogna sugli uomini d’onore”.
Ah! Se potesse parlare, l’albero. Con la sua voce forte di tanti secoli, racconterebbe tutte le verità che gli appartengono, chi l’ha visitato e perché l’ha fatto, chi vi ha cercato riparo, chi si è cibato dei suoi frutti, l’interesse che ha suscitato, per far tacere così tutte le menzogne montate ad arte che hanno in parte offuscato e offeso le sue stagioni, il cono della sua ombra, affascinante disegno dell’anima, il frignire che diventa parola delle sue foglie, la maestosità del suo silenzio, un interminabile discorso che incanta, il fascino della sua figura. Il mistero degli anni che nel suo caso sono diventati secoli. La metamorfosi della sua figura, non più rigogliosa e carica di foglie e di colori, ma come un anziano essere umano stanco e ammalato che ha perso i capelli e pure lo smalto degli anni migliori. Meravigliandoci, ed è un aggettivo molto usato dall’attuale superiore don Pino Strangio, di avere la fortuna di continuare a guardare con meraviglia tutto ciò che Dio ha posto sulla terra, con particolare riguardo nella valle di Polsi, dove non vivono e regnano diavoli e folletti, saltimbanchi e professionisti del male, perché il sito è un’oasi di profumi che distinguono, qualificano e valorizzano la pietà popolare mariana. Cioè, è il regno della Madonna.