Pietro Sergi: «A Platì servono i Leader, non gli hashtag»
- Pietro Sergi
In questi giorni è divampata la polemica sulle dichiarazioni del sottosegretario Minniti, che per “dare un’idea” della densità terroristica a Molenbeek ha pensato fosse opportuno paragonarla alla densità ‘ndranghetista a Platì.
Credo fermamente nelle figure carismatiche che uniscono nelle diversità piuttosto che attingere continuamente al motto “Dividi et Impera”.
Le generalizzazioni, come sempre accade, colpiscono e feriscono il debole e creano le condizioni per far passare l’idea che i due poteri che si combattono, quello istituzionale e quello criminale, alla fine pari sono: entrambi repressivi che schiacciano chi sta in mezzo. Vittime e carnefici sullo stesso piano non possono convivere.
Cioè generalizzare crea altre generalizzazioni.
Platì è solo la punta di un iceberg, ma il problema è molto più ampio e non credo si risolverà mai con la sola repressione. Credo, come accennavo prima, che ci vogliano figure carismatiche, Leader in grado di conquistare la piena fiducia della comunità che amministrano, che le guidi con gli esempi e non con gli hastag e che torni a vivere la Politica come missione al servizio della buona amministrazione e della crescita della collettività che si amministra.
Leader che fungono da decodificatori e che non hanno paura del pensiero altrui; che ne sentano, invece, il bisogno, che usino il pensiero di tutti come antidoto all’isolazionismo che il potere sempre di più sta creando, alzando barriere, creando vuoti dove si incuneano altri poteri che vanno a collocarsi tra i cittadini e il potere istituzionale; fingendosi più vicini e affidabili delle Istituzioni. Meno burocratici, più sbarazzini e sbrigativi. Il vuoto tra istituzioni e cittadini, creato dal potere politico/istituzionale è il vero spazio di manovra per la criminalità di ogni risma.
Fin dall’inizio del dibattito sulle Amministrative di Platì, mi ero detto scettico non tanto sulle persone, quanto sul progetto targato PD.
Si è lavorato su due fronti: uno sociale, uno mediatico.
L’errore è stato lo sbilanciamento verso l’aspetto mediatico, incoraggiato da un’informazione di stampo “scooppistico” (senza voler generalizzare, perché in tanti hanno anteposto il pensiero all’esigenza di botteghino e tirature varie), che spesso ha preteso solo l’effimero senza mai chiedere conto delle cose dette in passato, senza alcuna verifica sull’effettiva veridicità dell’intervista del mese prima.
A Platì, però, questo dibattito ha fatto venir fuori un sufficiente numero di persone preparate e con la Cultura giusta per prendere in mano, da assoluti protagonisti, il destino della propria comunità, in grado di guidarla ed amministrarla con criteri nuovi; in discontinuità con il passato, del quale non si può far finta di non vederne le storture e le falle che ha evidenziato.
Sono fermamente convinto che laddove il potere istituzionale non arriva, arriva debole o volutamente con modalità sbagliate, debba intervenire e subentrare una forte volontà di autodeterminarsi. Attraverso le regole e le leggi vigenti, certamente, ma appropriandosi del proprio destino. Non vi è altra strada.
Ogni comunità disagiata, deve rendersi conto che la Cultura assistenzialista è tramontata, che ci è rimasta la Cultura ed è sparita l’assistenza.
Bisogna rendersi conto che si è chiusa un’Era e se ne deve aprire un’altra, dove chi ha depredato ora fugge e toccherà ancora una volta agli umili e agli onesti raddrizzare la barca. Non esistono missioni impossibili, l’uomo ha dimostrato di saper distruggere e creare, creare e distruggere. E’ così dappertutto.
A Platì ci sono le condizioni per una svolta di questo tipo. Ma ci vuole coraggio, autodeterminazione, fiducia in se stessi e voglia di intraprendere una stagione nuova. Se non verrà fuori una figura carismatica, si lavori di gruppo. Si abbandonino per un lasso di tempo le ideologie e si ponga come unico orizzonte la rinascita democratica di un Comune, perché solo ripristinando la Democrazia ci sarà spazio per tutte le ideologie e i convincimenti soggettivi.
Il Potere istituzionale ha inteso abbandonare il compito, il dovere, di fare selezione tra gli amministratori. Si è, anche in quel caso, colpito l’onesto e chi onesto non si era dimostrato. La macchia di aver fatto parte di un’Amministrazione sciolta per infiltrazioni mafiose è un marchio indelebile per tutti, onesti e meno onesti.
Invece bisognava lavorare per dividere la farina dalla crusca. Privilegiare il virtuoso e imporne la riconferma. Invece si procede per generalizzazioni, per tagli lineari, per la globalizzazione al ribasso di intere comunità, soffocandone le peculiarità positive.
Ci vuole, per finire, un protagonismo locale nuovo e in discontinuità col passato. Se non si può mettere in sicurezza il torrente Ciancio, si provi almeno a portare l’acqua nelle case. Se non si può risolvere tutti i problemi materiali, si inizi a ricostruire una comunità coesa e consapevole sì dei propri limiti e storture, ma che ha il coraggio di imporre anche le proprie positività.
Per fare questo, non vi è altra strada che abbandonare chi risponde a logiche estranee ormai alla comunità, lasciar perdere promesse e sfilate; mediaticità e dibattiti che finiscono sempre come le onde su una spiaggia deserta, autoconvocarsi e mettersi in testa che se si sta male in un posto dove si vive, e ci si è legati emotivamente, i primi a star male saremo sempre noi che ci viviamo.
Rimboccarsi le maniche, accettare la sfida del cambiamento che ci servirebbe e portarlo avanti. A testa alta, senza timori verso niente e nessuno. Senza sigle alle quali rispondere, e se proprio non si può farne a meno non chiamare i piromani a spegnere l’incendio. Se nessuno è “propheta in Patria”, neppure esistono i Salvatori della Patria arrivati da fuori. Pur con le migliori e più nobili intenzioni, alzi la mano chi crede che senza la volontà di tutti cambierà mai nulla!
In bocca al lupo a Platì e a tutta la Calabria.