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Platì: ... E Mimmo Demaio osserva da lassù

  •   Francesco Raymond Violi
Platì: ... E Mimmo Demaio osserva da lassù

«Da qui ne vediamo delle belle sapete? Grasse risate e grossi sbigottimenti per ciò che si dice e per quel che si sente. Ormai sono 30 anni che vi osservo e quante ne avete combinate eh?! Giungono qui, nel Ciel dei cieli, echi di azioni irrisorie, frasi sbiadite, incertezza e paure. Parlavo giorni fa con grandi platiesi del passato in uno dei nostri tanti ritrovi. 

Anche qui abbiamo i nostri summit:

Don Ernesto si diletta nei latinismi e qui ce ne sono di dotti; 

il dott. Papalia sfida i più, in eccelsi discorsi filosofico-letterari; 

Giacomo Tassone-Oliva compone in versi; 

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Cicciu i Santa prova le più disparate macchine fotografiche regalando scorci di paradiso che solo un occhio acuto come il suo può scovare. Ha costruito anche dei calandreji per vecchi nostalgici. 

Mentre Cicciu i Mastru Micheli… Ah!!! Sapeste quante ve ne ha recitate, quante ve ne ha dette. Qui le sue rime han rallegrato raduni di platiesi. La sua ironia tagliente ogni tanto giunge ai piani inferiori affinché si faccia ammenda. Sembra quasi sia stato commissionato da qualcuno, come a dire “ehi, ricorda ai tuo compaesani di sotto cosa han fatto. Devono espiare ancora e ancora prima di poter solo alzar lo sguardo!!!” 

Quante ne vediamo da qui e quanto potremmo dirvi…

Accennavo prima, nel discutere giorni fa con vecchi e nuovi amici raccontavo loro i miei comizi, ce n’era di gente e tutti di Platì. Il forestiero è sempre stato ben accolto ma a coprire le cariche di governo sono sempre stati Platiesi. 

E si!!! 

Potrei improvvisare un comizio ora:

Cari concittadini, da che mondo e mondo Platì si vende al meglio offerente? 

Da quando in quando non si parla più di politica nel senso buono del termine, “POLITIKE”: che attiene allo stato, che appartiene alla vita comune e quindi al cittadino”? 

Dove sono finiti le vecchie fazioni? 

E le nuove appartenenze? 

Se non avessimo una storia, una tradizione dietro, miei cari, potrei anche tacere, ma, mi preme render noto che questo villaggio dimenticato dagli uomini e non da Dio, può vantare illustri menti nelle arti, nella cultura, nelle lettere, nelle scienze e nella politica. Ebbene, l’aria è così tanta sopraffatta e annerita dalla mole di quei motorini che si “respira” tutt’altro che un buon clima. 

Non vi fidate fra di voi? 

Temete di esporvi? 

Eppure non vi sono mai stati così tanti legami fra cumparaggi e matrimoni come nella vostra epoca. Ai tempi miei molte cose ancora erano in semina. Ora siete quasi tutti parenti eppur alla deriva. Perché non sostenersi come una grande famiglia allora? Certo vi può essere competizione, ma sana e guidata dal buon senso. Prima di dar spazio di movimento e di voce a esterni date spazio al vostro coraggio. Tirate fuori la capacità e la voglia di ascoltarsi e ascoltare. Quella terra è stata coltivata dai vostri padri che ora sono qui a fianco a me. Le loro mani han mantenuto i calli per rimembrare ciò che sono stati. 

E da qui vi guardano. 

Avete anche smesso di pregarli. Non vi rivolgete più a loro.  Ma l’avete intuito o no che noi vi ascoltiamo? Anche quando ci parlate al camposanto e guardate fissi le nostre sbiadite foto, noi vi ascoltiamo. 

Parlateci.

Miei cari compaesani… 

Ditemi che non sono stato ammazzato invano, ditemi che la mia morte non ha lasciato solo il ricordo dell’uomo che fui e la nostalgia di un paese che non c’è più. 

Mi fate star male, sapete, se mi lasciate credere che questa è la mia eredità. 

Ditemi che credete in voi e nei nostri giovani come ci ho creduto io. 

Come dicevo sempre al mio consigliere 

“cumpari viditi ca non vogghju u guardati no u jancu e no u niru ma voggju u facimu pa tutti a stessa manera!”

Platì, può!!!»


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