Riflessioni. Calabria sempre al verde
- Gianfranco Marino
Calabria sempre…al Verde, come i boschi e come la speranza degli aspromontani. C’era una volta, non molto tempo fa, l’Azienda Forestale Regionale, l’Afor per intenderci. Fucina di talenti, di lavoratori infaticabili, di cantieri dislocati a macchia di leopardo dal mare alla montagna. Proprio l’Afor, per qualcuno, dicono i bene informati, ricettacolo di voti ma anche e soprattutto speranza di lavoro per quanti cercano un’alternativa all’emigrazione ostinandosi a rimanere legati alla propria terra, proprio quella terra ormai atrofizzata ed assuefatta alla sottomissione di borbonica memoria. Dopo le grandi fughe verso il nord Italia ed il centro Europa tra la fine degli anni cinquanta e la metà del decennio successivo, proprio verso l’inizio degli anni sessanta lo Stato, con l’istituzione dei cantieri per il rimboschimento delle nostre montagne apriva una nuova era, regalava una nuova speranza a chi fino ad allora aveva visto in quelle montagne, solo la possibilità di utilizzare vaste aree da adibire a pascolo o a seminativo. In oltre cinquant’anni, sull’Azienda Forestale Regionale si è detto e scritto di tutto, si è puntato l’indice verso speculazioni, imbrogli e ruberie di ogni genere, alcune provate da sentenze passate in giudicato, molte altre, rimaste poco più che leggende metropolitane, utili a riempire le pagine dei giornali. Ormai da qualche tempo, l’Azienda Forestale non esiste più, o almeno non con questo nome, ora c’è qualcosa di più ecologico, che fa pendant col territorio, c’è l’Azienda Calabria Verde, molti dicono, che il verde sia da accostare al colore delle montagne e di una natura che, quasi incontaminata, rimane la a guardare da sempre, ribellandosi solo di rado alla prepotenza dell’uomo. Altri dicono che il verde sia più vicino al colore delle tasche dei calabresi e degli aspromontani in particolare, oggi più di ieri, adeguatisi alla crisi, molti altri ancora, più maligni, sostengono che il verde sia quello di certe banconote di vecchio e nuovo conio, con cui negli anni si è comprato di tutto, ville, auto di lusso, onorabilità e sudditanza. Certo, la verità sta sempre in mezzo, proprio come l’Aspromonte, che sta la a dividere due mari ed a guardarli con amore ma anche con distacco, i mari e la sua gente, quella che da sempre vive con la montagna un legame simbiotico e quella il cui personale rapporto con la montagna si esaurisce invece in una veloce gita a pasquetta o ferragosto. Oggi, dalle colonne di un noto quotidiano regionale, si riproponeva uno dei soliti titoli, quelli a cui siamo abituati da decenni e che se non fosse per la sponda offerta all’immancabile ironia, non farebbero neanche più notizia. “Modulo civetta, ex Afor nel caos”. E poi ancora ecco il sommario “Una finta domanda di assunzione nella forestale ha fatto gridare allo scandalo, ma è una bufala”. Insomma, verrebbe proprio da dire, siamo alle solite. Ora, a parte le facili battute e le scene ricorrenti che si ripetono ciclicamente da tempo immemore, file interminabili agli sportelli postali, dove centinaia di persone si sono recate anche questa volta a spedire la documentazione richiesta, non si sa da chi, sportelli diventati teatro di litigi, spintoni, sceneggiate e in qualche caso purtroppo anche malori, a parte tutto questo e scusate se è poco, qualche altra considerazione sarebbe forse più opportuna. Innanzitutto, qualora, e il condizionale è quanto mai necessario, venisse accertato, si trattasse come sembra solo di una presa in giro, il dato triste rimarrebbe quello relativo al tentativo, reiterato di speculare sul bisogno e sulle aspettative di tanta gente avvilita dalla mancanza di lavoro. Seconda questione che, solo per nostra naturale missione, non certo per importanza, ci preme sicuramente più della prima, è quella che impone necessariamente una domanda. Ma alla montagna, alla sua gente, ai suoi problemi, alle speranze ed alle prospettive, ci pensa davvero qualcuno, o e sempre e solo questione strettamente personale, questione di bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto ? c’è chi in montagna ci è nato e ci è morto senza vedere niente altro, c’è chi nella montagna ha visto solo una facile fonte di arricchimento, c’è ancora chi, forse romantico all’eccesso, di questa montagna, non riesce proprio a fare a meno, perché quelle asperità, quei colori, quegli odori e certi ricordi li porta impressi nel dna come un marchio che non riesci a levarti di dosso neanche volendo. Questo è solo uno degli interrogativi che si agita e che ci agita, di continuo, soprattutto quando assistiamo inermi a lunghi e calcolati processi di spoliazione delle risorse, a lunghi e lenti processi di eutanasia delle aree interne, a politiche di omologazione che rendono l’entroterra sempre più povero. Di fonte a quelle interminabili file alla posta, quelle che strappano sorrisi ironici sotto i baffi, non ci viene da ridere affatto, anzi, certe pantomime che vedono protagonista, suo malgrado, gente solo in cerca della giusta dignità, quella offerta da un lavoro stabile, aumentano se possibile lo sconforto e il dispiacere. Detto questo, rimangono tanti nodi irrisolti, tanti interrogativi, tante attese che sembrano non finire mai, ma forse ci preoccupiamo più del dovuto, in fondo forse è tutto nella norma, la montagna non ha fretta, i suoi ritmi sono lenti, rimane immobile da secoli, e cinquant’anni in più o in meno fanno davvero poca differenza, la montagna ha pazienza, e della pazienza si sa, spesso si può anche abusare.