Padre Giuseppe, il Don Camillo di Platì
- Bruno Salvatore Lucisano
Così parte, in un articolo, un buon giornalista e scrivano dell’antimafia che guadagna e lavora, perché la mafia c’è, per dimostrare di aver ragione prima di raccontare i fatti e, riferendosi agli ennesimi funerali vietati a Platì, in un articolo che non nomino, in un giornale che non viaggia nel Sud ma va per il cielo, nell’articolo, appunto, ha scritto così come segue.
Faccio copia e incolla per evitare di commettere qualche sbaglio e rovinare una pagina così alta di giornalismo dal bottone nero:
“Nel 2014 Papa Francesco, da Sibari, disse <<Gli ndranghitisti sono scomunicati!>>. Il procuratore Cafiero de Raho sul rapporto tra chiesa e clan: «A volte non si guarda a chi dà il denaro, ma si guarda soltanto a quello che si riceve».
Partendo dall’alto è chiaro che poi si possa solo scendere e lui, l’eroe della carta e del nastro nero attaccato alla manica della giacca, scende fino a riportare l’articolo in uno sgabuzzino dove si raccolgono i luoghi comuni, e dove i ragni tessono la tela.
E partiamo dalla scomunica che il giornalista, evidentemente, non sa bene di cosa si tratti, occupandosi full time di cravatte nere.
Il significato ed il senso di scomunica sono questi: condanna ecclesiastica che comporta l’esclusione della persona colpita, dalla comunione dei fedeli e dalla possibilità di ricevere e di impartire i sacramenti.
Nei sacramenti, che tra l’altro comprendono l’unzione e l’estrema unzione, non sono previsti divieti di benedizione della salma. Né è previsto di negare un funerale ad un morto, anche perché, se andiamo indietro con la memoria e pensiamo a tutti i funerali che la chiesa ha svolto senza obiezioni, il povero uomo di Platì si può paragonare ad un chierichetto!
Sulla frase, invece, del procuratore di Reggio Calabria, nella quale si afferma che i preti prendono i soldi senza preoccuparsi di chi glieli dà, mi permetto solo di osservare che questo tipo di “presa” non riguarda purtroppo solo i preti… ma questa è un’altra storia.
Mi fermo qui perché non vorrei rovinare la brillante carriera dell’ennesimo giornalista dell’antimafia.
Lo scrivo da anni: la mafia è una ricchezza, non per il mafioso che rischia vita, galera e funerale, non per chi la combatte rischiando la vita (magistrati e forze dell’ordine) ma per chi ci marcia, in tutti i significati del termine (camminata, guasta, marcia funebre, marcia con le gerbere e senza, ecc.).