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Vent'anni di Parco Nazionale d'Aspromonte. Megastruttura e scatola vuota

  •   Antonio Strangio
Vent'anni di Parco Nazionale d'Aspromonte. Megastruttura e scatola vuota

Sono stato tra quelli che in passato hanno gridato allo scandalo, allo scippo, alla riserva indiana, quando alcuni uomini che stanno in alto e si camuffano dietro l’apparato burocratico-politico, hanno deciso di punta in bianco, e senza una pur minima motivazione, di mettere sotto vetro l’Aspromonte.

Nessuno riusciva a convincermi che dietro l’ennesimo tiro mancino perpetrato a danno di una delle aree più depresse d’Italia, ci fosse invece una strategia intelligente che nel tempo si sarebbe trasformata in sviluppo. E tutto questo perché non sono stati esperti calabresi a tracciare le linee di demarcazione dell’area soggetta a vincolo, perché alcuni dei soggetti che componevano la Commissione paritetica chiamata a pronunciarsi – tra i quali l’allora sindaco di San Luca, l’ingegnere Giuseppe Pelle – abbandonarono il tavolo romano, perché non erano state prese in considerazione le indicazioni provenienti dai vari Comuni interessati.

Quanta confusione allora. Riunioni, consigli comunali straordinari, delibere di giunta, e chi più ne ha più ne metta; quando invece tutto era stato deciso, anche la sede stessa, malgrado Comuni come San Luca, per effetto del territorio soggetto a vincolo, provocatoriamente avevano lanciato l’idea di fare del famoso Santuario di Polsi la sede del Parco, sapendo già in partenza di non riuscire nell’intento.

Una Babilonia di idee e di proposte, cavalcate in primisdall’esercito dei cacciatori che, giustamente – diversamente perché devono pagare le tasse – reclamavano il sacrosanto diritto di poter liberamente cacciare all’interno del Parco, o – almeno – sapere dove e come avrebbero potuto dilettarsi con la famosa e cara doppietta.

La prima perimetrazione, esageratamente sproporzionata, per fortuna venne rivista, e questo fu l’unico momento in cui i Comuni e tutti gli enti interessati videro passare la loro linea.

Alla fine il Parco si è assestato sui 74mila ettari, interessando 37 Comuni e cinque Comunità montane, anche se ancora oggi non è stata pienamente compresa la scelta e il metodo usato.

Alla testa di questa mega struttura venne messo un ex politico, da tempo in pensione, facendo subito capire che anche il Parco non sarebbe stato immune a quella che è la regola del posto di sottogoverno. Furono anni difficili, perché a parte alcune riunioni e la nascita di una rivista affidata all’estrosa quanto polemica penna del giornalista Antonio Delfino, il Parco non riuscì a produrre nulla.

Poi venne sostituita la testa: Bruno Dominijanni lasciò il posto al professore Antonino Perna, e si cominciò a ragionare in termini più intelligenti.

Al dottore Perna, al quale va riconosciuto il merito di aver fatto conoscere il Parco alla gente e dato il là a una serie di iniziative tra le quali la famosa “moneta del Parco”, è succeduto un avvocato da sempre innamorato della natura e tutto quanto può e deve interessare l’ambiente e i suoi straordinari tesori: Leo Autellitano, convinto non solo del progetto Parco, ma sicuro più che mai che questa mega struttura, un tempo tanto chiacchierata, poteva davvero diventare uno dei punti di riferimento più importanti non solo dei paesi che ne fanno parte, ma di tutta la provincia reggina.

Sono passati più di vent’anni dalla sua istituzione, e questa struttura, ora che è stato sostituito anche l’avvocato Autelitano, affidata con D.M. n.198 del 21 maggio 2013 dal ministro Andrea Orlando al professore Giuseppe Bombino, dopo l’entusiasmo e le promesse dei primi giorni, si presenta sempre più come solo e soltanto una scatola… vuota!

Quante iniziative sono state messe in atto in questi vent’anni? E quante realizzate? Soprattutto nei Comuni come San Luca che al Parco è stato costretto a cedere più del 75% del suo territorio, per la precisione 8mila e passa ettari su una superficie complessiva di circa 11.000 ettari.

A stare a sentire la gente del luogo, niente. A guardare e verificare carte e numeri, zero che più zero non si può. E pure San Luca non ha dato soltanto il suo territorio. I punti più importanti e famosi che compaiono in bella vista sulle cartine e i poster del Parco, e stanno girando l’Italia e l’Europa, appartengono tutti al Comune di San Luca: Pietra Lunga, Pietra Castello, Pietra Cappa, lo stesso Montalto, il fu lago degli oleandri, i resti dell’antica Potamia, il paese della memoria tanto caro allo scrittore Corrado Alvaro e, dulcis in fundu, il famoso santuario di Polsi, considerato il cuore pulsante del mitico Aspromonte, luogo simbolo della pietà popolare mariana, poi ribattezzato crocevia di fede e di speranza.

Cosa ha fatto – s’interroga la gente – il Parco per migliorare e tutelare questi luoghi di straordinaria bellezza? E quanti soldi ha investito sul territorio di San Luca? Quanti sono i disoccupati di San Luca assunti anche a tempo indeterminato, a differenza di quelli di molti altri comuni che addirittura al Parco non hanno dato nulla? Per tutti basta ricordare la scomparsa del lago di San Costantino, poi ribattezzato degli oleandri, in omaggio al gentiluomo inglese Norman Douglas. Formatosi in seguito all’alluvione che colpì la Calabria e San Luca a cavallo dei mesi di dicembre ‘72 – gennaio ‘73, nel giro di poco meno di quarant’anni questo specchio d’acqua che era riuscito a richiamare turisti da tutte le parti è completamente scomparso, ritornato fiumara, perché nessuno degli en ti responsabili, Parco su tutti, ha mai pensato di salvaguardare il lago con interventi mirati.

“Silenzio, parla natura” recitava uno slogan su uno dei tanti poster che presentavano il lago, e in silenzio questo specchio d’acqua dove sguazzavano anguille, tinche e trote salmonate, e dove la notte si specchiava la luna e a volte si sentiva il canto delle sirene, è ritornato terra, polvere, pietre, rovi, alberi.

Ancora più recente e drammatica è la ferita delle strade che tagliano in due la montagna e portano al famoso Santuario. Su Polsi – isolato dal novembre del mese appena passato dalla furia delle acque che Giove Pluvio ha voluto scaricare sui paesi della Locride – nessuno ha ancora speso una parola men che meno i vertici del Parco, i quali si affrettano e fanno a gara a chi sporca l’area soggetta a vincoli con “cartelli-divieto” e nulla fanno per rimettere in sicurezza le strade che lo attraversano e sulle quali si avventurano non solo i pellegrini che vogliono andare a fare una visita alla Madonna della montagna, ma i tanti turisti innamorati e affascinati dalle tante e dimenticate bellezze aspromontane. Tutto questo al Parco non interessa.

Loro hanno altri interessi come istruire le guardie forestali a rompere il culo ai raccoglitori di origano selvatico; a quelli che durante la stagione vanno alla ricerca di funghi e si dimenticano di portare il cestino al posto della busta di plastica; a chi ha consumato la legna di ardere e riempie il cofano di legna secca, corrosa dal tempo e dalla furia degli elementi; a chi decide di trascorrere una giornata in montagna e per essere felice sceglie i posti più impegnati e suggestivi, quelli dove pseudo esperti hanno piantato la lettera A per far capire che la zona calpesta è a protezione integrale, quindi bisogna andare via, sgomberare ; quelli che dannati dal lavoro che non c’è il lavoro se lo inventano, aprendo chioschi sotto la cima di Montalto, per poi sentirsi dire che sono abusivi, anche quando abusivi non sono. Tutto il resto va bene e non disturba i governatori della mega struttura e le strade possono franare e scivolare a valle e lasciare isolati interi paesi. Meglio così. Loro hanno altri interessi, altri programmi.

Lo avevo scritto prima. Un manifesto con in bella vista il lago degli oleandri che fu, recita: “Silenzio parla la natura”. Sappiamo tutti come è andata a finire. Speriamo che un altro simile non sia realizzato a proposito delle strade che portano in montagna e ci danno, anzi ci davano, la possibilità di raggiungere il tanto chiacchierato e famoso Santuario di Polsi, che da novembre del 2015, quelli che non hanno buone gambe e un sano equilibrio, sono costretti a vedere con il binocolo…


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