10 luglio, l'omicidio di Pietro Ragno a Gioia Tauro
- Cosimo Sframeli
10 luglio
1943 – Nella notte sul 10 luglio le truppe anglo-americane sbarcano sulla costa meridionale della Sicilia, nei pressi di Licata e Gela. Si parlò di un ruolo significante della mafia siciliana nell’operazione dello sbarco e della mafia siculo-americana nelle operazioni preparatorie che le ricerche storiche più recenti non tendono più a ridimensionare. Fu di primo piano il ruolo della mafia siciliana nella sua politica di controllo del territorio nel periodo immediatamente successivo. Alcuni capimafia vennero nominati sindaci e la violenza mafiosa, avallata e legittimata dall’impunità, sarà decisiva anche nel reprimere qualsiasi forma di ribellione del movimento contadino.
1988 – E’ sistemato nella cappella dell’ospedale di Gioia Tauro il corpo del Carabiniere Pietro Ragno, 27 anni di Messina. In quei corridoi pieni di amici e colleghi si avverte un silenzio quasi fisico alla presenza degli unici politici: Girolamo “Mommo” Tripodi, senatore della Repubblica e sindaco di Polistena, e Quirino Ledda, vicepresidente del Consiglio regionale.
La dinamica dell’agguato. Verso l’una di sabato notte, l’Alfetta del Radiomobile di Gioia Tauro, in contatto radio con la Centrale operativa, si dirige verso il Comando. Allo svincolo dell’autostrada rallenta per imboccare la curva quando si scatena una tempesta di fuoco. Sparano più di venti colpi contro la gazzella da dietro i cespugli, dove il commando si era appostato. Ragno, sposato e papà di un bambino di un anno, riesce ad uscire la pistola dalla fondina, ma muore prima di poterla usare. Lo immobilizzano al posto di guida con un pallettone in testa. Il Capo equipaggio, seduto a fianco dell’autista, l’Appuntato Giuseppe Spera, 32 anni di San Cipriano Picentino provincia di Salerno, anche lui sposato e padre di due figli, viene colpito ad una gamba, alle spalle e, per fortuna, di striscio alla testa. Ne avrà per trenta giorni. I killer, pare fossero in tre tutti armati di fucile automatico, sparano con fucili caricati a pallettoni contro il parabrezza, il fianco, il dietro della macchina dei carabinieri. Da lì a poco transita un’auto verso l’autostrada, Giuseppe Spera si lancia sull’asfalto per bloccarla e gli assassini disorientati fuggono. Scatta l’allarme e i soccorsi. Per Pietro Ragno non c’é nulla da fare. Giuseppe Spera se la caverà. E’ così che Gioia Tauro si sveglia nella notte, sotto le sirene di carabinieri giunti da ogni luogo della Calabria. Una tragedia. Un omicidio spettacolare e consumato con tutta evidenza contro chi rappresenta lo Stato sul territorio calabrese, in Provincia di Reggio Calabria, nella Piana di Gioia Tauro. La mafia tenta di intimidire e far retrocedere coloro che «in questi ultimi tempi hanno scatenato una imponente offensiva contro la criminalità comune e mafiosa e certi intrecci tra potere politico e ‘ndrangheta», commenta il Procuratore Agostino Cordova. Una sfida diretta allo Stato, per riaffermare il potere mafioso. Si mira e si spara sull’Arma che, non solo nella tirrenica, attacca le connivenze tra clan e politica, svelando intrecci ibridi tra affarismo, malavita e amministrazione pubblica. Si arrestano ed inquisiscono personaggi fino a ieri al di sopra di ogni sospetto.
Nel mese di maggio del 1987, dalla mafia degli appalti, venne assassinato il sindaco di Gioia Tauro, Vincenzo Gentile, un medico di 55 anni amato dalla gente, un amministratore chiacchierato. Era arrivato a dire al primo processo contro i sessanta boss della provincia di Reggio, celebrato davanti al tribunale di Reggio Calabria nel 1979, che a Gioia Tauro la mafia non esisteva. Assassinato in una vera e propria esecuzione mafiosa. Il killer lo attese sotto casa, quando giunse alla guida della sua auto, si avvicinò e gli esplose contro cinque colpi di revolver. Le indagini portarono agli intrecci con la potente mafia dei Piromalli. Mandati di cattura emessi dall’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palmi contro amministratori, consiglieri comunali, imprenditori. Politici accusati di aver dato appalti per lavori pubblici ad imprese collegate alla mafia. Grandi affari, anche con i lavori per la centrale a carbone dell’Enel. Le cosche cercavano nuovi e delicati equilibri, abbattendo ogni forma di ostacolo. In tale contesto s’intreccia il sacrificio di Pietro Ragno, un giovane Carabiniere di 27 anni, sposato e padre di una bimba, Vanessa, di appena 11 mesi, originario di Messina ed in servizio a Gioia Tauro da tre anni, che la notte del 10 luglio 1988 s’incontra col destino.