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Anime Nere. La rabbia di Luciano

  •   Giusy Staropoli Calafati
Anime Nere. La rabbia di Luciano

«Nonno, nonno. Nonno Bastiano!» «Calmati figliolo. Cosa c’è?» «Zio Turi, mi ha detto che qualcuno di questi giorni, al primo sole, mi porterà in montagna. Lassù, dice, ci sono le anime nere. Lo zio, mi ha promesso di farmene conoscere qualche d’una. Ha tanti amici tra le anime nere dell’Aspromonte. Mi ha giurato su Santo Leo, che mi ci porta prima di sabato». «E oggi che giorno è, Totò?» «É martedì, nonno. Martedì».

«E dimmi figliolo, perché ti interessano tanto le anime nere dell’Aspromonte? Brutta cosa il nero. Lo sai anche tu. Brutta cosa. E poi, la montagna! É spassosa, bella, con i suoi sentieri, i lecci neri, le ginestre selvatiche, le mandrie, i caprai. Ma è terribile la montagna. Beato è chi la teme. Ti fa spagnare, la montagna» «A me, nonno? Io non ho paura di niente. Sono forte come mio padre. Lo dici sempre anche tu. Se solo non me l’avessero ammazzato, povero padre mio, mi ci avrebbe portato lui in montagna. Delinquenti. Cristiani maledetti. Fetusi» «Avanti, basta Totò. La lingua non ha l’osso e rompe il mastr’osso. Per l’anima di tutti i morti e pure per quell’anima santa di tuo padre, Totò, non dare retta a tuo zio. Turi ha la testa del mulo, ma neppure il raglio sa fare, lui. Lascia perdere le Anime, quelle sono figlie della morte, come tuo zio Turi. É un povero scecco morto, lui. Cammina mentre campa e campa pure mentre cammina, ma è morto come tuo padre. Fidati Totò!» «Ma che dici nonno?.

«Ascoltami figliolo, tu non sei come lui. Quelli come Turi portano guai a sé stessi e pure alla famiglia. Stanne alla larga. Alla larga ci devi stare, Totò! Tuo padre, povero figlio mio, per andarci appresso, a suo fratello, è morto senza l’anima. É la sua una delle “anime nere” amiche di tuo zio, Totò. E tu? Tu che vuoi fare, eh? Vuoi dare un altro dispiacere a quella povera donna sola di tua madre? Che vuoi fare tu, Totò eh? Che vuoi fare? Vuoi morire? Vuoi morire? Dillo, vuoi morire?» «No nonno. Certo che no. Non voglio morire» «E allora solo alla scuola devi pensare, tu. Devi studiare tu, Totò. E vedrai che quando sarai grande, le anime nere con le quali spaccona tanto tuo zio, gargia fetusa che tiene!, solo schifo ti potranno fare. Solo schifo. Adesso va. Va, va! Va da tua madre e fa una preghiera alle anime del purgatorio che è meglio». «Vado, vado» «Sanizzo devi crescere tu, Totò. Non tinto. Sanizzo, ricordati. Sanizzo». Mio nonno cercava di distogliermi il pensiero dalle anime nere che tanto enfatizzava zio Turi. C’era qualcosa di diverso tra loro. Zio Turi era il fratello maggiore di mio padre. Passava parte del suo tempo in città, a Milano, a sbrigare affari diceva, e poi come poteva, scendeva quaggiù, per villeggiatura lasciava intendere al nonno, e se ne stava al porcile.

Lì, c’era il vecchio cascinale dove vivevano i nonni. Ma lui, là dentro, appena appena ci dormiva e basta. Tutto il resto del suo tempo lo passava in montagna. Lassù, al focolare, a ruota, si incontravano lui e le Anime Nere dell’Aspromonte. Mio nonno aveva ragione. Zio Turi, al primo sole, in nessuno di quei giorni, mi portò in montagna a vedere le Anime Nere. Non fece in tempo. Prima di sabato, fu lasciato secco sul colpo, con una pallottola in piena fronte, sul retro del porcile, mentre mio nonno riportava all’ovile le capre. Io ero con lui. Un botto e basta. Nonno Bastiano, neppure si voltò. Aveva capito al volo cosa fosse successo là dietro. Voltandosi verso di me, mettendosi la testa tra i palmi di entrambi le mani mi disse: «Ecco le anime nere, Totò». Corsi sul retro e vi trovai mio zio accasciato sullo sterzo della sua Bmv nera fiammante.

Il motore ancora accesso mentre alla radio accesa anch’essa, l’ultima notizia del giorno: «Grande successo per le Anime nere di Gioacchino Criaco, interpretate al cinema da Francesco Munzi con il coraggio libero di non piangere mai il peccato e l’ostinazione di una terra come la Calabria che vive la maledizione di bestemmie antiche». Anime nere è forse il film più bello, coraggioso e reale che il cinema italiano abbia potuto produrre negli ultimi anni. Un film che se non fosse stato prima libro non sarebbe potuto riuscire, su schermo, in maniera così forte e autentica. Una storia resa, nella pellicola, realtà precisa, in completa sincronia con i luoghi, gli spazi e i tempi repentinamente vissuti. Il coraggio di parlare una lingua che per essere compresa ha avuto bisogno di sottotitoli e traduzioni. Una Calabria interprete di se stessa sul foglio e nello schermo, dove non solo espone al mondo la sua anima nera, ma vuole condividere con chi nei calabresi non ha mai creduto abbastanza, la rabbia più nera di un uomo come Luciano, che ci ha rimesso se stesso pur di restare. Restare alla terra. La stessa usata per ricoprire suo figlio e forse pure egli stesso, in un viaggio che non tutti hanno il coraggio di fare. Il viaggio verso il riscatto.


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