Aspromonte Greco. Le storie di "Brunu lu guardia"
- Gianfranco Marino
«Eu su dill’Asprumunti, di la Mmendulìa, di Mesapotamò, la campagna aundi criscìa». Ci dà il benvenuto a modo suo, Bruno Stelitano. Lo raggiungiamo a Melito Porto Salvo, la sua nuova casa da più di quarant’anni, perché Bruno in realtà è un figlio di Roghudi, uno di quelli che su quell’angolo di montagna, abbandonato troppo in fretta, hanno lasciato il cuore. Ha due occhi profondi di chi la vita la sa leggere, col suo carico di gioie e sofferenze, non sempre dispensate in modo equo. Non è uno come tanti Bruno; della vecchia Roghudi sa davvero tutto, lui che, anche ora, a distanza di tanto tempo, per la sua gente rimane Brunu lu guardia. Proprio così, perché prima di congedarsi da impiegato comunale ha ricoperto per dieci anni il ruolo di guardia municipale e campestre. Con lui, ad accoglierci in un freddo pomeriggio di domenica di inizio primavera, ci sono la moglie, la figlia, qualche nipote e un piccolo cagnolino che ci dà il benvenuto in modo a dir poco esuberante, provando con i denti la consistenza dei miei pantaloni. Niente paura, dice la signora, fa così ma poi è buonissimo.
Ci accomodiamo in cucina con l’ansia di chi si appresta ad aprire uno scrigno, perché è un vero e proprio scrigno di ricordi Bruno, ricordi di un tempo che per lui sembra non essere mai passato. Gli chiediamo di condividere con noi qualche aneddoto sulla sua esperienza lavorativa, gli chiediamo di regalarci qualche cartolina di un Aspromonte che ormai da tempo non c’è più. «Nina prepàrandi nu cafè. Gianfranco da dove volete che comincio? Chi non ha vissuto la vecchia Roghudi a guardarla oggi non può neanche immaginare cose fosse, era un brulicare di gente per quelle viuzze strettissime dove, tutto sommato, stavamo bene. Facciamo così, parto dall’inizio, parto da Mesapotamò, la zona che mi ha visto nascere. Là sono stato fino all’età di 7 anni poi, fino ai 18, sono stato in collegio a Reggio Calabria a studiare; prima in quello di Sant’Antonio poi a San Prospero. Tornato a Roghudi, dopo una breve esperienza nella capitale, ho iniziato a lavorare nel ‘63 come guardia municipale e campestre. Dieci anni in cui mi dividevo tra il lavoro di controllo all’esterno e le mansioni all’interno degli uffici comunali cui ero prestato a causa della carenza di organico. Dal ‘73 in poi fui trasferito in pianta stabile alle mansioni di ufficio».
Nel ‘71 il trasferimento in marina,prima di proseguire mi piacerebbe sapere come avete vissuto quei momenti. «Toccate un tasto dolente, come volete li abbia vissuti, vi dico solo questo, quando raccogliemmo con mia moglie le poche cose e ci avviammo con le bambine a lasciare il paese, mi girai verso casa e mi misi a piangere, era il 10 marzo del ‘71, pensai che stavo lasciando la mia casa, mio padre sepolto là e con lui anche i tanti sacrifici che aveva fatto per tirarmi sù, giudicate voi quale poteva essere il mio stato d’animo». È rotta dalla commozione la voce di Bruno, una commozione che ci coinvolge. Scusate la parentesi, torniamo al passato, raccontatemi qualcosa. «Nessun problema, figuratevi. Dunque, un anno dopo avere preso servizio mi sono sposato, era il ‘64, nel ‘65 è nata la mia prima bambina. Quelli a Roghudi sono stati anni durissimi ma belli: la mattina il lavoro in comune, il pomeriggio a dare una mano a mia moglie nella gestione di un piccolo negozio, un bazar dove si vendeva e si comprava di tutto, dalla merceria ai generi alimentari».
«Ecco mi avete suggerito una domanda, quali attività c’erano a Roghudi?All’epoca c’erano quattro generi alimentari, una macelleria, un tabacchi e diversi bar o comunque luoghi dove si giocava a carte e si beveva vino. Ora vi racconto un episodio curioso, di quando conobbi il glottologo tedesco Rohlfs. Lui comparve in comune, a Roghudi, in un giorno d’inverno, dicendo se fosse possibile trovare alcuni anziani per una ricerca sui proverbi, il sindaco non c’era e lo feci accomodare dietro la sua scrivania portando alcuni anziani che si sedettero all’interno della stanza. In quel momento arrivò il nuovo segretario che prendeva servizio proprio quel giorno, avvicinatosi alla stanza sentì Rohlfs che ripeteva a voce alta una filastrocca intrisa di parolacce irripetibili. Trovai il segretario basito davanti alla porta, che non riusciva neanche a parlare, fino a quando non gli spiegai che si trattava di uno studioso che raccoglieva antichi proverbi, solo a quel punto mi guardò e sorrise. Evidentemente il poveretto aveva scambiato Rohlfs per il sindaco credendolo in stato confusionale. Vi lascio immaginare che siparietto da ridere».
Qual era in quegli anni l’organico del comune? «C’era appunto il segretario, poi c’erano un applicato, un vigile ed il custode del cimitero mentre un’altra particolarità era quella della riscossione del dazio, Roghudi era infatti l’unico comune della provincia a riscuoterlo in proprio. Poi c’è un’altra cosa assai curiosa. Come di certo saprete, la frazione Ghòrio rappresenta in realtà un vero e proprio paese a sé, appena due chilometri più a monte, e le questioni di campanile sono state nel tempo sempre accesissime, toccando il culmine nei periodi elettorali. Mi spiego meglio, quando c’erano le votazioni comunali si attuava una curiosa alternanza, ad un sindaco che proveniva da Roghudi doveva necessariamente seguire uno proveniente da Ghòrio ed allo stesso tempo si attuava un altro curioso incrocio, se il sindaco proveniva da Roghudi il resto della giunta era scelto tra i candidati della frazione, insomma una sorta di tacita compensazione».
Oltre a quello del segretario con Rohlfs, immagino quanti altri aneddoti! «Certo gli aneddoti sono tanti ma così su due piedi non mi vengono davvero in mente, però qualcuno lo ricordo, più che aneddoto si tratta di una situazione per molti rimasta misteriosa. Ad un certo punto, non ricordo bene l’anno, comunque tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio del decennio successivo, comparve in paese un professore greco ospitato nella canonica della chiesa. In paese tutti lo conoscevano come uno studioso giunto dalla Grecia per motivi di studio legati alla lingua. Il professore si integrò benissimo e passava le giornate ad insegnare musica ai bambini ed ai ragazzi. Stette in paese per qualche anno, ne perdemmo le tracce all’indomani del trasferimento dell’abitato in marina e la storia finì là, fino a quando scoprimmo, solo a distanza di tanto tempo, che si trattava di un rifugiato politico giunto da noi per sfuggire alla dittatura dei colonnelli. Scoprimmo inoltre che l’uomo, di cui non ricordo il nome, dopo il ‘74 una volta caduto il regime fece rientro in patria ricoprendo anche prestigiosi incarichi nel parlamento greco. Gianfranco dovete tornare a trovarmi perché ci sono tante cose che vi voglio raccontare, per ora vi ringrazio». Per cosa signor Stelitano? «Per avermi fatto ricordare momenti particolari della mia vita. Quello che provo per Roghudi non è un semplice ricordo è un amore in realtà mai dimenticato e quando ne parlo sento una stretta al cuore».
Grazie a voi signor Stelitano, vi lascio con l’impegno di rivederci presto, vi avevo chiesto di regalarmi una cartolina dell’Aspromonte di allora, voi avete voluto esagerare e dietro la cartolina ci avete messo l’accento prezioso del sentimento. Grazie e buona domenica.