Bova. La storia del bonaccione e della cuccuveddha
- Franco Borrello
A casa di suo cugino Petruzzu, mastro Ciccio il fabbro, seduto al braciere, raccontava fatti dell’America e non perdeva occasione per manifestare la sua nostalgia per quella terra rimpiangendo di non essersi spezzato tutte e due le gambe quando prese quell’errema nave per tornarsene in Italia. Si era fatta notte e voleva rientrare a casa sua ma i ragazzi, attorno al fuoco, lo stavano pregando di rimanere ancora un poco per cantare “Ciribiribin”, suo cavallo di battaglia.
Ad un tratto, dall’orto di Amodei, si udì un pigolare lamentoso e strano: Cuccuvai... Cuccuvai... poi, dopo una pausa, una serie di Huuuhu... Huuuhu... Huuuhu... che fecero accapponare la pelle ai più piccoli. Infine, come se il misterioso e triste uccello fosse diventato di colpo allegro: Pirulì... Pirulì... Pirulì...
«Nessuna paura - disse mastro Ciccio, vedendo le facce sorprese dei presenti - è un uccello notturno, una Cuccuvèddha.
Mi ricordo che, una volta, mio padre mi raccontava un fatto...». Padre Remigio, il frate domenicano, persona coltissima, anche lui presente, per nulla sorpreso lo interruppe: «Cuccuveddha è nome dialettale ed onomatopeico, cioè attribuito per imitazione fonetica, della civetta che, altrove in Calabria, è anche chiamata cuccuvàja e cuccuvìa. Il suo nome scientifico è Athene noctua, uccello notturno della famiglia degli strigidi».
Ma fu subito chiaro che i ragazzi preferivano ascoltare il racconto di cugino Ciccio, così il frate si interruppe ed il vecchietto riprese: «C’era una volta un bonaccione d’Ammunti (chissà perché mai i bonaccioni dei racconti sono sempre di un altro paese?) che si era aggiustato col Marchese per alcuni lavori alle Marine ad una lira al giorno più la spesa. La notte, al canto del gallo (la sveglia dei poveri), si alzò e partì ancora morto di sonno. E certo che era morto di sonno! Quel gallo della malanova quella notte aveva cantato per cambiamento di tempo e non per salutare l’alba come al solito.
Quando il poveretto se ne rese conto era già arrivato all’Annunziata e potevano essere le due del mattino. Decise allora di sdraiarsi sotto un albero, vicino ad un ovile, ed aspettare le prime luci dell’alba. Ad un tratto sentì: Cuccuvai... Cuccuvai…
Con quel buio non vedeva niente e pensò che fosse il pastore uscito a fare i suoi bisogni. “Come con chi vado? Non lo vedi che sono solo?”.
Cuccuvai... Cuccuvai... “Ah, forse vuoi dire cu cu’ vaju mi lavuru? Vado alle Marine dal Marchese”.
Huuuhu... Huuuhu... “Perché? Non è una brava persona?”.
Huuuhu... Huuuhu... “Non è buon pagatore?”.
Huuuhu... Huuuhu... “Pazienza! Ma almeno è abbondante la spesa?”.
Huuuhu... Huuuhu... “No? E che ci porta da mangiare?”.
Pirulì... Pirulì... Pirulì... “Pani e alivi? Eh no! Pani e alivi vaju e li mangiu a la me casa!”.
E, voltate le spalle, se ne tornò ai suoi monti».