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Cartolina aspromontana. Polsi: sua maestà il castagno

  •   Antonio Strangio
Cartolina aspromontana. Polsi: sua maestà il castagno

Polsi, luogo simbolo della pietà popolare e cuore pulsante del mitico e maestoso Aspromonte, che penne licenziose e prezzolate hanno cercato in tutti modi di mettere in cattiva luce, riempiendolo di mostri e mostriciattoli vivi – in realtà – solo e soltanto nel cervello ottuso dei barbari mediatici di turno, è infinitamente prezioso perché è la dimora di Maria di Polsi, che tanto fece per scacciare e tenere lontana, in una grotta buia e inaccessibile, la cattiva maga Sibilla, e di una croce in ferro battuto senza della quale il santuario forse non avrebbe avuto una storia da raccontare e un’identità da tramandare.

Un diamante incastonato nella roccia se lo si guarda all’alto, protetto dalla maestosità di un albero la cui eternità si perde nella notte dei tempi. É il famoso castagno, ora diventato cavo, piantato circa ottocento anni fa (come è stato accertato da studiosi di dendrologia) da mani che sudavano preghiere e fatica. Un albero che ha cominciato a perdere rami e foglie, come un vecchio saggio perderebbe i capelli, e la cui figura rende ancora più affascinante l’antico monastero. Fu messo a dimora dove poi venne costruita la fontana “Tre canali”, che da più di cento anni fa sgorgare acqua fresca e benedetta e che, nel silenzio dell’antico luogo, diventa un lungo e interminabile e stanco discorso. Il vecchio castagno, che da qualche anno ha smesso di fare frutti, è entrato in quella fase della vita che gli umani chiamano dell’infertilità o della menopausa, ma di Polsi e dei segni polsiani è diventato una delle attrazioni più suggestive; la punta finale o iniziale, a secondo da quale versante si scenda e si arrivi al santuario, di un itinerario religioso e naturale che non ha eguali al mondo, perché in nessun altro posto del mondo è possibile ammirare nello spazio di pochi metri l’affascinante figura di una statua che, come ha scritto Alvaro, pare fatta di carne, la magica forma di una croce che ha dato i natali al pio luogo, e il suggestivo disegno di madre natura. Un saggio di architettura naturale che nessun artista sarebbe stato capace di modellare e pensare meglio, che ha per tetto la maestosità del cielo di Polsi.

Un albero di rara fattura che nelle notti e nelle lunghe giornate invernali, che a Polsi durano di più, assume le sembianze di un placido e attento guardiano, al quale l’urlo e la forza del vento fanno acquistare quella parola che è tutta nel frignire delle foglie e nella caduta a intermittenza dei rami secchi, che l’albero stesso decide di eliminare. É, poi, un albero davvero singolare perché “aprendosi”, cioè diventando cavo, ha assunto la particolare forma di una stanza: una pancia d’albergo nella quale hanno trovato e trovano riparo viandanti e pellegrini, curiosi e ambientalisti. C’è un periodo dell’anno in cui chi arriva ci lega persino i cavalli, giunti a Polsi dopo un lungo e estenuante viaggio attraverso le montagne. Il rettore del santuario, che per questo monumento prova un’ammirazione a dir poco esagerata, perché anch’egli ragazzo si è nascosto dentro per sfuggire agli altri ragazzi che lo cercavano quando si giocava, lo ha eletto a dimora della natività impiantandovi i simboli della nascita del Messia. Provate a chiudere gli occhi davanti a sua maestà il castagno, e immaginate, per un attimo, l’inverno di Polsi, la neve che copre e ammanta ogni cosa e il castagno cavo impreziosito dalla presenza del Bambino, di Maria, di Giuseppe, del bue e dell’asinello, del pastore, dell’incantato che guarda le stelle e, poco più distanti, dei tre re magi venuti da molto lontano. Uno scenario da favola antica. Una cartolina polsiana che fa bene soprattutto al cuore.

Questa è la storia del castagno. Una storia che qualcuno vorrebbe fermare avvalendosi di particolari tecniche e sostanze, prima che sia troppo tardi e il busto, possente ma rugoso, come il viso di un antico e stanco contadino, perda gli ultimi pezzi di corteccia, arrecando un grave danno agli anelli di accrescimento. Senza di questi, infatti, non sarebbe possibile comprovare alcuna ipotesi scientifica. Soltanto da poco, degli studiosi dell’Università Mediterranea, della facoltà di Agraria di Reggio Calabria, hanno datato e classificato il castagno: 16,35 metri di altezza per una circonferenza di 7,50 metri, che lo fanno essere uno degli ultimi monumenti naturali presenti in Calabria e soprattutto nel territorio di San Luca, pieno fino a pochi anni fa di questa specie che un tempo veniva apprezzata per l’abbondanza dei frutti, per il suo legno pregiato, e per la corteccia da cui si ricavava il tannino, ottimo per uso medicinale e officinale, come per la conceria e la coloreria.

La leggenda, perché a Polsi non c’è angolo che non sia ammantato dall’affascinante paradigma della leggenda, stampella chiamata a sorreggere la storia laddove questa zoppichi, lo ha eletto invece a simbolo e dimora di una riunione i cui protagonisti sono gli uomini della onorata società, che in Calabria si chiamano ‘ndranghetisti. Quanta è malata la mente umana, verrebbe da dire! E quanta è dura a morire un’etichetta che invece offende un luogo e un simbolo che con la società del disonore non ha nulla da vedere e da spartire. Ma tant’è. Per fare un’opera d’arte ci vuole tempo, ingegno, ispirazione, mestiere, passione, amore. Quindi anni di duro e faticoso lavoro. Per distruggere tutto questo basta un attimo, una parola, un gesto infame. É quello che sta succedendo a sua maestà il castagno, che è costretto a lottare per difendersi non solo dal tempo che passa, ma ancor di più dalla lingua biforcuta dei professionisti dell’antimafia, che vivono e proliferano solo e soltanto perché la ‘ndrangheta esiste, e non a Polsi. Un toponimo forzato e molto abusato, figlio della società dell’informazione, che ha fatto di questo albero, e anche per questo motivo, una delle attrazioni fotografiche più immortalate dell’antico sito di Polsi. Dal bambino al più anziano degli uomini, dalla maestra al turista fai da te, dalla giovane ragazza alla sposa felice che a Polsi sale per regalare a Maria, come riconoscimento del suo grande amore, l’abito che l’ha accompagnata all’altare. Non c’è pellegrino di Polsi che dopo aver dialogato con Maria, toccato l’antica croce, non si sia fatto fotografare, dignitosamente fotografare, davanti al vecchio castagno. Così hanno fatto pure alcuni carabinieri di San Luca, all’indomani di una premiazione che li ha visti protagonisti e nel corso della quale è stata loro conferita nel museo etnografico di Polsi, ubicato a ridosso del maestoso castagno, prima del loro commiato (in gergo tecnico trasferimento), una medaglia a suggellare il loro grande lavoro e il loro straordinario attaccamento all’Arma.

Una foto che è diventata riunione e che è servita a scacciare il più lontano possibile i fantasmi di una riunione che sapeva di ridicolo, perché ridicolo era parlare di affari malavitosi in un contesto illuminato giorno e notte dai flash impazziti di provetti e mai sazi fotografi, che così facendo mettono a fuoco l’immagine nuova, vera, reale, unica, suggestiva, affascinante di Polsi e della sua storia. Tutti elementi, questi, che appartengono a sua maestà il castagno, che non è leggenda ma storia, che non è covo ma ricovero, che non è ombra ma luce, che non è mistero ma simbolo. Simbolo di un Aspromonte e di un santuario la cui storia si perde nella notte dei tempi, e la cui bellezza annulla quella degli antichi e mai sopiti dei e come tale sarà eterna. Provate a sedervi all’ombra di sua maestà il castagno, su una delle tre pietre che appartenevano al vecchio mulino. Prestate l’orecchio alla fiumara che sta poco sotto. Sentirete, se è sera e Polsi è stato salutato dai pellegrini, l’interminabile e mai stanca parola dell’acqua. Una cantilena continua e perpetua che fa pensare a un bambino che sta giocando tutto solo, e tutto solo se ne starà con l’acqua. Prestate bene l’orecchio, illuminato dal canto maestoso di qualche uccello solitario che ha messo dimora a Polsi, perché sa che soltanto in questo luogo i cacciatori non hanno licenza. Sentirete l’acqua parlare, una musica di altri tempi che vi rinfrescherà l’anima, come le parole di un vecchio saggio sulle cui spalle pesano tante primavere e tante stagioni. Le stagioni della natura, le stagioni della vita, le stagioni della fede.


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