Cinema. «Mi chiamo Wim Wenders, (non) racconto storie nel corso del tempo»
- Giovanni Scarfò
«Dove vai signore?»
«Non lo so - risposi - pur che via di qua, via di qua, sempre via di qua, soltanto così posso raggiungere la meta»
«Dunque sai qual è la tua meta» osservò.
«Si - risposi - te l’ho detto, via-di-qua; ecco la mia meta».
(Franz Kafka, La partenza)
«Improvvisamente la strangolò». Viaggio nell’angoscia (Die Angst des Tormanns beim Elfmete, La paura del portiere prima del calcio di rigore, 1972).
Viaggio per perdersi, falsi movimenti; storia e non storia, viaggio per ritrovarsi, nel corso del tempo… morto, amici (nemici) americani, angeli a Berlino, vagabondi a Paris, Texas… fino alla fine del mondo, da Tokyo Monogatari - Una storia di Tokyo, 1953 a Tokyo-Ga – Immagine di Tokio - Viaggio a Tokio, 1985) dov’è Ozu (mu)? lo smarrimento di Wim Wenders, europeo-americano e viceversa.
«Dov’è my casa. Se c’è una casa dove andare, c’è una casa dove non andare»
(Gregory Corso)
Viaggi senza meta (Falso movimento - Falshe bewegung, 1975), viaggio come pretesto per seguire “la morte al lavoro” (Lampi sull’acqua - Lightning over water - Nick’s movie, 1980) e “la morte del cinema”, viaggi con una meta (Alice nella città - Alice in den städten, 1973)… impossibile da trovare, viaggi per (non) raccontare una storia (Nel corso del tempo - Im lauf der zeit, 1976).
Un viaggio nel deserto (Paris, Texas - 1984) per ritrovare l’infanzia, ma è impossibile fare ritorno a casa: il mito omerico vacilla, il viaggio è una deriva: senza meta e senza ritorno è solo un per/corso ai confini della realtà (?): è questo Lo Stato delle cose - Der stand der dinge (1982) del cinema? Il viaggio come resa dei conti con la “quotidianità” del film d’autore? Si, perché se è vero che “stories exist only in stories whereas life goes by without the need to into storie” [il regista Friedrich, detto Fritzb (Lang) Munro (Murnau)], è anche vero che lo stesso regista e il produttore hollywoodiano, che ha prodotto il film con i soldi delle mafia, vengono uccisi. Ma la cinepresa del regista, puntata come una pistola contro gli invisibili killers, cade a terra e continua a registrare la loro fuga: il film europeo diventa americano. Si, Wenders è un autore lento, riflessivo e in bianco e nero, con uno sguardo che tende a lasciare intatta la continuità spazio-temporale, ma è sempre stato affascinato dalla narrazione dinamica del cinema americano: un regista “Ozu-Fordiano”, per il quale il modo migliore per parlare di cinema-arte e di cinema-vita è sempre quello di realizzare un film. Ma il tentativo di coniugare autorialità e spettacolo non gli fu del tutto riconosciuto (Bis ans Ende der Wel, Fino alla fine del mondo, 1991), ma la musica si.
E ora che ne sarà
del mio viaggio?
Troppo accuratamente l’ho studiato
senza saperne nulla. Un imprevisto
è la sola speranza. Ma mi dicono
che è una stoltezza dirselo.
(E. Montale, Prima del viaggio)
Nelle (non) storie di Wenders non c’è mai una partenza, ma l’attesa per una partenza: come giustificarla? Con i “tempi morti”, raccontando il fluire del tempo più che lo spazio.
«Era come se avessi perduto e continuassi a perdere qualcosa ad ogni nuovo movimento»
(Wilhelm)
Falso movimento ha una partenza, ma è, appunto, “falsche” (sbagliato, errato): è il viaggio di una sconfitta, al contrario del romanzo goethiano a cui si ispira: qui è il cognato Werner a spingere Wilhelm Meister a viaggiare, perché «secondo i miei calcoli il tuo viaggio dovrebbe anche fruttare denaro. E quando poi tornerai avrai visto tutto, avrai conosciuto gli uomini e son sicuro che finalmente ti occuperai di affari insieme a me» (Werner). «Non so se imparerò tanto da giustificare questa spesa» (Wilhelm).
Al contrario il Wilhelm del film parte da casa spinto dalla madre per motivi opposti al “capitalismo” di Werner, «Vorrei aiutarti a partire da qui… cerca di non perdere né questa tua sensazione di disagio né il tuo malumore, ti saranno utili quando vorrai scrivere».
«In realtà, il mio unico desiderio era di rimanere solo e indisturbato nella mia apatia» (Wilhelm).
Il viaggio come “apprendistato” romantico alla scrittura e alla poesia e “per conoscersi meglio”, anche in senso negativo; viaggio alla ricerca della Germania, della sua cultura; una ricerca sull’essere tedeschi negli anni ‘70, dopo che “Die Amis haben unser umterbewusstsein kolonosiert”: gli americani ci hanno colonizzato il subconscio (Nel corso del tempo).
Un viaggio alla ricerca di una città con lo sguardo di un angelo (Der rimmel über Berlin – Il cielo sopra Berlino): “il desiderio di qualcuno che è rimasto assente per lungo tempo dalla Germania e che non ha mai voluto né potuto riconoscere altrove, se non in questa città, ciò che significa essere tedeschi… perché qui, per me, la storia è presente fisicamente ed emozionalmente, una storia che è impossibile vivere in altre parti delle Germania se non come rinuncia o assenza» (W. Wenders, 1998).
É una ricerca che Wenders compie sulla scia del legame con la tradizione dell’ottocento, in primis con riferimento ai paesaggi, con i continui riferimenti ai quadri del più grande pittore romantico tedesco: Caspar David Friedrich (1774-1840), (è anche il nome del regista de Lo stato delle cose), in particolare Der Wanderer über dem Nebelmeer - Il viandante sul mare di nebbia, 1818.
Come il personaggio del quadro, l’iniziazione di Wilhelm, inquadrato di spalle, finisce in cima ad una montagna, simbolo di elevazione, di tensione spirituale e di solitudine. Ma presenze artificiali lo dividono dal paesaggio innevato e bloccano in partenza qualsiasi desiderio di rigenerazione, di incontaminazione.
«Lì, sullo Zugspitze, aspettavo che succedesse qualcosa, ma non accadde nulla» (Wilhelm).
«Mu, il vuoto... ecco cos’è che regna attualmente» (Wenders, Tokyo-Ga).
Sarà stato un appuntamento
O la forza di gravità
Oppure un falso movimento
a scaraventarci qua.
(F. De Gregori, Falso movimento)
Giovanni Scarfò