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Fàbon e il suo amore, la poetessa Carmela Curulli

  •   Domenico Stranieri
Matrimonio di Fàbon, SantAgata del Bianco 1933 Matrimonio di Fàbon, SantAgata del Bianco 1933

Arrivava dal Canada, Carmela Curulli. In quella terra lontana aveva perso il padre, e sulla nave per l’Italia, uguale a quelle che vengono riproposte in tanti film, aveva esalato gli ultimi respiri pure la madre. Erano gli anni ‘30 del Novecento, la ragazza era nata a Montreal nel 1918 ed in quel viaggio disperato aveva pensieri che si confondevano con la salinità dell’orizzonte. Perché in mare aperto è impossibile non guardare l’orizzonte senza collegarlo, in un certo modo, al proprio futuro, alle proprie domande e angosce. Nel porto di Palermo la attendeva un giovane pittore, Domenico Bonfà (che più tardi anagrammerà il suo cognome in Fàbon). Domenico, nato a Sant’Agata del Bianco nel 1912, era apprendista in una bottega d’arte a Catania e non conosceva l’aspetto della ragazza che, tra l’altro, era una sua parente. 

Non sappiamo esattamente come andarono le cose, non sappiamo se si riconobbero subito né cosa si dissero, ma, poco tempo dopo, i due si innamorarono e si sposarono proprio a Sant’Agata nel 1933. Esiste ancora una foto di quelle nozze. É stata conservata da Alba Dieni, una pittrice straordinaria (figlia di Giuseppe Dieni, autore di Dove nacque Pitagora?, Frama Sud 1976), che ammirava molto la figura artistica di Fàbon. Dopo il matrimonio, Carmela, che aveva frequentato delle scuole private in Canada, iniziò a leggere con passione tutto ciò che riusciva a trovare, scriveva versi, osservava il marito che disegnava forme misteriose e paesaggi mediterranei. Dopo qualche anno di permanenza a Sant’Agata del Bianco, dove il padre di Fàbon gestiva una falegnameria con l’eleganza di uno scultore rinascimentale, i due si trasferirono a Reggio Calabria. Ma nel 1942 arriverà la chiamata alle armi e Domenico (ormai denominato da tutti, in paese, u pitturi) sperimenterà la vita da prigioniero a Tobruch, in Libia. Carmela vivrà nella speranza quotidiana della liberazione del marito, temendo per la sua salute. Continuerà i suoi studi a casa, da autodidatta, ed intanto, senza nemmeno saperlo, diventava poetessa. Ecco come viene menzionata nel volume Due più due fa cinque (L’Avamposto, 1986): “Donna dal portamento distinto, quasi aristocratico, ma immune da tendenze elitarie, Carmela Curulli, pur non sorretta da studi regolari, è riuscita ugualmente ad impadronirsi della lingua. E spinta del desiderio della parola scritta ha cercato di dare forma ai suoi sentimenti. Nei suoi versi troviamo una sofferenza quasi sempre soffocata dalla quotidianità, dalle ristrettezze ambientali. Ed anche la coscienza della brevità del sogno”. 

Fàbon rientrerà dalla Libia nel 1946 e la giovane moglie, che lo aveva atteso come una Penelope moderna, non lo abbandonerà più. I due affronteranno ogni viaggio, ogni difficoltà, insieme. Carmela seguirà il marito in giro per l’Italia, in Canada, negli Stati Uniti. Le due vite, inseparabili, saranno sempre volte alla difesa della loro arte. Nel periodo di soggiorno a Ravenna (1954-55), Carmela (che firmerà sempre i suoi lavori: Carmela Curulli Fàbon) diventerà caporedattore della rivista Il Sentimento. Le sue poesie saranno pubblicate anche da altri periodici, come Calabria letteraria. Sono tempi difficili, che questi artisti, grandi e semplici nello stesso tempo, vivranno adattandosi alle tante geografie del mondo. “Siamo come coriandoli, che un’alta mano sparge sulla terra nell’ebbrezza serale” scriverà Carmela nell’incipit di una poesia del 1954. Per i figli di Fàbon il padre avrebbe probabilmente abbandonato il suo impegno di pittore, sconfitto dalle difficoltà, se non avesse avuto al suo fianco una donna che aveva capito che egli poteva essere unicamente quello, destinato a vivere solo all’interno della sfera della sua sensibilità. E quando ai vari riconoscimenti si alternavano i momenti di precarietà, quando non era possibile comprare nemmeno una tela o ricavare l’esattezza di un colore, l’unione di queste due persone non smarriva mai la loro forza, la loro verità da salvare. 

Basta immaginarla la vita di un pittore ed una poetessa, nel contesto storico calabrese di quegli anni, nella nostra terra senza memoria, dove l’esistenza di un artista non può che essere “tragica”. Non so se esistano intellettuali in Calabria; ho imparato, però, che non ci sono politici. Non si spiegherebbe altrimenti l’oblio di tante figure della nostra cultura, completamente cancellate. Non si comprenderebbe perchè da più di 30 anni non viene allestita una mostra con le opere di Fàbon. Il 27 agosto del 1969, il pittore, vinto da un male incurabile, si spense a Roma, quasi certamente guardando la moglie con quegli occhi che lo scrittore Giuseppe Melina descriveva come “un guizzo” che “se si accentra su un foglio di carta, lo brucia forse”. L’anima di lei, come era naturale, cessò di vivere in quel preciso giorno. E poco importa se l’anagrafe ci ricorda che Carmela Curulli morì nel 1974. Per una poetessa ed un pittore anche l’ultimo viaggio, quello più misterioso, non può che essere affrontato insieme.


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