Francesco Maisano e il gergo segreto della fiumara
- Domenico Stranieri
«Ti seviseyu sedosamaseni
a semisezza semisenosetti
nto semisevosescu di Sestoseli»
Proviamo a leggere questa frase ad alta voce: «Ti seviseyu sedosamaseni a semisezza semisenosetti nto semisevosescu di Sestoseli». Si tratta di un modo d’esprimersi volutamente contorto. Tradurremo più avanti il suo significato nascosto poiché, innanzitutto, bisogna capire dove nasce un lessico e perché.
Ho scoperto durante un viaggio in Australia, grazie a Francesco Maisano, emigrato a Melbourne nel 1950, questo gergo calabrese che si parlava in una contrada denominata “Màglia” (che oggi si estende fino al centro abitato di Africo Nuovo), tra la foce della fiumara La Verde e la campagna di Stoli.
É CURIOSO rintracciare in un altro continente elementi del nostro passato di cui non abbiamo memoria ma che gli italiani, partiti più di mezzo secolo fa, non smettono di tramandare ai propri figli. Ovviamente, in Aspromonte quando narriamo di cose segrete, bande leggendarie, tesori invisibili, si pensa subito ai briganti. Se non altro perché, come diceva Walter Benjanim, restano pur sempre i più nobili tra i delinquenti, gli unici a possedere una storia. Benjamin si riferiva principalmente ai banditi dell’antica Germania, ed è singolare che anch’essi utilizzassero un loro linguaggio specifico: il Rotwelsch.
Ma Francesco Maisano non ha per nulla l’aspetto del malavitoso, anzi ha gli occhi limpidi e affabili delle persone buone. Non è più tornato in Calabria (ed è sicuro che morirà senza rivedere la sua terra) ma rammenta perfettamente che da bambino con parenti e amici comunicava in uno strano modo, volutamente “contaminato”.
«Mio padre mi insegnò questo linguaggio perché non venissimo capiti dagli altri», mi spiega. Anche lui, poi, ha trasmesso alla figlia Franka l’antico gergo, quasi con naturalezza, come un segno distintivo, un codice da lasciare in eredità.
DIFFICILE, comunque, individuare in quale fase storica si ravvisò la necessità di non farsi comprendere. In una terra come la nostra, fuori mano e crocevia di tanti popoli, sicuramente non bastava avere capacità di sopportazione ed una buona dose di fortuna. Occorrevano anche furbizia e destrezza e, probabilmente, qualche volta, per sopravvivere e sfuggire alle persecuzioni delle autorità del tempo, era importante “non farsi capire”. Forse anche per questo, nell’indole dei calabresi, permane un ancestrale senso del sospetto, la paura di essere raggirati e una pari destrezza ad ingannare.
Certo, la globalizzazione sta modificando pure l’arcano impulso che avevamo di proteggere sentimenti e cose. Tanto che, ad esempio, su Facebook non vi è molta differenza tra il modo di esprimersi di un lombardo o quello di un calabrese.
PARAFRASANDO Alvaro potremmo dire che entrambi sono impegnati a costruire un piccolo monumentino a se stessi («oggi ho mangiato questo… ecco un selfie… »). Conosceremo tra qualche anno quale posto avremo nel “paradiso della tecnica”.
Intanto, poiché lo avevo promesso, vi devo la traduzione dell’espressione iniziale. E cioè quella frase che un tempo, quando Francesco Maisano era bambino, fissava segretamente qualcosa: “Ci vediamo domani, a mezzanotte, nel bosco di Stoli”.