Il racconto. Il cielo di mio padre
- Pino Gangemi
«Guarda gli ulivi, la fenditura di Barillà; indovina le profonde valli che circondano OppidoVecchio; osserva la Piana e si concentra sul mare e, infine, sul promontorio dentro il mare. «Questo - sentenzia Pinuccio - è il mio birillo rosso!»
Tenuto per mano dalla madre, lavato, pettinato e bene ordinato, Pinuccio compare, provenendo da un vicolo, sulla piazzetta della Chiesa. Scende tranquillo verso ‘u Ponti di Palamara’. Che, poi, non è un ponte, ma solo un pezzo di strada che copre un dislivello di dieci metri tra la statale e le viuzze del quartiere Bologna. Da lontano, vede uscire, di corsa, dalla scaletta che porta in cima al ponte, un ragazzo più grande. Rapido attraversa la strada ed entra in via Roma, la via dove si trova la scuola elementare.
I compagni di classe
Un minuto dopo sbuca, dalla scaletta, Cummari Pascalina con il figlio per mano. Frettolosi imboccano via Roma. Intanto, da dietro la curva della statale, appare Carmeluzza e subito dopo il figlio. Saltellando, li supera un bambino più grande con la cartella. Si gira e li guarda, continuando a saltellare all’indietro. Poi si volta e si mette a correre, sparendo alla vista. Un attimo ancora e Carmeluzza e il figlio imboccano la strada della scuola. Pochi secondi e Pinuccio e la madre si trovano all’inizio della salita di via Roma. Salendo lungo la via, sembra a Pinuccio che le distanze siano più ravvicinate. E per quanto Cummari Pascalina e Carmeluzza siano apparse, da lontano, frettolose, la distanza si riduce ancora. Quando arriva a fianco di Carmeluzza, si accorge che tira il ragazzo afferrandolo per il polso e che questo si tiene indietro con le spalle, mentre frena con i piedi cercando di non procedere. Un breve cenno di saluto e un leggero inchino delle due madri: «‘Onna Rosina» «Carmeluzza». Pinuccio procede oltre e, piano, piano, per non farsi sentire, chiede: «Ma che ha quel bambino? Perché non vuole camminare?» «Niente! - risponde la madre - fa solo i capricci». E vanno avanti. Da una viuzza, si affaccia ‘Ntonuzza, con la figlia. Saluta ‘Onna Rosina e si ferma. Pinuccio, curioso, la guarda mentre procede, finché non nota che aspetta un’altra madre con la figlia che sono ancora dietro. Le bambine si lanciano una verso l’altra e si mettono a chiacchierare, in mezzo alla strada. Sono tranquille e sorridono. Intanto Pinuccio e la madre hanno raggiunto Pascalina con il figlio. Al saluto di ‘Onna Rosina, Pascalina risponde con un ammirato commento: «Beata a vvui ‘Onna Rosina’, ca ‘u vostru è bbonu e ‘nci piaci ‘a scola. ‘U meu n’a mangia propriu!». ‘Onna Rosina si rimpettisce d’orgoglio, ma commenta dubbiosa: «Uhhu! Bonu! Pari bonu!». Ma lo dice solo “pe’ parari ‘u gabbu”. Perché ripete sempre ‘Onna Rosina: “Mi vantu e mi vant’eu, bellu fissa chi sugn’eu!”. Giunti quasi alla meta, davanti al portone della scuola, appare, da una via laterale, Succursa con il figlio che scalpita e scalcia come se avesse dieci mani e dieci piedi. Pinuccio lo riconosce: “È Carmelu!”, pensa con timore, il bambino iperattivo, a volte violento, che in paese conoscono tutti.
Carmelu e la madre
La madre tiene saldamente Carmelu per il polso e lo strattona per farlo procedere. Questi, fin’allora muto, vedendosi a pochi passi dalla porta della scuola, getta un potente e lunghissimo urlo. Succursa, per un attimo, viene presa di sorpresa. La sua mano scivola dal polso. Lesta, lo riacchiappa, con la sinistra, per i capelli e usa la destra per picchiare alla cieca su quel corpo in movimento in tutte le direzioni. Carmelu urla ancora, di rabbia, di protesta, non di dolore, e cerca di staccare con le due mani la mano della madre dai suoi capelli. Ma Succursa non molla la presa dei capelli. I maestri, fino a quel momento sorridenti sulla porta della scuola, spariscono rapidi all’interno. All’udire dell’urlo, varie donne sono uscite di casa o si sono affacciate al balcone. Si godono la scena e ridono. Succursa se ne accorge e mormora qualcosa. Pascalina, che le è molto vicina, fa il segno delle corna e spinge la mano, per due volte, in direzione di Succursa: «Tié! Tié!». Per evitare, non si sa mai con quella malalingua di Succursa, le donne si ritirano in casa, mentre invocano il rimbalzo delle invocazioni su Succursa, sulla famiglia e sui discendenti tutti. Pinuccio, all’udire del grido disumano, simile a quello di un maiale che aveva visto, mesi prima, portare al macello, si è bloccato in mezzo alla strada. Guarda esterrefatto la scena. Non riesce a staccare gli occhi da Succursa e Carmelu. ‘Onna Rosina lo scuote e lo indirizza verso l’ingresso. Pochi passi ed è di fronte al marciapiedi. Si ferma. Guarda l’interno, buio, oltre la soglia. La madre, dolcemente, lo spinge per le spalle. Pinuccio si irrigidisce, tirando il busto all’indietro, e poggia il piede sull’orlo del marciapiedi. La madre spinge più forte, con un sorriso sulle labbra, mentre si guarda intorno. Magro come un chiodo, Pinuccio non pesa molto. Sotto la nuova spinta, la gamba destra rigida fa leva sul marciapiede, la sinistra si alza, viene portata avanti per ritrovare l’equilibrio. Un’altra spintarella unita a un secondo sorriso della madre, rivolto a quelli che stanno attorno, attenti a Succursa e al figlio, e la porta viene varcata, senza inutile violenza. “Non è poi così buio”, pensa Pinuccio. E si calma.
U ziu ‘Geniu, il maestro
Qualcuno suggerisce loro di andare avanti, svoltare a sinistra, seguire il corridoio fino all’ultima porta dove, assicurano, sta in attesa il maestro. Solo quando arriva vicino si accorge che il maestro è uno zio: “‘u ziu ‘Geniu!”, si dice sollevato. La madre saluta il marito di una cognata e si attarda un attimo davanti all’aula. Arriva Pascalina e consegna il figlio al maestro: «Professuri, chistu ‘na mangia. Minati corpa se no’ studia… Ca sulu i corpa capisci». Poi, rapida, volta il culo e se ne va. Ha fretta e tante cose da fare. Poco dopo arriva Succursa. Saluta. Tira su la manica della maglietta del figlio e suggerisce al maestro: «‘U tenissi ‘i cca!». Quindi consegna la cartella al figlio e si incammina verso l’uscita, risistemandosi i vestiti scompigliati nella lotta con il figlio. «Succursa!?», dice a voce alta il maestro, tra il basito e il divertito. Ma questa non risponde e va oltre. Si ferma quando arriva a metà del lungo corridoio. Il suo viso appare chiaro alla luce che proviene dall’ingresso. Si volta verso il maestro e dice: «’U volistuvu?”. Si riferisce, forse, al fatto che la scuola è un obbligo per tutti i bambini. «Ed eu vu portai. Ora, su’ ca…tinazzi vostri!». E prende la via dell’uscita. Una mamma che ha ascoltato le ultime parole, commenta, ironica: «Custumata comu sempri!». Altre madri annuiscono con la testa. ‘Onna Rosina, visto l’assembramento che si sta formando, saluta e se ne va. Il maestro accompagna il nipote al primo banco e Carmelu all’ultimo. Torna, quindi, a stazionare davanti alla porta per accogliere i nuovi arrivati. Con un occhio guarda le madri che arrivano, con l’altro i ragazzi nella classe e li zittisce colpendo con il righello il banco più vicino alla porta.
In fuga dalla finestra
Il maestro si distrae un momento e rapidissimo Carmelu si alza dal banco, corre verso la finestra aperta, sale sul davanzale e da qui salta per terra (l’aula è al primo piano). Meno rapidi, ma efficaci, altri due lo seguono e sono già sulla finestra. Saltano. Troppo lento il quarto. E troppo basso di statura. Fa fatica ad arrampicasi sul davanzale. Il giovane maestro se ne accorge ed è subito su di lui. Lo afferra per la giacca, grande per la sua corporatura, forse l’eredità di un fratello maggiore. Lo tira giù dalla finestra. Lo sgrida. Lo rimanda al suo posto. Chiude la finestra e si rimette davanti alla porta. Dopo un poco, chiude la porta e rientra in classe. La lezione ha inizio. I bambini sono agitati. Parlottano continuamente tra loro. Non solo perché è il primo giorno di scuola, ma anche per i tre compagni che sono scappati. Il maestro annuncia che racconterà loro una bella storia. «Questa è l’Italia», esordisce mostrando una enorme carta geografica appesa al muro. «La regione al centro dell’Italia è l’Umbria» e la mostra con il righello. «Il paese al centro dell’Umbria è Foligno» e mostra un punto dentro il colore verde dell’Umbria. «Al centro di Foligno, nella piazza principale, c’è un bar, il Bar della Piazza». Fa una pausa e riprende. «Al centro del bar c’è la sala del biliardo». Ancora una pausa per accertarsi se ha l’attenzione di tutti. «Al centro della sala c’è il biliardo e al centro del biliardo ci sono tanti birilli». Pausa per l’effetto finale. «Al centro dei birilli c’è n’è uno di colore rosso». Nuova pausa, e conclusione: «è quel birillo rosso il centro dell’Italia». Qualche bambino ride. Anche il maestro ride. E allora ridono tutti i bambini. «Mettete in bocca il pennino, ora, e inumiditelo!». Tutti eseguono. Quindi, traccia un’asta sulla lavagna. «Riempite la pagina di questi segni, cominciando dalla prima riga in alto a sinistra e andando a destra». Segue una pagina di aste inclinate in avanti. Poi di aste inclinate indietro. Quindi orizzontali. E così via. Per ore. Finito il primo giorno di scuola, Pinuccio torna a casa e si appoggia con le braccia alla balaustra davanti casa. Guarda gli ulivi, la fenditura di Barillà; indovina le profonde valli che circondano Oppido Vecchio; osserva la Piana e si concentra sul mare e, infine, sul promontorio dentro il mare. Questo si inoltra profondamente nell’acqua e mostra un profilo degradante a salti, come quello di un coccodrillo che sta, metà fuori e metà dentro un fiume, in attesa della preda.
Il cielo sopra la Piana
Da qui, la sera, nel buio di una volta della Piana, si vede nitida nel cielo l’Orsa Maggiore e suo padre, che spesso resta in silenzio, come Pinuccio, appoggiato alla balaustra, gli ha insegnato a individuare la stella polare. A volte, dall’altra parte del padre, si piazza il fratello Mimmo. «Questo - sentenzia Pinuccio - è il mio birillo rosso!».