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Il ricordo. L'ultimo saluto ad Agostino Siviglia, "cantore della montagna"

  •   Gianfranco Marino
Il ricordo. L'ultimo saluto ad Agostino Siviglia, "cantore della montagna"

“È una civiltà che scompare, e su di essa non c’è da piangere, ma bisogna trarre, chi ci è nato, il maggior numero di memorie”.Ogni volta che rileggo Alvaro mi sembra di risentire storie lontane che diventano di colpo stranamente molto vicine, sempre attuali.

È questa la magia di Alvaro, fare rivivere attraverso quei versi, i sentimenti di una montagna che era sua e, oggi, un po’ anche nostra. Una montagna che se di certo non scompare, almeno fisicamente, come la società descritta dallo scrittore sanluchese, di sicuro muta velocemente nella forma e purtroppo anche nella sostanza. Le assonanze con la nostalgia di alvariana memoria e con quella rassegnazione quasi dovuta per un destino ineluttabile sembrano essere scritte in calce sulla carta d’identità di tutti gli aspromontani, dal versante ionico a quello tirrenico passando per l’Aspromonte greco, dove nulla più della lingua richiama ad una realtà che scompare sotto i colpi del tempo.

Penso spesso che ogni pagina sfogliata sia un capitolo archiviato per sempre, ecco perché quando mi tocca di dover salutare per sempre un volto anche solo indirettamente familiare, lo faccio con sentimenti di grande scoramento, perché quel saluto non è solo l’epilogo di una personale parabola umana più o meno lunga, ogni assenza, ogni distacco, in luoghi come i nostri, sulle nostre montagne, nascondono anche altro.

Ecco, ho pensato questo e simultaneamente tante altre cose qualche settimana addietro, in un nebbioso pomeriggio di inizio febbraio, uno dei pochi di un inverno sino ad ora quasi anonimo. L’amico da salutare era Agostino Siviglia, roghudese di nascita e bovese di adozione, ma soprattutto figura che, anagrafe alla mano, ha indirettamente rappresentato una parte della nostra storia ed è anche per questo che il saluto ad Agostino va oltre il semplice momento partecipativo, diventando metafora di una lenta e dolorosa eutanasia, quella di una lingua e di un Mondo a lui tanto cari, oggi ormai quasi scomparsi.

C’era tanta gente l’altro giorno davanti alla chiesa, tanti che hanno voluto salutare Agostino per l’ultima volta. Io ho preferito stare in disparte, una scelta che ultimamente prediligo per dare a certi momenti la dignità della riflessione, quella che deve necessariamente prendere il sopravvento su un momento che spesso si trasforma in inopportuna occasione di socializzazione. Tra i tanti pensieri e le tante sensazioni che mi hanno assalito la mente in quel pomeriggio uggioso, in tono col grigio di un cielo che minacciava pioggia, ho avvertito in modo distinto quella di un gran freddo; e non era solo quello che ci perseguitava tra quei vicoli e quelle stradine dove la Tramontana si insinuava sfregiando la pelle, era un freddo, quello, molto diverso, che ti entrava dentro l’anima. Un freddo che ultimamente sento di sovente ogni qualvolta avverto in modo chiaro la sensazione di avere voltato un’altra pagina nella vita della nostra comunità.

Guardavo quella chiesa, tutta quella gente agitarsi e rumoreggiare tra la nebbia e pensavo che Agostino, il poeta, il passionale, ci aveva lasciato anzitempo, lasciando per prima la sua famiglia, ma certamente anche il paese e la sua gente e portando con sé una parte di grecità calabrese non più sostituibile. Il pensiero di quel saluto ha un sapore ancora più amaro perché è unito alla certezza che quell’ultimo doveroso commiato in realtà fa parte di un processo più ampio e purtroppo irreversibile.

Ogni capitolo chiuso certifica la fine di una vita, di una storia personale e collettiva cui assistiamo inermi ed indifesi. Con Agostino e con la gente come lui, ci saluta un’epoca romantica ed affascinante fatta di colori diversi e diverse sfumature, ci saluta un Mondo che oggi molti neanche più ricordano e che ha lasciato spazio all’omologazione di cose e sentimenti. Gli occhi, le parole, la voce, i tratti di Agostino e della tanta gente che come lui e con lui ha attraversato epoche diverse, ci rimangono negli occhi e nel cuore lasciandoci come ultimo regalo un ricordo da condividere, una luce da tenere accesa, una memoria ormai sempre più preziosa. Perché in certi momenti capisci quanto il valore del ricordo e della memoria sia insostituibile.

L’Aspromonte è pieno di luci, di colori, di profumi, di storie, come quella di Agostino e dei Greci di Calabria, storie che durano nel tempo anche solo per il piacere di essere raccontate.

Ciao Agostino, la terra ti sia lieve.


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