Il ritratto. "Leu u Papaleu"
- Rocco Palamara
Leo Ligora, detto Leu u Papaleo, era un uomo possente e già temuto componente della squadretta del fascio di Casalinovo. A chi gli rinfacciava quel suo passato faceva presente che il fascismo aveva anche debellato i ladri e fatto tante buone opere come i “caselli del fascio” sui Campi di Bova.
Da quell’esperienza giovanile gli restò un cipiglio severo e il rispetto delle leggi. Tuttavia anche a lui toccò una volta essere preso in fallo da un controllore che lo trovò senza biglietto. Era accaduto che per andare ad Africo Nuovo partendo da Bovalino prese il treno di corsa. Ma lungi da voler viaggiare a sbafo, quando passò il bigliettaio si fece avanti apprestandosi a pagare il dovuto, trovandolo però indisposto a credere nella sua buonafede. Secondo quello, egli non era salito nella stazione di Bovalino ma in quella prima di Ardore.
Seguì un battibecco in cui la pacata, e a tratti esasperata, favella paesana nulla poté contro l’appuntito italiano ostentato dal controllore. I due linguaggi mal si conciliavano, ed il contrasto era maggiore se a trovarsi di fronte erano un montanaro e un impiegato. “ Guarda questi pecorari!…” Pensò tra sé e sé quest’ultimo, che cogliendo a quel punto l’occasione di far vedere “chi là la comandava”, pensò di castigarlo. Gli intimò di pagare – pena la denuncia – il doppio del biglietto a partire dalla lontana Roccella, luogo di formazione del treno.
Il costo ammontava parecchie volte il giusto ma Leo Ligora che, con le sue mani mostruose avrebbe potuto persino stritolarlo, abbozzò e pagò quanto pretese l’impiegato. Fidò comunque che, secondo il detto, il mondo è piccolo e che solo le montagne non si incontrano e che gli uomini invece… “Ma che? e quello sarebbe un omo? Massimo un ominicchio!…”; aggiustò il concetto. Rimuginando ancora disperò però di poterlo veramente rincontrare visto che di rado bazzicava quei posti.
E invece Leo u Papaleu la sua occasione la trovò molto presto e – quel che è bello – nel luogo giusto.
Un giorno, passando sull’altopiano dei Campi per tornare a Casalinovo, fu sorpreso da un temporale che lo costrinse a rifugiarsi in uno dei due strabenedetti caselli del fascio: rifugi appositi in caso di pioggia o nevicate. La porta sempre aperta, entrò e accese il fuoco in attesa che il tempo si acquetasse. “ Chissà quanto dura…” Pensò dispiaciuto dal fatto che sarebbe stata dura aspettare a lungo senza nessuno con cui conversare. A un tratto però sentì bussare alla porta. Erano quattro forestieri che chiesero di entrare.
Sotto il diluvio e dall’alto dello scalino e della sua possanza Leu u Papaleu dovette apparire loro come Polifemo nell’antro della caverna. E lui chi ti vide tra quelli? Niente mento che il bigliettaio!
- Ahhaaaaaa! – Fece u Papaleu. Poi disse:
- Allora, voi tre potete accomodavi. Voi invece – disse al controllore – se volete entrare dovete prima pagarmi QUATTRO volte il biglietto Roccella/Africo Nuovo!
- Io non vi devo pagare niente! – Protestò il malcapitato.
- E tu resti là! – Tuonò l’uomo della porta prima di chiuderla, abbandonandolo al temporale.
Il casello del rifugio era di tutti e di nessuno, e quindi nemmeno del Papaleo; ma i marinoti, saliti sin là in cerca di funghi, nell’altrui regno dei montanari non osarono contraddirlo: entrarono solamente quelli col permesso.
Il Papaleo, ligio alle leggi della montagna, pregò i forestieri di accostarsi al fuoco per asciugarsi e – sempre per creanza – cominciò a spiegare loro il motivo del suo gesto. Dopo un poco un ribussare alla porta lo distrasse dal discorso. Si scusò e ritornò all’uscio trovandosi nuovamente il tizio; ma non più quello tronfio d’autorità imbattuto sul treno ma (anche lui) un uomo in difficoltà, che bisbigliò:
- Facimu comu diciti: pagu…pagu!