In ricordo del brigadiere Rosario Iozzia
- Cosimo Sframeli
“Nessuno ha un amore più grande di questo:
dare la vita per i propri amici”
Giovanni (15,13)
La storia non si ripete perché il presente riceve il dono del passato: riceve il retaggio del passato e rende presente il futuro. Non è vivere o morire ad insegnare qualcosa. E’ il modo in cui, in avvenimenti cruciali e sanguinosi, questi nostri fratelli si sono giocati tutto. Carabinieri che accettarono come vantaggio ciò che di affetti e valori ebbero a ricevere. Nella difesa della Legge e della Patria. Persone semplici e disponibili che, dopo la morte, conobbero il tributo del silenzio e soltanto la forza nella Tradizione dell’Arma ha permesso di ridare giustizia agli indifesi e di rincuorare i familiari. Nel loro nome, in Calabria, il nostro passato è motivo di gloria e di dignitoso orgoglio. Con generosità, diedero la vita e lo fecero per qualcosa di più grande che rese spazioso il loro cuore. Così che, in quell’azione del servire, ebbero il privilegio di morire. Il donarsi non è un circolo ma una retta. Il circolo è immagine dell’utile; il donarsi, di contro, è il non ritorno, è l’impossibile dei generosi che annichila la coscienza dei vili. Quindi, di onorare il sacrificio estremo dei nostri Militari dell’Arma dei Carabinieri e, non per ultimo, di testimoniare, assicurando nella memoria di tutti, un tormentato ma eroico percorso, necessario per comprendere e non dimenticare.
Vicebrigadiere Rosario IOZZIA
Comandante della Squadriglia Carabinieri di Cittanova (RC)
Catania 19/08/1962 – Cittanova 10/04/1987
Medaglia d’Argento al Valor Militare
Il 10 aprile 1987, verso le ore 19.30, il Vicebrigadiere Rosario IOZZIA, Comandante della Squadriglia di Cittanova, libero dal servizio, alla guida della propria autovettura Fiat Regata, stava per raggiungere Cinquefrondi dove lo attendeva Silvana, la sua fidanzata. A metà strada, sulla S.P. Cittanova-Polistena, in località “Petrara”, il sottufficiale bloccava improvvisamente la marcia, senza spegnere le luci e il motore. Attivava il freno a mano e scendeva dall’autovettura, lasciando la portiera spalancata. Avrebbe incrociato qualcuno di sua conoscenza. L’antagonista del Vicebrigadiere IOZZIA sparò contro di lui, da distanza ravvicinata, con un fucile automatico calibro 12 caricato a pallettoni. Rosario ebbe solo il tempo di estrarre la pistola d’ordinanza e di sparare un colpo contro il suo assassino, forse andato a vuoto, prima di cadere fulminato dalla scarica della lupara. Fu trovato a terra, sanguinante, da un giovane che lo trasportò all’Ospedale di Polistena nel vano tentativo di strapparlo alla morte. Sette i pallettoni che lo colpirono al torace e alla testa.
Fu formulata l’ipotesi che l’omicidio fosse stato determinato da un incontro occasionale tra il Vicebrigadiere e qualche delinquente che era solito vagare per quelle campagne. Il Ten. Colonnello Sabato PALAZZO, Comandante del Gruppo, in una riunione con i giornalisti, affermò che nella zona dove fu ucciso il Vicebrigadiere IOZZIA erano nascosti ben diciassette latitanti della ‘ndrangheta, tutti giudicati elementi di primo piano dell’organizzazione mafiosa. Nuove informazioni stabilirono la presenza del latitante Giuseppe FACCHINIERI.
L’uccisione di un milite, in circostanze poco chiare, in un contesto ambientale quale quello di Cittanova – Taurianova e zone limitrofe ove l’unico ausilio alle indagini erano le missive anonime (spesso intenzionalmente depistanti), non fu un episodio di facile risoluzione. Ogni ipotesi accusatoria aveva fondamento esclusivamente su semplici indizi che, nel corso delle ulteriori indagini, perdevano quel pur minimo valore che avevano avuto. La tesi più cospicua fu quella della violenta reazione di un latitante, sorpreso dal giovane sottufficiale a girovagare o nell’atto di compiere qualche crimine. Tale prospettazione trovava il suo fondamento essenzialmente nella ricostruzione dell’episodio. IOZZIA fu colpito in un atteggiamento di “difesa attiva”, esplodendo un colpo dalla pistola d’ordinanza contro chi stava per ucciderlo. L’ipotesi che un FACCHINIERI, e più precisamente Giuseppe FACCHINIERI, che era stato visto andare armato nelle contrade ove occorse l’omicidio, possa essere stato l’autore del grave fatto di sangue, appariva “certamente suggestiva e non poteva essere esclusa; tuttavia, nessun elemento concreto aveva sostanziato tale ricostruzione che rimaneva mera ipotesi”. Il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Generale Roberto JUCCI, ore prima, era stato alla Caserma di Oppido Mamertina per complimentarsi di persona con i Carabinieri che avevano liberato la studentessa universitaria Angela MITTIGA, sequestrata nel mese di settembre del 1986.
“Assassini” – gridava la madre Anna MONACO – “mi avete tolto un figlio”. Una gran folla tributò l’ultimo saluto al Vicebrigadiere dei Carabinieri Rosario IOZZIA, di venticinque anni, ucciso la sera di venerdì del 10 aprile 1987 a Cittanova. Il funerale fu celebrato nella Chiesa di Maria Santissima del Santo Rosario di Cittanova in forma solenne. L’Amministrazione comunale proclamò una giornata di lutto cittadino. La bara, avvolta nel tricolore, fu portata a spalla da sei brigadieri dell’Arma, con il cuore stretto dall’emozione per l’estremo saluto al collega caduto sul fronte del dovere, a soli venticinque anni. Nell’infuocata provincia di Reggio Calabria si continuava a uccidere, tra paura, raccapriccio e assuefazione. Il lungo applauso, al passaggio della salma, ebbe un significato di ribellione spirituale al vortice di brutalità.
“Addio Saro. Non ti dimenticherò mai. Sei stato per me più che un fratello”. Un giovane carabiniere con il volto rigato dalle lacrime, affettuosamente confortato da altri due militi, salutava con la mano, come aveva fatto tante volte sui contrafforti aspromontani, come se fosse ancora vivo. Il suo comandante, un altro ragazzo del Sud che aveva immolato la sua vita per un ideale di giustizia. Lo ricorderà sempre con la tuta mimetica e il mitra imbracciato arrampicarsi sui canaloni e sulle rocce della fiumara dell’”Uomo Morto” o sui “Piani dello Zillastro” e dello “Zomaro” alla ricerca di fuorilegge latitanti o di prigioni dell’Anonima sequestri.
A Reggio Calabria, il 19 marzo, nel corso di una rapina in una gioielleria, fu ucciso Rosario BONFIGLIO, di ventisei anni, messinese, elicotterista della Polizia di Stato, che si era opposto coraggiosamente ai banditi. Due anni addietro (06/02/1985) a essere ucciso in un agguato, a San Luca, era stato il Brigadiere Carmine TRIPODI, di venticinque anni. Nel ’77 l’Arma fu duramente colpita con la strage di contrada Razzà di Taurianova (01/04/1977) dove furono uccisi l’Appuntato Stefano CONDELLO e il Carabiniere Vincenzo CARUSO, i quali avevano interrotto un summit di mafia.
Il Vicebrigadiere Rosario IOZZIA fu insignito di Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione:“Comandante di Squadriglia operante in zona ad elevato indice di criminalità organizzata, pur essendo consapevole dei gravi rischi cui si esponeva, solo ed a diporto, affrontava con altissimo senso del dovere e cosciente sprezzo del pericolo latitante che, armato di fucile a canne mozze, si accompagnava ad altri malviventi. Fatto segno a violenta azione di fuoco, benché mortalmente ferito, reagiva con l’arma in dotazione, in difesa dello Stato e delle Istituzioni. Fulgido esempio di attaccamento al dovere spinto fino all’estremo sacrificio. Petrara di Cittanova (RC), 10 aprile 1987”.