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In ricordo di Ciccio Vinci: giovane comunista ucciso dalla barbarie mafiosa

  •   Domenico Luppino
In ricordo di Ciccio Vinci: giovane comunista ucciso dalla barbarie mafiosa

10 DICEMBRE 1976 - Quarant'anni anni fa veniva assassinato a Cittanova, da mano criminale e mafiosa, un giovane di nome Francesco Vinci. Aveva solo 18 anni, Ciccio, e giá si era distinto per l'impegno sociale e politico. Venne ucciso per "errore", recitarono le cronache di allora. Non ci si rendeva conto o non ci si voleva rendere conto, al tempo, che non c'era alcun "errore" nel morire sotto il piombo della 'ndrangheta. La barbarie mafiosa, uccidendo Ciccio Vinci, si fece un regalo. Quel ragazzo, se gli fosse stato concesso di vivere, ne sono certo, sarebbe stato un fiero antagonista del morbo che da sempre infesta le nostre contrade. Un ragazzo, un giovane comunista, che sarebbe divenuto semplicemente un uomo libero. Per tutto questo e per continuare ad alimentare ció che é divenuto solo un fioco barlume di speranza, perché quella morte non contiui ad essere vana, vorrei che non dimenticassimo.

La storia di Ciccio Vinci
Era un ragazzo del liceo, un leader studentesco, un attivista politico. È caduto per la dura logica della faida. È morto innocente. Una morte per errore, un regalo alla 'ndrangheta. Perché Francesco Vinci, per tutti Ciccio, era già un fiero oppositore delle cosche di Cittanova. La sua era una presa di posizione forte, in un paese dove nessuno poteva chiamarsi fuori. Da un lato la cosca dei Facchineri, dall'altro quella dei Raso-Albanese, una guerra per la supremazia criminale.
 
Ciccio aveva 18 anni. Quel 10 dicembre del 1976 si era alzato presto, poi in viaggio verso Reggio per presentare in caserma i documenti del rinvio del servizio militare. Al rientro era rimasto a casa, stanco. Tutto il pomeriggio a giocare con il nipotino. Poi una decisione fatale: accompagnare la zia a prendere il marito, Girolamo Guerrisi, che si trovava in campagna. Ciccio sale sull'auto del cugino Rocco Guerrisi, una Fiat Campagnola. Sono le sei del pomeriggio ed è già buio. All'altezza del cimitero scatta l'agguato. Sono in tre, sparano in due con un fucile e una pistola. L'altro fa il palo. Quasi una premonizione. Il ragazzo
morirà in ospedale. La zia se la cava con poco. L'impatto dell'assassinio fu enorme. Quella morte sembrò a tutti una reazione delle cosche, un segnale a chi osava sfidarle. Ciccio Vinci era un leader della Fgci, la giovanile del Partito comunista, faceva parte anche nella Lega dei disoccupati, era uno degli attivisti più carismatici tra i giovani della Piana di Gioia Tauro. Ciccio Vinci era soprattutto un ragazzo onesto, brillante e amato da tutti. Nato in una famiglia di democristiani, aveva deciso di seguire le sue idee. Non molto tempo prima di morire, Ciccio era intervenuto in un'assemblea studentesca partecipatissima a nome del liceo scientifico che frequentava, nella sala del consiglio comunale di Cittanova. Il suo era un discorso contro la ndrangheta, frasi rivoluzionare per l'epoca, per il luogo e per l'età di chi le pronunciava. "Bisogna spezzare questa ragnatela che ci opprime". Interrompere quella faida che era iniziata nel '64, come narrano le cronache, per prolungarsi e trascinarsi fino al '92, con circa cento caduti. A morire anche i bambini, come Domenico e Michele Facchineri di 11 e 9 anni, ammazzati a sangue freddo durante un agguato (il 13 aprile 1975, lunedì di Pasqua, la strage di Cittanova).
 
Ecco perché per il funerale scesero in piazza in migliaia, accorrendo da tutta la provincia. Studenti, organizzazioni politiche, movimenti, la gente del paese. Accadde una cosa impensabile: decine di ragazzi circondarono la casa di uno dei boss della zona, urlando slogan rabbiosi. Accadde anche che, poco tempo dopo, cinquemila studenti della provincia reggina marciarono a Cittanova contro la ndrangheta. È stata probabilmente la prima manifestazione giovanile contro le mafie che si è svolta in Italia. I compagni di scuola onorarono la memoria di Ciccio con un gesto simbolico molto forte: lo elessero a rappresentante studentesco (era l'anno dei decreti delegati e delle prime votazioni nelle scuole, e Ciccio era in corsa) nonostante fosse morto.
 
Ad un anno dalla scomparsa, Ciccio Vinci fu ricordato con una cerimonia e i versi del poeta Emilio Argiroffi. Le istituzioni locali non parteciparono. Grazie all'impegno dei giovani militanti, l'attenzione salì. E l'anno successivo furono in duemila a sfilare, coi gonfaloni e i rappresentanti della politica e della società civile. Mentre in Parlamento il gruppo comunista (Alinovi, Ambrogio, Villari, Marchi, Dascola, Monteleone e Martorelli) depositò una interrogazione sul caso. Arrivò una prima conferma ufficiale alla pista della faida.
 
Oltre alla matrice politica, gli inquirenti pensarono subito al sanguinoso scontro in atto a Cittanova. Ma nelle indagini furono coinvolti i boss Luigi e Vincenzo Facchineri (poi prosciolti in istruttoria). E l'omicidio restò di difficile interpretazione. Ciccio Vinci era un giovane e scomodo attivista. Nel clima della faida sarebbe potuto bastare per morire. Ma la faida ha una logica assoluta: nessuno può chiamarsi fuori. Come in ogni piccolo paese, la ragnatela delle parentele lega mondi lontani. Legami di sangue tra i Guerrisi e i Vinci, legami di sangue tra i Guerrisi e i Facchineri. Nella logica della faida sarebbe potuto accadere che - e così sembrò ad alcuni - una non risposta alla chiamata alle armi avesse come conseguenza una vendetta trasversale.
 
Le indagini e il successivo processo fecero chiarezza. Ciccio aveva preso la macchina del cugino solo per un caso. Non era lui il bersaglio prescelto. Nel marzo del '79 vennero arrestati i fratelli Vincenzo e Romeo Marvaso, Francesco Trimarchi e Gerardo Galluccio (all'epoca di 23, 28, 22 e 21 anni). Nel febbraio del 1981 il rinvio a giudizio da parte dei giudice istruttore di Palmi, Totaro. In quella ragnatela era caduto anche Vincenzo Marvaso: compagno di classe, Ciccio lo aiutava spesso nei compiti. Fu proprio Vincenzo a sparare, col fucile, mentre Trimarchi usò la pistola, il terzo era Galluccio. Nel giugno dell'82 la sentenza di primo grado della Corte d'assise di Palmi, presieduta dal giudice Saverio Mannino, con pm Salvo Boemi: 30 anni ai tre, assoluzione con formula dubitativa per Romeo Marvaso. In appello, nel febbraio '84, le pene vennero ridotte a 24 anni.
 
Un monumento funebre ricorda Ciccio Vinci, nel cimitero di Cittanova. Simboleggia quella ragnatela opprimente che intrappola le idee e le speranze, rappresentate da un garofano rosso, una ragnatela che può essere spezzata con l'impegno e la volontà.

Fonte: L'Unità del 25 Marzo 1979 di Enzo La Caria


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