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L’intervista. Angelo detto "Il Bonzo" e l'anarchia reggina

  •   Antonella Italiano
L’intervista. Angelo detto "Il Bonzo" e l'anarchia reggina

L’anarchismo? Ci arrivai che ero un giovane studente del liceo artistico, affascinato da un libro che ne elencava i principi. Certamente c’ero già arrivato da solo, ma non ero il solo a pensare quelle cose: la lettura mi aiutò a comprendere questo. Iniziai a frequentare Angelo Casile, ad andare assieme a lui, che aveva già dei rapporti con la Fai, la Federazione anarchica italiana, a qualche riunione. Ed eravamo ancora giovanissimi, quando provammo a scrivere la nostra storia…

Un’organizzazione orizzontale: l’autogestione

Credo che la forma sociale che gli anarchici propongono sia una forma ideale che però si può realizzare. Non è utopica, perché parte del concetto che il potere non si può distruggere, ma afferma che il potere si può diluire (arrivando al potere diffuso). Passare quindi dall’organizzazione verticale, che è quella che finora ha generato il caos sociale, a un’organizzazione orizzontale. Come funziona? Un paese, come sappiamo, è composto da tante frazioni, queste frazioni nominano un gruppo di specialisti senza dargli però alcun potere decisionale; quando si fa una proposta (inerente a strade, asili, problemi di acqua, questioni collettive dunque) ogni frazione esterna, a riguardo, quello che è il suo bisogno. Ci si riunisce insieme ai tecnici e si stabilisce qual è la disponibilità di fondi per la soluzione dei problemi. Il mancante si aggiunge. I cittadini allora pagheranno le “tasse”, che non saranno più tasse ma soldi spesi per autogestirsi. E, come questa, esistono innumerevoli forme di autogestione. L’anarchismo si fonda sul rispetto dell’individualità di ognuno. E se la libertà di uno è danneggiata, allora lo è quella di tutti. Perché alla fine la libertà cos’è? È avere diritto alla scuola, avere diritto all’acqua, alla fogna, al mio pensiero. Già, soprattutto poter esprimere il mio pensiero.

Il rapporto con i comunisti

Ci sono tre tendenze dell’anarchismo. Il comunismo anarchico guarda soltanto alla parte economica: tutti contribuiamo al mucchio e tutti prendiamo in base ai nostri bisogni; io ho una gamba e produco 10 però se devo prendere 15, perché tali sono le mie esigenze, allora prendo 15. Il comunismo è questo per gli anarchici, non l’organizzazione verticale che tutti conoscono. Non è lo stalinismo. Non è il partito. Non è l’avanguardia. Altra forma di anarchismo è l’individualismo: io organizzo la mia attività economica con la mia fantasia e con i miei soldi, e tu non puoi condizionarmi in queste scelte, però ne fai parte, perché io mi rivolgo a tutti per distribuire il prodotto. Per ultimo il collettivismo, cioè quando si sceglie di fare una cooperativa e assieme si gestisce la propria economia. Queste sono le tre tendenze del movimento, però sappiamo bene che ogni fase ha il suo periodo storico, e soprattutto che si creano continuamente delle nuove esigenze.

La storia nascosta

Nell’insurrezione armata che ci è stata in Italia, dal ‘43 al ’45, il movimento anarchico (includendo nel movimento anche le individualità di pensiero) è stato grandissimo. Ad esso di sono uniti i socialisti, i comunisti, i democristiani, i cattolici; c’erano gruppi di tremila persone, come gruppi di sei persone. Ciò che non perdoniamo ai comunisti, ai democristiani, ai socialisti, è di aver nascosto le pagine di storia che raccontavano di noi. Mai è stato scritto sui libri che gli anarchici erano combattenti per la libertà durante il periodo dell’insurrezione armata. E questo perché, pur vincitori, eravamo diversi dagli altri compagni, che invece avevano una cosa in comune: sostenere l’autorità di pochi sul popolo. Gli anarchici sparirono, quindi, come movimento, pur restando come sempre accanto alla gente. Ed è una storia lunga la nostra, viva fin dall’Ottocento, e a capo tramite l’Usi, il sindacalismo rivoluzionario dove gli anarchici erano numerosi, di tutto il movimento nelle fabbriche del 1923, del 1925, del 1929.

Il fuoco di Reggio e la Baracca

A Reggio, a Campo Calabro, a Villa San Giovanni, sono sempre esistiti dei gruppi anarchici, molti membri hanno attività autonome, aziende, o sono liberi professionisti. Una grande mente fu il professore Chiellino, un anarchico individualista; quando andavamo a casa sua – all’epoca abitava ai villini svizzeri – ci apriva la porta, aiutandoci in qualsiasi modo. L’individualismo è una forma di pensiero, infatti, ma pur sempre sociale. Oggi ci riteniamo gli eredi di questi personaggi e attraverso loro riusciamo a identificare il nostro anarchismo, che è simile ma di una generazione diversa. Le riunioni alla Baracca erano riunioni aperte, c’erano i membri del Psi-up, come quelli del partito comunista. E si discuteva delle problematiche politiche, di come risolverle, ma ovviamente non si arrivava sempre a una soluzione unica perché loro ragionavano da marxisti e spesso non si trovava un accordo. Ma insieme ci recavamo nei quartieri ad analizzare le condizioni in cui viveva il popolo: a Reggio c’era chi aveva la casa con la televisione, o il macchinone, e la fogna a cielo aperto. Le grandi contraddizioni della città! E con questi reggini avevamo difficoltà a spiegarci, e loro trovavano difficoltoso ascoltarci. Quando ci fu la rivolta al Gebbione c’era un punto occupato in cui si andava per discutere e confrontarsi; però Reggio era particolare, e non c’è stata mai una grande intesa. È stato grazie ad Angelo Casile, grazie a Rian, un compagno di Campo che è morto recentemente, studenti del liceo artistico, e anche grazie ad altri giovani comunisti, che si riuscì a coinvolgere i reggini in qualche sciopero e qualche bella battaglia.

La repressione

Abbiamo contestato Berretti verdi, al cinema Margherita, un film in cui l’impero americano imponeva il suo modo di vedere le cose; abbiamo manifestato al porto di Reggio contro il passaggio delle navi americane. Avevamo circa diciotto anni, chi più chi meno, e venivamo caricati puntualmente dalle forze dell’ordine. Perché la prima azione era la repressione: reprimere qualsiasi cosa, qualsiasi evento, soprattutto le azioni che toccavano il cuore della società americana. Accanto a queste limitate forme di protesta c’erano le grandi manifestazioni contro la guerra nel Vietnam a cui partecipavano compatti comunisti, socialisti, e tutta la sinistra parlamentare e extraparlamentare. Avevamo formato, all’epoca, un bel gruppo extraparlamentare con i marxisti, e si lavorava insieme quando gli obiettivi erano comuni. Questa forma di collaborazione trasversale era d’esempio, ed era nata proprio a Reggio. Per questo non possiamo affermare che tutti i reggini siano stati uguali nei confronti dell’anarchismo: c’è stata e continua ad esserci una grande minoranza che la pensa in modo diverso, e che, se si identifica negli obiettivi degli anarchici, partecipa attivamente.

La donna

Il nostro pensiero era evoluto rispetto a quello di altri, perché non guardavamo né alla carriera, né alla galera, non avevamo prezzo. Sentivamo che la nostra società sarebbe stata giusta, e ci battevamo con forza per realizzarla. Si era giovani, poco meno che ventenni, ma già guardavamo alla donna con rispetto, considerandola un essere umano con qualità, diritti e doveri, identici a quelli dell’uomo. Oggi sembra banale, ma all’epoca era una posizione importante, controcorrente. Per questo molti si avvicinavano ad ascoltarci, perché per la cultura dominante di quel periodo le cose erano esattamente al contrario. E allora noi, spiegando e lottando, raccoglievamo consensi e simpatie tra la gente. Sentiamo di avere vinto questa battaglia, che le nostre parole sono stante ben spese, perché se oggi in Italia abbiamo una legge che difende la parità dei sessi è anche grazie alle proteste degli anarchici che ne parlavano già nel ‘67, nel ‘68, nel ‘69. Tra curiosità e desiderio, dunque, avevamo occasione di incontrare molte persone e molti abbracciavano totalmente la nostra causa. Tra cui donne, appunto: c’erano molte simpatizzanti dell’anarchismo. Quando sono sorti i Collettivi operai-studenti siamo riusciti a dialogare meglio con le famiglie. Il Collettivo era un’idea liberale, chiunque poteva farne parte, chiunque poteva esprimere un pensiero, senza mai essere assalito o “mangiato vivo”. Il massimo del dissenso, nel confronto, poteva essere “guarda che non è così secondo noi”. Uno dei principi fondamentali dell’anarchismo – lo ripeto – è il rispetto dell’individualità, e ognuno deve arrivare, secondo le sue possibilità e secondo il suo tempo, a quella che noi chiamiamo “l’evoluzione del pensiero”.

Medicina autogestita e scuola

A Campo Calabro abbiamo avuto esperienze di “medicina autogestita”, grazie all’aiuto e alla disponibilità di due medici, di cui uno ancora esercita a Reggio. Stampavamo un giornale, nel periodo dell’istituzione del Collettivo operai-studenti, che era la continuazione dei fatti di Reggio; e, quando sono riuscito a raccogliere un po’ di soldi, ho organizzato persino dei corsi musicali. Poi qualcuno mi fece notare di avere più diritto di me a quell’edificio che ci ospitava, ed io me ne andai e aprii poco lontano una scuola in cui si insegnavano pittura, scultura, musica. Tutti i ragazzi mi seguirono. Naturalmente nessun insegnante veniva retribuito, chi accettava di aiutarci lo faceva perché si sentiva affine alla causa e alla gente, fra questi vorrei ricordare Carmelo Tenio, uno scultore di Reggio Calabria. Abbiamo allestito anche un corso di ceramica e, a riguardo, vi racconterò un aneddoto: un bel giorno arrivai a scuola e trovai tutta la creta spalmata sui muri. I ragazzi stavano lì in attesa di un rimprovero. Cosa fare? Mi passò per la mente, in quell’attimo, quanto mi aveva raccontato il figlio di una mia compagna, che studiava con i suoi quattro fratelli in una scuola inglese. Avevano rotto un vetro, e quando arrivò l’insegnante, anziché punirli, prese una pietra e ne ruppe uno anche lui: così si fa, disse, lasciando i ragazzi sbalorditi. E quell’uomo, senza alcun rimprovero, diede loro una grande lezione di vita. Io allora feci lo stesso, dissi agli studenti “lo vedete quell’angolo? Così si fa a imbrattare i muri” e lanciai la creta. Poi insieme ripulimmo tutto.

Il rapporto con il clero

Eravamo anticlericali, che è un altro punto importante dell’anarchismo, ma dimostrare al popolo che tutto l’impianto religioso è da sempre una forma di potere per governarlo non è semplice. Oggi la chiesa cattolica ha affermato di non voler “investire” in Europa perché il laicismo è più forte; e si è spostata in Cina, in Africa, in America. Anche noi abbiamo contribuito a questo risultato, anticipando a Reggio e in tutta la Calabria, quelli che poi si sono rivelati dei percorsi europei. La Chiesa mi è stata ostile, ma io ho sempre saputo difendermi, con tanti modi e forme. A Campo, col parroco di adesso, siamo addirittura buoni amici, perché entrambi abbiamo grande rispetto del pensiero e dell’individualità. Il clero degli anni Sessanta, al contrario, era eccessivamente duro con l’anarchismo; altro periodo storico! Pensate che a Campo, per la medicina autogestita avevamo come sede la sala del prete. Successe una guerra, gli animi si divisero, era una piccola rivoluzione all’interno della chiesa stessa. Come ci eravamo riusciti? Senza mai accennare all’anarchismo, bensì praticandolo.

Le battaglie di oggi

Il movimento, dopo la scomparsa dei cinque compagni della Baracca, si è bloccato per qualche tempo. Poi, con un manifesto che abbiamo intitolato “La rivolta degli sciacalli” (io non me lo ritrovo ma lo troverete di certo in polizia), stampato alcuni mesi dopo la loro scomparsa, si è in qualche modo riacceso. Seguono delle pagine di storia che non si possono ancora narrare, perché molta gente vive, lavora, e ciò potrebbe riversarle addosso delle ostilità. Ma ognuno di noi ha partecipato con modi e forme diverse fino ad arrivare ad una ripresa delle attività. Ad esempio il compagno Pino Vermiglio, con la collaborazione di tanti, ha aperto una biblioteca qui a Campo. Questa biblioteca, oltre alla sua funzione, è anche un punto di riferimento per qualsiasi movimento o comitato. Abbiamo appoggiato molte iniziative: battendoci per risolvere dal problema più lieve (la spazzatura), a quello più grande (il grave inquinamento che avrebbe portato la persistenza a Campo Calabro di un impianto di bitume). Quindi gli anarchici “lavorano”, come sempre, accanto alla gente, e già il fatto che io lasci le sedie qui, in questa piazza, e che chiunque possa utilizzarle anche quando il mio locale è chiuso è una forma di anarchismo.

La democrazia diretta

Gli anarchici non votano per principio, ma questo non significa restare totalmente distanti dalle questioni politiche. La mia opinione, anche se molti non sono d’accordo, è che partecipare, in qualche circostanza, è un nostro dovere. Ci sono elementi di democrazia diretta per cui l’anarchia si deve battere. L’obiettivo va raggiunto in qualche modo. Quarant’anni fa mi dicevo: annulliamo questo, annulliamo quest’altro, ma cosa facciamo? Oggi, con la mia nuova maturità, con l’evoluzione che ha bisogno di tempo e di cultura, sono riuscito a darmi una risposta: esistono forme di organizzazione che si potrebbero applicare. Per esempio si potrebbe sostituire il consiglio comunale con l’assemblea pubblica, oppure apportare qualche modifica al consiglio stesso, trasferendolo in piazza, aperto al pubblico, lasciando la possibilità ai cittadini di intervenire, di fare proposte, di elencare i problemi, di arrivare con gli amministratori a delle soluzioni condivise. Oggi nei comuni c’è una gestione di potere e basta, la gente che vive il paese non ha nessuna voce in capitolo. Guarda questi alberi come sono abbandonati, guarda questa piazza. Un popolo civile dovrebbe avere questo? Certo che no, perché uomini e alberi vanno rispettati. Ci insegnano a “piantare” e poi vai in una piazza e trovi solo cacca di uccelli, di migliaia e migliaia di uccelli. Se gli alberi fossero curati, potati, si potrebbe convivere con loro, e con gli uccelli. Poi arriva un amministratore e propone: affumichiamoli. E questa sarebbe la soluzione? E lui l’amministratore che mi dovrebbe rappresentare? Quello stipendiato?

Il processo evolutivo

Per la mia idea, rifarei ogni cosa. E certo avrei voluto fare di più negli anni, perché il fatto di non essermi mai tirato indietro non è sufficiente. Il mio sogno è di avere una radio, per entrare in tutte la case, stare con la gente. Il concetto dell’anarchia è molto difficile proprio perché diverso da quello che si vive. Come può, allora, un anarchico spiegare ad un ragazzo che non conosce la sua dottrina come intendere il potere? È necessario, per farlo, partire dalle piccole realtà locali, ed arrivare a organizzare in modo anarchico tutto il pianeta terra. Prima parlavo di un processo evolutivo, ma per aiutare le persone a comprendere, a crescere, è fondamentale contare su una macchina già in movimento, con cui trasmettere queste forme e modi di vivere diversi dal noto. A Reggio, ad esempio, l’evoluzione non è attiva, non ci sono le condizioni per una crescita comune, tutto è negativo e le minoranze non hanno grande capacità di comunicazione (se ci fosse una radio l’avrebbero). Devono esserci gli strumenti per riuscire a comunicare, o il processo, già lento di suo, si blocca o non parte. Per esempio in una famiglia agiata il figlio non deve necessariamente essere brillante per acquisire, nella società, un ruolo importante. Perché in una famiglia agiata esiste una serie di elementi che educa, fin da bambino, quel ragazzo a ragionare ad un certo livello. E il figlio del povero? Un ragazzo povero emerge solo se particolarmente dotato, con questo sistema, e affrontando gravi difficoltà. Se in questa piazza, infatti, posizioniamo solo un biliardino o delle carte per giocare, i ragazzi oltre il biliardino e le carte non andranno, il loro processo di evoluzione resterà fermo a quegli unici elementi. Se invece mettiamo degli scacchi, o altre cose che stimolino la mente, i ragazzi cominceranno a intendere le cose in altro modo.

Un anarchico al potere?

Gli anarchici non hanno nessun interesse ad andare al potere, perché se ci andassero, molto probabilmente, farebbero anche peggio degli altri. Non è l’uomo, è il potere che divora, per questo esso va diluito, diffuso. I governi non dovrebbero esistere, piuttosto servirebbe avere un’organizzazione in cui nessuno ha il potere di comandare ma tutti assieme gestire. Ecco che dal comitato di frazione si arriverebbe al comune, dal comune alla provincia, dalla provincia al meridione, dal meridione all’Italia. Alla fine è il pensiero di tutte queste entità che deve prevalere. Potrebbe sembrare un concetto utopistico, ma diverse esperienze storiche ci insegnano che ci si può arrivare.Considerate che è molto facile comunicare col popolo, quando si centralizzano gli obiettivi sociali.

Il reato d’opinione: articolo 290

Oggi siamo decisamente più liberi di mezzo secolo fa, per esempio parlare di sessualità ai ragazzi è una cosa normale. E la libertà di pensare ancora esiste, non sono riusciti a distruggerla pur avendoci provato. Io sono andato in galera sette volte per aver “infranto” l’articolo 290, due per piacere mio e cinque per piacere della storia. Oggi si può parlare in tante forme e modi, anche se devi stare sempre in guardia o ti fregano, mentre prima si andava in galera per reati d’opinione. In una pizzeria a Roma un ragazzo scrisse su un tovagliolo qualche considerazione riguardo la storia di Calabresi, e poi lo lasciò lì abbandonato. Per questo finì in galera. E in questo tipo di società coercitiva e autoritaria, che controlla tutto, quasi stalinista, per una cosa del genere sei fregato, ti cadono addosso una serie di restrizioni. Io, che non ho mai desiderato “fare concorsi”, mi sono potuto permetter il lusso di vivere da anarchico.


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