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La montagna. Un amore da dimenticare

  •   Bruno Criaco
La montagna. Un amore da dimenticare

La luce del sole faticava a penetrare sotto i larici e tra la polvere sollevata dalle capre nella loro corsa verso i pascoli. Paolo procedeva lentamente sul viottolo che portava alla casetta con due secchi colmi di latte, brontolava per il peso del suo carico, per l’ennesima alzataccia e per la polvere impregnata degli odori dell’ovile che gli s’incollava alla pelle. A scuoterlo dai suoi pensieri fu il gracchiare dei corvi che giocavano col vento. Detestava pure loro, e loro ogni mattina sembrava lo volessero sfidare, ricordandogli che quello era il loro regno.

La Rocca dei corvi era una sorta di anfiteatro, a 1500 metri d’altezza, ed aveva come palcoscenico una delle vallate più selvagge dell’Aspromonte con all’orizzonte il mare e l’oriente. Paolo inciampò e qualche goccia di latte cadde al suolo. Imprecò ad alta voce e non si accorse, fino a che non ne sentì la voce, che il padre era dietro di lui: «Smettila di bestemmiare» «Pà ma queste bestiacce portano sfortuna» «Non guardi con gli occhi giusti. Sono solo uccelli figlio mio».

Accesero il fuoco e trasformarono il latte in formaggio e ricotta. Tra i due c’era tensione, Paolo voleva lasciare la montagna, la storia purtroppo si ripeteva e il padre sapeva di non poter fare niente. Finiti i lavori all’ovile, il padre portò da mangiare a Biscotto, il vecchio cane che ormai non seguiva più il gregge. Poi prese il binocolo e andò a controllare le capre. Si sedette su uno spuntone di roccia, sospeso su un precipizio di centinaia di metri, le guardò saltellare sulle rocce delle falesie sottostanti e dirigersi verso i laghetti dell’Aposcipo, il fiume che da millenni regalava le acque allo Jonio.

E verso quel mare, adesso, stava puntando lo sguardo «Maledetto, tu a questa terra hai portato sempre e solo il pericolo. Il tuo piattume inganna». Paolo gli si avvicinò piano, soffriva di vertigini però voleva parlargli «Pà allora mi dai il permesso di partire, qua a me non piace» «Paolo tu non guardi con gli occhi giusti. Io sono solo un capraio. Amo troppo questi posti e non sono attendibile se ti dico che le pianure che non finiscono mai mi annoiano. Che le nebbie impenetrabili che oscurano il sole mi deprimono. E non capisco come si possa vivere nelle città, con il loro caos, e le loro luci accecanti, che manco le stelle ti fanno vedere. E so bene che non mi crederai se ti dicessi che come in questo mare, che io ogni giorno maledico, in quella calma apparente, si nascondono insidie che non potresti scansare. No, io non ti fermerò. Purtroppo solo quando sarai lontano capirai cosa hai lasciato. Solo allora guarderai con gli occhi giusti».

Poi emise un fischio e Biscotto, ansimante, fu lì in un attimo a cercare l’immancabile carezza del capraio. «Si Biscotto lo so, tu non mi abbandonerai mai. E anche i corvi ci faranno compagnia. Noi li guardiamo con gli occhi giusti, è vero? E ora andiamo, l’ombra del nostro larice ci aspetta».


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