La riflessione di Domenico Luppino, eroe da trent'anni
- Domenico Luppino
Ho resistito: quando qualcuno fece saltare in aria il portone e la facciata della mia abitazione (1973); quando qualcuno decise che il sequestro di persona doveva toccare anche me (1974); quando qualcuno costrinse mio padre ad un’estenuante e snervante trattativa, finita con il pagamento di un riscatto, per liberare un mio congiunto (1975); quando qualcuno pensò di sparare nottetempo alle finestre della mia casa (1976); quando qualcuno sparò dei colpi d’arma da fuoco all’indirizzo di mio padre (1977); quando fui costretto a lasciare mio padre, per non assistere al quotidiano stillicidio di minacce e richieste estorsive che giungevano anonime, ma non troppo, a casa mia (1978); quando dovetti assistere a migliaia di alberi d’ulivo incendiati nel corso degli anni (1980 – 2015); quando qualcuno ha incendiato, rubato, danneggiato, mezzi e attrezzature di lavoro (1980 – 2015 ); quando qualcuno mi minacciò direttamente di morte (2000 – 2002 – 2015); quando qualcuno mi ha impedito di poter contare persino nella semplice compagnia di un cane (2006 – 2015); quando vidi la bara di mio padre fatta saltare in aria da un ordigno (2003); quando ho visto, decine di volte, le lacrime dei miei familiari; quando sento, dentro e fuori, le mie di lacrime; quando mi accorgo che il tempo e gli sforzi non sono serviti a nulla, se non ad acuire il nefasto mondo che mi circonda.
Ma ciò a cui proprio non riesco a continuare a resistere è il silenzio, specie quello dello Stato: cieco e sordo, ipocrita e prevenuto, complice e non avversario del sistema criminale e mafioso che ci circonda.