La testimonianza. Bambini, vittime innocenti
- Cosimo Sframeli
La bellezza vera si perde facilmente, come la prima lotta è quella di tenere aperto l’orizzonte che ci permette di scorgerla. Non si tratta di una bellezza qualsiasi, di una bellezza estrinseca, di una bellezza che brilla di luce forte e poi sparisce, ma di quella bellezza integrale che sola “può salvare il mondo” e accompagnare anche nelle situazioni più difficili, se le prove “invece di indurire temprano” (Hillesum). Come continuano a dirci, con il loro esempio, testimoni del nostro tempo e di questa terra. Ricordiamo la lucidità di Carmine Tripodi e Nino Marino, e il modo con cui pensavano il rapporto tra il “colpevole” e l’uomo, condannando il male perché non devasti, guardando il volto per recuperare la persona; ricordiamo il loro coraggio e la loro capacità di unire fedeltà e tenerezza; ricordiamo la loro idealità. In loro la bellezza risplende, non in questo o quell’altro particolare, ma nella vita donata. Ci vuole per questo la capacità di salire in alto, negli spazi ampi e comunicanti del cielo e della terra e curare ciò che mantiene aperta la via della bellezza, per accoglierla e per donarla, portarla al mondo.
Rocco Facchineri
A Rocco Facchineri, nel 1978, ad appena due anni, viene ucciso suo padre; due anni dopo il fratello Mario, di diciotto anni, insieme a un suo cugino di diciassette. Una lista lunga dimenticata, per permettere a Rocco di intravedere, oltre al buio di quegli anni, una luce di salvezza. Gli anni seguenti sono un continuo peregrinare, sotto falso nome, a Perugia, Savona e nei paesini della riviera ligure. Intanto, il suo migliore amico, Antonio, che ha sposato sua cugina Carmela, viene ammazzato. Nell’estate del 1987, i ragazzi Facchineri si nascondono sullo Zomaro, in Aspromonte, e a luglio di quell’anno, nello spazio di pochi minuti, uccidono cinque componenti della famiglia Raso-Albanese. Nel 1988, il destino di Rocco è compiuto in maniera atroce con due colpi di lupara alle spalle. La ‘ndrangheta è certamente cosa da grandi, ma nel suo tragico copione, anche i bambini sono chiamati a recitare la loro parte.
Il piccolo pastore
Come per Leonardo, piccolo pastore che, insieme alla sorellina Basilina, vede arrivare nella masseria di famiglia un ragazzino bendato e in catene, portato a spalle, tanto è debole e smagrito, che viene rinchiuso in una grotta. Il bimbo porta da mangiare al prigioniero. Non lo guarda, i suoi occhi fissano un angolo della grotta, ma ne intravede il volto, spento e sofferente, rinchiuso in una buca del terreno, con una pesante catena al collo. Non comprende la malvagità dei grandi. Il sequestrato è Carlo Celadon. E poi, i bambini sequestrati, privati del calore materno e della serenità familiare, proiettati nel peggiore dei loro incubi, sono tanti, come Alfredo Battaglia, Marco Fiora, Giovanni Furci, Rocco Lupini, ed altri; sono una trentina i bambini rapiti, il più piccolo è Francesco Misti di sette mesi; tre i bambini sequestrati non più tornati a casa.
Cosimo Gioffré
Violenza feroce su Cosimo Gioffré, di soli dodici anni, che nel cuore della notte, dentro casa sua, si vede davanti i criminali che gli sparano al volto e al cuore. Cosimo cade sul fratellino Giovanni, di sette anni, che dorme con lui, facendogli scudo con il proprio corpo. I killer sparano dove dorme la giovane madre (il di lei marito si trova in carcere per omicidio) che muore sotto i colpi della lupara. Sparano ancora in direzione delle bimbe più piccole, Maria di cinque anni e Carmela di appena sei mesi. I bimbi feriti si salveranno, ma segnati da menomazioni fisiche.
Domenico e Michele
Come l’esecuzione di Domenico e Michele, di dodici e di nove anni, uccisi dopo aver trucidato lo zio Giuseppe Facchineri e ferito Carmela Guerrisi, di ventiquattro anni, e Vincenzo di sei anni. Quattro persone mascherate, armate di mitra e fucile a canne mozze, dopo aver eseguito la sentenza di morte contro i Facchineri, durante la fuga, in una strada di campagna, notano i piccoli Domenico e Michele Facchineri, che custodiscono una mandria di maiali. Altre raffiche di mitra contro i bimbi, morti sul colpo. Uno degli assassini infierisce con il calcio del mitra sul viso delle due vittime, sfigurandole. Bambini che crescono all’ombra dell’odio, che impugnano armi in tenera età, che imparano troppo presto la legge della vendetta e della prepotenza. Bambini che vogliono emulare il padre, i parenti, che vivono la crudeltà come un gioco e come unica prospettiva possibile per affermarsi. Bambini uccisi per sbaglio, per vendetta, per crudeltà. Bambini testimoni del feroce mondo degli adulti. Bambini che, crescendo, si troveranno di fronte a un bivio. É lunga l’infamia, senza interruzioni, senza rimorsi, di bambini rapiti, torturati, ammazzati, sfigurati a colpi di lupara in faccia, bruciati, sepolti sotto la calce viva. Una strage dimenticata, rimossa, negata.
Altre vittime
Domenica Zucco, di tre anni, colpita all’addome nell’agguato contro il padre. Muore a San Martino di Taurianova il 3 ottobre 1951. Concetta Lemma, di sedici anni, vittima di una faida, viene ammazzata a colpi di lupara mentre si trova in casa, a Feroleto della Chiesa, l’11 gennaio 1964. Giuseppe Bruno, di diciotto mesi, colpito da due pallettoni alla testa nell’agguato contro il padre. Muore l’11 settembre 1974 a Seminara. Salvatore Feudale, di dieci anni, assassinato in piazza Mercato, a Crotone, insieme con il fratello diciannovenne. É il 20 settembre 1973. Giuseppina Pangallo, di tre anni, ammazzata il 12 dicembre 1975 a San Giovanni di Sambatello mentre si trova in macchina con la madre. Graziella e Maria Maesano, di nove anni, uccise a Le Castella (Crotone) il 21 settembre 1982 nell’agguato contro lo zio Gaetano. Rocco Corica, di sette anni, ucciso a Taurianova nell’agguato che il 29 settembre 1976 ha per bersaglio il padre. Il suo volto è sfigurato dai proiettili. Pasqualino Perri, di dodici anni, ammazzato in un ristorante di Rende, il 27 ottobre 1978. Il bersaglio dei killer è il padre. Giovanni Canturi, di tredici anni, il 9 novembre 1982, viene ucciso a Caraffa del Bianco mentre accudisce gli animali insieme con lo zio, vittima designata dei killer. Domenico Cannatà, di undici anni, e Serafino Trifarò, di quattordici anni, uccisi in un agguato a San Ferdinando la sera del 4 novembre 1983. Michele Arcangelo Tripodi, di dodici anni, sequestrato e ucciso a San Ferdinando il 18 marzo 1990. É vittima di vendetta. Marcella Tassone, di nove anni, la sera del 22 febbraio 1989 viene trucidata mentre si trova in macchina con il fratello, a Laureana di Borrello. In faccia le sparano sette colpi. Andrea Bonforte, di quindici anni, ucciso all’alba del 2 gennaio 1990, a Catona, nella periferia nord di Reggio. L’obiettivo è il fratello. Letterio Nettuno, di quindici anni, sequestrato, torturato, sgozzato il 5 gennaio 1991, per motivi di mafia, dalla cosca Latella-Ficara. Domenico Catalano, di sedici anni, ucciso in un agguato il 1 settembre 1990 nel quartiere Archi Cep, nella zona nord di Reggio. Arturo Caputo, di sedici anni, ucciso mentre mangia una pizza in un locale di Strongoli, nel Crotonese, la sera del 4 luglio 1990. Finisce sulla traiettoria dei killer che hanno per bersaglio un pregiudicato della zona. Saverio Purita, di undici anni, il 23 febbraio 1990, sparisce da Vibo Valentia. Ritrovato morto ammazzato, con il corpo semicarbonizzato. Francesco Pugliese, di tredici anni, scomparso da Vibo il 2 gennaio 1983. Luca Cristello, di quattordici anni, scomparso da Francica, nel Vibonese, il 17 maggio 2002. Elisabetta Gagliardi, di nove anni, ammazzata con due colpi di pistola in testa, a Palermiti, il 7 settembre 1990. I killer cercano il padre e, in sua assenza, si accaniscono su figlia e moglie (Maria Marcella). Nicholas Green, di sette anni, il 29 settembre 1994, viene ferito a morte, in un tentativo di rapina, mentre si trova in auto con la famiglia sulla Sa-Rc. Mariangela Ansalone, di nove anni, ammazzata l’8 maggio 1998 ad Oppido Mamertina, insieme con il nonno. La macchina su cui si trovano viene scambiata dai killer per l’auto dei rivali. Paolino Rodà, di tredici anni, ucciso il 2 novembre 2004 nelle campagne di Ferruzzano, insieme con il padre. Antonino Laganà di tre anni, il 6 giugno 2008, a Melito Porto Salvo, si trova nella traiettoria dei killer e viene colpito da un proiettile alla testa. Rimarrà in vita con un frammento di proiettile nella carotide. Dodò Gabriele, di undici anni, il 25 giugno del 2009, a Crotone, gioca a pallone in un campo di calcetto. I killer feriscono alla testa Dodò, che morirà dopo tre mesi di agonia. Nicola Campolongo, di tre anni, sparito da Cassano sullo Jonio, il 15 gennaio 2014, insieme con il nonno, Giuseppe Iannicelli e la sua compagna Ibtissa Touss. Il suo corpo, insieme a quello dei due adulti, è ritrovato carbonizzato il 19 gennaio 2014 all’interno dell’auto del nonno.
Il dovere di ricordare
Non abbiamo da chiedere nulla e nulla da temere, il peggio è ormai alle nostre spalle. Raccontare di bambini, di madri e padri, che muoiono in Calabria, è una catastrofe che sconquassa il paesaggio interiore di ognuno, come un sisma, prima che sopraggiunga la calma e il silenzio, come ai naufraghi stanchi. La morte, che rende più leggeri, è di casa in questa terra, così come la nascita. Per non essere destinati a perdere, narriamo e ricordiamo perché il silenzio non chiuda per sempre la bocca dei morti né dei vivi, vittime di ogni tipo di violenza, mafiosa e non. Dove non arriva la Giustizia arrivi la memoria, più forte della polvere e delle complicità. Tutto ciò che finisce è per ricominciare.