Lollò Cartisano. La breve memoria di Bovalino
- Antonella Italiano
Oggi si è marciato verso Pietra Kappa, lungo “i sentieri della Memoria”, e c’è stato un gran rumore per questo. La memoria-con-la-emme-grande torreggia su manifesti, volantini e post di facebook. Un classico. Perché se la memoria-con-la-emme-piccola non mi inganna di fiaccole e camminate se ne sono fatte parecchie, dal 1993 in poi furono davvero tante.
Avevo tredici anni all’epoca e il mio paese era puntualmente massacrato da violenze e abusi, sparatorie, bombe, incendi. Ma, tra tutti, il crimine più grave furono i sequestri di persona: decine di bovalinesi venivano torturati e strappati alle famiglie. I più scaltri se la cavarono con poco, i più deboli, gli anziani, le donne, tornarono a casa annientati fisicamente e psicologicamente. Qualcuno non tornò più. Qualcuno morì poco dopo.
Oggi, dopo vent’anni, ci si chiede perché sanluchesi e bovalinesi dividano le stesse strade, il lungomare, le piazze, senza mai integrarsi totalmente. Perché si accettino solo di rado. Perché i giovani di Bovalino si concentrino in pochi bar, e in ancor meno pizzerie, lasciando pressoché deserte le attività foresterie. Chiederselo è una grande ipocrisia.
Mettendo da parte il buonismo, che sempre tutto aggiusta e appiana, la risposta è lampante: se la-memoria-con-la-emme-piccola non mi inganna un’altra volta nei sequestri di persona, negli omicidi, nelle intimidazioni a danno dei bovalinesi furono quasi sempre coinvolti dei sanluchesi. Un po’ come accadde a Bianco con gli africesi. Mentre le cittadine di Locri, Siderno e Gioiosa (per fare qualche esempio) ci pensarono da sole a farsi fuori: scegliendo di essere fagocitate da lotte intestine di famiglie autoctone.
Con il buonismo, si sa, arriva il luogo comune per eccellenza: “non facciamo di tutta l’erba un fascio”. Non sia mai! Ci sono sanluchesi buoni e cattivi, africesi buoni e cattivi, bianchesi buoni e cattivi, bovalinesi buoni e cattivi. Mi concedo una sola osservazione su quest’ultima categoria: è la mia stessa razza quella che, in simili giornate della “memoria”, disprezzo di più.
Il 3 agosto 2003, dopo dieci anni di appelli, fiaccolate, proteste e programmi tv, nella Chiesa di Bovalino accanto ai miseri resti di Cartisano ricordo poche persone. O meglio: non più di quelle di una messa domenicale. O meglio ancora: non tutte quelle che avrebbero dovuto presenziare in un’occasione del genere.
Non fu lutto cittadino, neanche un’ora. Non ci furono proteste, non quel giorno. Non ci furono cortei sulla piazza, gente indignata, dirette di tv importanti, appelli arrabbiati del Sindaco.
Bovalino abbozzava e subiva e, per nulla incazzata, seppelliva il suo ennesimo figlio.
E non è questione di memoria, ma un dato di fatto, che sulla piazza dirimpetto alla Chiesa dove si celebravano i funerali di Lollò, si svolgevano nel frattempo le prove di un saggio, o di una sfilata, o di qualche sagra di paese. Di cosa fossero, onestamente, l’ho voluto cancellare. Ricordo musica, pizze al taglio, mamme chiacchierone, palloni per bambini. E gli applausi di festa e lutto quasi quasi si confusero.
Mi stupisce, oggi, che i miei concittadini non ricordino. Che facciano i leoni e ringhino da dentro una gabbia chiusa.
Perché senza memoria-con-la-emme-piccola la memoria-con-la-emme-grande non è niente più che un bluff.