Padre Stefano De Fiores. Intervista a Don Pino Strangio
- Antonio Strangio
Con la morte di padre Stefano de Fiores, San Luca si ritrova sempre più povero e solo e la Calabria tutta perde uno dei suoi figli più illustri e ascoltati. Era il 15 aprile del 2012 e l’umile sacerdote cessava di vivere nell’ospedale di Catanzaro dove era stato ricoverato d’urgenza. Ritorno con la memoria a quel triste e terribile giorno che ha fatto piangere un intero paese. Sono seduto sugli scalini della chiesa dai quali è possibile ammirare il paese nuovo e la linea profonda del mare. Tutto il film del funerale mi passa davanti. Le immagini si susseguono lentamente, mentre due vecchiette, accompagnate da una ragazza che non dimostra più di 20 anni, i pantaloni a vita bassa che, secondo me, offendono la bellezza del viso e la linea del corpo, entrano in chiesa. Vogliono raccogliersi in preghiera. Pregare e ricordare come dicono, soprattutto per quel figlio illustre che non c’è più, al quale loro hanno voluto un bene dell’anima. Dicono proprio così «Il destino ce l’ha portato via, e contro il destino non si può fare niente». Mentre loro parlano e ricordano la marizza, non so perché, ma io vado col pensiero a Corrado Alvaro. Un pensiero istintivo, che mi porta ad avvicinare questi due figli illustri di San Luca. Alla loro storia che è stata uguale soprattutto nei sogni e nei segni, perché, guarda caso, padre Stefano ha scelto di ritornare alla casa del padre, 24 ore prima del giorno in cui a San Luca nasceva il grande scrittore sanluchese. Vai a capire questi sogni e questi segni.
Tutto questo mi divora e mi assilla, nel mentre fa la sua apparizione don Pino Strangio. Saluta le due vecchiette che lo riempiono di complimenti e gli augurano tutto il bene di questo mondo, mentre parcheggia l’inconfondibile Panda azzurra, il cui cofano è tenuto attaccato alla macchina da una corda di quelle che i pastori usavano per catturare i vitelli. Mi dice che all’indomani della morte di padre Stefano tutto è diventato più difficile perché sia lui che la comunità di San Luca dovranno sforzarsi, e non sarà facile, ad andare avanti senza i consigli e la saggezza del grande mariologo, «Sarà molto difficile, terribilmente difficile, ma dobbiamo provarci». Gli spiego che sarebbe giusto parlare dell’uomo e del religioso che ha dato prestigio non solo alla Calabria ma a tutta l’Italia, perché nel mondo non c’è uno studioso di mariologia che lo può emulare, e lui, che forse aspettava questo momento, non si tira indietro e attacca un interminabile discorso «Ho sempre apprezzato la grandezza di padre Stefano nell’interezza della personalità. Da giovane sentivo i compaesani parlare di quest’uomo che aveva scelto la famiglia religiosa dei Monfortani come luogo e culla per rispondere alla chiamata del Signore di diventare sacerdote, lontano da San Luca, nella terra di Bergamo. Ci è riuscito e di lui i compaesani hanno sempre parlato con grande reverenza, usando il garbo paesano intriso di emotiva curiosità che si mischiava con la sua dotta parola. Per la gente era tutto e poteva tutto. E lui a tutti ha cercato di essere utile e di non deluderli mai».
Chi era padre Stefano?
Ma chi era padre Stefano. «Un grande sotto tutti i punti di vista. Quando studiavo teologia al seminario di Catanzaro notai che ci facevano studiare su testi di autori stranieri. La mia meraviglia fu grande, da indurmi a protestare con il mio professore, che capì la mia protesta e ci fece finalmente usare i testi di padre Stefano, in particolare il Commento al numero VIII della Lumen Gentium». Certo è che ne ha scritti di libri. «Ne ha scritti tantissimi e tutti di grande valore. Su tutti voglio ricordare il Nuovo dizionario di Mariologia e il Nuovo dizionario di spiritualità, due opere dalle quali noi preti non possiamo prescindere». Tornava spesso a San Luca? «Appena poteva, perché era sempre in giro per il mondo a dettare conferenze e a spiegare. Non si stancava mai, e non si riposava mai. A San Luca tornava soprattutto nel periodo di Pasqua ed illuminava la scena». Lei quindi è stato il suo parroco… «Certo, e questo mi serviva soprattutto quando mi recavo a Roma. Appena mi presentavo dicendo che ero il parroco di padre Stefano le porte si aprivano come d’incanto. Ma a parte questo mi preme ricordare che per me stare vicino a lui era molto importante, quasi mi sembrava di partecipare ad un corso di aggiornamento di teologia, non forzato ma voluto. Non a caso è diventato il Cantore di Maria, o meglio colui che più di tanti altri teologi ha saputo presentare la Madre di Dio nell’economia della salvezza operata dal Figlio». Com’era di preciso. «Semplice. Ma quando parlava infondeva fiducia e apriva alla certezza cristiana fondata sulla Trinità. Niente era banale o occasionale nei suoi discorsi o scritti, la facilità di parola era pari alla facilità di scrittura».
Il legame con Polsi
Era molto legato a Polsi? «A Polsi padre Stefano che era stato battezzato, aveva scelto cosa avrebbe fatto da grande. E ci tornava appena poteva. Fu lui poi a volere e organizzare il convegno sulla storia del Santuario, e fu ancora lui a voler realizzare un colloquio di mariologia dal titolo “Maria e la Croce”; e sempre lui, nel compimento del mio 25° anno di sacerdozio, ha organizzato un colloquio dal titolo: “Popolo sacerdotale in cammino con Maria”, con la presenza a San Luca, per la prima volta, del cardinale Lozano Javier Barragan (presidente del Pontificio consiglio della salute). La sua dipartita – continua don Pino – per noi tutti è davvero un dramma perché non solo abbiamo perso l’amico, il consigliere, il punto di riferimento, ma anche perché stava facendo importanti ricerche per ricostruire tutta la storia di San Luca e del Santuario».
La Fondazione Corrado Alvaro
Il suo rapporto con padre Stefano. «Siamo stati amici nel vero senso della parola. Io gli sono grato per la grande disponibilità che mi ha sempre dimostrato, sempre pronto a rispondere ad ogni mia richiesta. Non mi ha mai detto no. L’umiltà, e stiamo parlando di un sacerdote che ha scritto oltre 40 libri, la forte spiritualità, l’amore per lo studio, una forma di vita povera e la santità di vita, sono stati un richiamo per la mia vocazione sacerdotale, e mi auguro che possano essere un richiamo per molti giovani ingannati dalla notorietà, dal carrierismo, dal riconoscimento immediato. Per San Luca – conclude don Pino, al quale si è avvicinato Bruno Bartolo consigliere del consiglio di amministrazione della Fondazione Alvaro, che in quei giorni di calvario, insieme al parroco ha fatto la spola tra San Luca e Catanzaro, nella speranza del miracolo – è stato un punto di riferimento. É stato anche il primo presidente della Fondazione Alvaro, contribuendo in tempi difficili alla sua espansione e conoscenza in Italia e all’estero. E ad Alvaro e alla sua opera, padre Stefano ha dedicato il saggio di una vita, Itinerario culturale di Corrado Alvaro, edito dalla casa editrice Rubbettino, e primo libro della prestigiosa collana di studi alvariani, voluta dalla Fondazione e curata dal presidente Aldo Maria Morace. Padre Stefano, – continua don Pino – ha offerto la sua disponibilità nell’ascoltare e aiutare tantissimi compaesani in grande difficoltà, privi della libertà. Anche questo servizio lo rende come faro della comunità poiché ci rappresenta la trasparenza e la bellezza della sua vita. Se Corrado Alvaro è il figlio più illustre della comunità sanluchese, e i suoi scritti rimarranno per sempre, padre Stefano, dal punto di vista teologico, non è da meno. Due grandi pilastri che Dio ci ha donato come dono, e su cui tutti possiamo costruire il presente guardando al futuro, facendo memoria del passato». Il rumore di una macchina rompe il silenzio che aleggia su tutta la Santa Maria. «La vedi quella macchina – mi fa don Pino indicandomi una 500 -. Per capire meglio chi era e quanto era grande l’uomo, il sacerdote e lo studioso diciamo che mentre tutti noi viaggiamo in 500, lui viaggiava sempre e solo con una Ferrari». Ritorno alla coincidenza che ha accomunato i due grandi di San Luca e della Calabria. Una strana coincidenza che ci fa amare ancora di più questi due pilastri della letteratura e della Chiesa legati da un filo conduttore perché entrambi erano partiti giovani da San Luca per poi arrivare a Roma e diventare importanti. Alvaro vi arriva dopo aver esordito nel mondo delle lettere con un racconto – saggio sul santuario di Polsi, mentre padre Stefano a Polsi ha scelto e progettato il suo futuro. L’uno per cantare la favola del calabrese che per essere capito deve essere parlato, e sviluppare poi una letteratura “alta”, l’altro per ergersi a cantore di Maria, nel senso più pieno e spirituale del termine.
Il malore e gli ultimi giorni
Sono preso da questa riflessione, mentre nella chiesa Santa Maria della Pietà la gente, donne soprattutto, fa la fila ordinata e composta per ascoltare la parola di Dio dalla viva voce del parroco don Pino. Accanto a me che ho avuto la fortuna e il privilegio di diventare amico di questo grande che sapeva diventare umile con gli umili, semplice con i semplici, bambino con i bambini, pastore con i pastori, malgrado la sua altezza d’ingegno, c’è tutto il gruppo della Fondazione, guidato da Bruno Bartolo e l’avvocato Giuseppe Strangio. Ricordiamo la morte e il funerale. Mancava una settimana alla santa Pasqua. Padre Stefano stava male, ma lo stesso aveva voluto non mancare alla preparazione dei riti, e giovedì santo, in occasione della lavanda dei piedi a dodici padri di famiglia che da anni hanno deciso di interpretare il ruolo degli apostoli, aveva ancora una volta deliziato e illuminato la chiesa con parole di una semplicità e nobiltà assoluta. Certo si vedeva che stava male, il giorno della processione delle Palme si era dovuto pure fermare, poi, nella notte tra venerdì e sabato santo è stato ricoverato d’urgenza all’ospedale civile di Locri, e da qui trasferito d’urgenza con l’elisoccorso all’ospedale S. Anna di Catanzaro. Tutto in un attimo. Poi l’attesa, la corsa contro il tempo, le preghiere, la terribile accettazione della ferale notizia. Un dramma senza fine. Ricordiamo anche il funerale. Soprattutto la parte finale. L’ave Maria intonata da Alma Manera, il ricordo profondo del provinciale dei Monfortani, Angelo Epis «Padre Stefano è tornato alla casa del Padre, ma prima di andare via a ognuno di noi ha lasciato un compito ben preciso. E ora, dall’alto, lui che su questa terra è stato come una luce, ci guiderà e ci illuminerà, affinché noi possiamo portare a termine quello che lui ci ha consegnato…»; le poche ma profonde parole del vescovo «Ha elevato la pietà popolare mariana a dignità teologica».
Il saluto nei canti delle donne
Tutto questo è stato il funerale del più grande cantore della Madonna, al quale prima dell’ultimo saluto e dell’ultimo viaggio, destinazione il vecchio cimitero di San Luca, le donne di San Luca hanno voluto dedicargli e intonargli la canzone che più amava e più lo emozionava, quel Bonasira vi dicu a vui Madonna, un omaggio alla Madonna di Polsi, che mai come in quella triste occasione è stata carica di significati, ma ancor di più è stata un giusto e doveroso omaggio, l’ultimo, a un uomo, un sacerdote e uno studioso la cui dipartita peserà come un macigno, perché padre Stefano è stato il seminarista che si innamorò dei monfortani, il ragazzo che si fece uomo, il sacerdote che predicò la parola di Dio, lo studioso che cantò le lodi della Madonna e con la sua saggezza ha illuminato e arricchito tutto il mondo e tutta l’umanità. Gli sia lieve la terra e profumata la memoria. Per tutta l’eternità ora.
Il Ricordo di Antonio Strangio
QUELL’UOMO COSÍ AMATO DA SAN LUCA
Ho conosciuto padre Stefano che ero ancora studente. Di lui mi parlava spesso e volentieri mio fratello Giuseppe, e mio padre e mia madre mi decantavano le qualità di un uomo e di un sacerdote che tutti ci invidiavano e che per il nostro piccolo paese era allo stesso tempo il vanto e l’orgoglio, il riferimento e la guida. Mi raccontavano della sua grande intelligenza e del fatto che viveva a Roma ed era considerato uno dei più apprezzati studiosi di mariologia, alla quale aveva dedicato numerose pubblicazioni e convegni. Insomma, una personalità non comune, tanto è vero che quando me lo trovai davanti fui disarmato dalla semplicità con la quale si presentava a noi ragazzi e a tutte le donne in particolare, che saputo del suo arrivo facevano la fila in sacrestia per salutarlo, toccarlo, augurargli tutto il bene di questo mondo. Io lo osservavo in disparte, mentre lui, in attesa di celebrare la santa messa che avrebbe arricchito con una delle sue proverbiali omelie, aveva una buona parola per tutti. La cosa che più mi ha colpito è che padre Stefano si avvicinava a questa specie di rito, che lo rendeva felice e lo faceva tornare ragazzo, parlando la nostra lingua, il nostro caro e particolare dialetto. Poi si calava nei riti della settimana santa, e lo spettacolo della fede come momento di comunione con Dio, era tutto nelle sue parole che sapevano di vita nuova, entravano in tutte le case di San Luca, visitavano cuori e cervelli e diventavano una specie di benedizione. È chiaro però che i ricordi più nitidi sono legati alla nascita e alle attività della Fondazione Alvaro, alla quale ha dedicato gran parte delle sue energie, della sua intelligenza e del suo prezioso tempo. Una casa della cultura, illuminata a giorno, anche quando cala la notte, da questo grande uomo e studioso del Mistero di Maria che è stato anche, e soprattutto, un umile e fedele servo del Signore al servizio dell’umanità, soprattutto quella più disperata, emarginata e sola.